RECENSIONI IN BREVE
AORARCHIVIA |
MICHAEL FURLONG "Breakaway" |
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Ristampato nel 2009, questo
secondo ed ultimo album di Michael Furlong parlava la lingua
dell’AOR e del pop rock di metà anni ’80 (uscì nel 1987):
tastiere in abbondanza, batteria elettronica, chitarre ben
amalgamate nel mix per un sound che pur guardando ai numi
Journey e Toto aveva come punto di riferimento soprattutto le
alchimie sonore già sperimentate da John Parr e Van Stephenson.
Il songwriting non faceva gridare al miracolo ma produzione e
arrangiamenti rendevano piacevole l’ascolto. La top song era “You
Better Watch Your Step”: chitarra funky, atmosfera
notturna e fascinosa, melodia maschia alla John Parr. Un
recupero non doveroso, ma sicuramente non superfluo.
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MFN - 1987 |
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RAINMAKER "Rainmaker" |
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Ecco una delle tante
testimonianze della valentia di quel genietto del rock melodico
di nome Tommy Denander. Durarono appena un album, i Rainmaker,
solo uno dei tanti progetti in cui il vulcanico svedese è stato
coinvolto, undici canzoni che ci davano al suo meglio il sound
raffinato e marezzato di prog che Tommy porta in giro da una
trentina d’anni. Fra richiami agli Steelhouse Lane (“Father
Of Your Sins”, con la sua melodia di marca Journey ed il
refrain ad un passo dal r&b, l’arena rock agile di “Bad
Call”, le architetture dinamiche e potenti di “Nancy
Hold On”), Mitch Malloy (le trame elettroacustiche di “The
Sound Of My Heart”) e Bryan Adams (“Passion
Again”), ‘Rainmaker’
scorreva piacevolmente, pur con qualche intoppo qua e là (la
title track è inutilmente lunga e poco incisiva, il clima
epicheggiante alla Magnum di “Going Insane”
mi dice poco, “King Of Fools” è un
po’ confusa, come se c’avessero messo troppa roba dentro).
Sarebbe ora che qualcuno pensasse ad una ristampa. |
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Z Records - 2000 |
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THE END MACHINE "The End Machine" |
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Ma questi The End Machine,
sono i Dokken senza Don Dokken, oppure i Lynch Mob del secondo
album con Jeff Pilson? Comunque vogliamo considerarli, il suono
segue le tracce degli ultimi album dei Mob e anche dell’ultimo
Warrant (prodotto, non è certo un caso, da Pilson), con una dose
maggiore di street metal melodico nella miscela. Rispetto agli
ultimi album della band di George, i suoni di chitarra sono
molto più belli, nitidi e colorati, gli arrangiamenti e la
produzione curati e, insomma, Jeff Pilson non sarà Ron Nevison o
Keith Olsen, ma la sua presenza dietro il banco del mixer si
sente. E quel che conta, il songwriting? Molto anni ’80 e primi
’90, e buono senza stupire. Il meglio sta nei toni anthemici di
“Bulletproof” e “Line
Of Division”, le trame ipnotiche in cui va ad incastrarsi
un refrain solare di “Burn The Truth”,
le cadenze insinuanti di “Hard Road”;
il peggio in “Sleeping Voices”, che
tiene fede al titolo essendo soporifera e troppo lunga. Il
chitarrismo di George Lynch resta sempre la carta vincente,
anche se meno spettacolare e avventuroso che nel passato, e il
risultato globale è decisamente superiore all’ultimo Lynch Mob. |
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Frontiers - 2019 |
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TRISHULA "Scared to Breathe" |
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Prevedibilmente, questa band
guidata da Neil Fraser (ex Ten e Rage of Angels) ha un suono
decisamente Ten oriented, magari con qualche nuance
Journey e tracce (lievi) del suono svedese contemporaneo. Il
songwriting è pregevole e ci sono almeno due perle: “Don’t
Let Go”, non tanto distante dai Ten degli anni d’oro, e “A
Love so Cruel”, più vicina al sound molto Little Angels
di ‘Stormwarning’ (album che segnò
il breve periodo di militanza di Fraser nella band di Gary
Hughes). Produzione e resa fonica sono eccellenti, anche se le
canzoni sono sempre troppo lunghe. Rimane enigmatica la scelta
di un moniker bellicoso (la trishula è una sorta di tridente che
in India ha un significato magico e religioso) e di un’immagine
di copertina da film horror, più adatta ad una band heavy metal
sanguinolenta e assatanata.
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AOR Heaven - 2019 |
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BAD CITY "Welcome to the Wasteland" |
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Questo unico album dei Bad
City ha una sua importanza dal punto di vista storico:
rappresenta difatti l’ultimo tentativo da parte di una major
label di proporre al grande pubblico musica inquadrabile nella
categoria del rock melodico, un rock melodico calibrato secondo
i gusti del pubblico rock degli anni Zero che mescolava con
intelligenza Def Leppard, Queen e Kiss ai Green Day ed agli
Smashing Pumpkins. Fu un fiasco bestiale (numero 182 di picco
sulla Billboard 200) nonostante i commenti ben più che
entusiastici di Paul Stanley e tour di supporto proprio agli
Smashing Pumpkins ed a Slash, e dopo poco più di un anno la band
era già morta e il tentativo archiviato, ennesima dimostrazione
che i revival (più o meno camuffati) attecchiscono solo molto di
rado nei terreni della musica da alta classifica. |
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Atlantic - 2010 |
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TOTAL STRANGER "Total Stranger" |
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La Lions Pride ha avuto la
buona idea di ristampare l’esordio di questa band canadese,
risalente al 1997. Salvo per “Bed of Lies”, che razzola
malamente dalle parti degli ultimi Ratt con un metal
californiano cupo e noioso, l’album batte benissimo i territori
dell’AOR hard edged sulla scia di act simbolo come Honeymoon
Suite e Glass Tiger, oppure deriva verso le atmosfere classic
rock cromate di Bryan Adams e del Bon Jovi più root. Difficile
individuare degli highlight, perché il livello generale è
costantemente sopra la media ma l’arena rock anthemico e
drammatico di “The Mask”, l’impasto elettroacustico di “Big
Dream” e quella ballad dall’atmosfera misteriosa intitolata
“Guardian” sono probabilmente le schegge più riuscite di un
album davvero interessante.
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Sphinx Ministry - 1997 |
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MICHAEL THOMPSON BAND "Love & Beyond" |
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Il ritorno
di Michael Thompson all’AOR dopo i furori elettrici di ‘Future
Past’ (per saperne di più, c’è il link) è
gradito: purtroppo, il Nostro come songwriter sembra arrivato
più o meno alla frutta: gran parte delle canzoni sono banali,
fiacche e scontate e il grandissimo guitar work non può supplire
alla mancanza di ispirazione che affligge una buona parte del
materiale presentato. C’è del buono in “Just
Stardust”, “Starting Over”,
la title track e “Supersonic” ma è
troppo poco per promuovere ‘Love & Beyond’.
I tempi di ‘How
Long’ (altro link per chi non ricorda) sono
molto lontani, in senso letterale ed in quello lato
dell’espressione. |
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Frontiers - 2019 |
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AORARCHIVIA |
PAUL GILBERT "Behold electric Guitar" |
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Fusion sopraffina quella che
Paul Gilbert ci propone nel suo ultimo album: una chitarra dal
suono sempre rigorosamente rock (hard rock, molto spesso) che si
esprime con agilità jazzistica e in più di un frangente dialoga
con basso, batterie e tastiere secondo i modi dell’interplay
tipico del jazz. Lenta e melodica o suonata con uno shredding a
velocità vertiginosa, la chitarra di Paul Gilbert è sempre
straordinaria, intensa, magistrale, amalgamando rock, jazz, funk
e blues in un mix dal fascino irresistibile.
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Music Theories - 2019 |
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THE BRINK "Nowhere to run" |
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Prendete i Firehouse,
filtrateli attraverso i Nickelback di ‘The
Long Road’ e avrete quel che suona questa band inglese.
L’idea non è malvagia e la sua traduzione in pratica si mantiene
su un livello ben più che dignitoso: purtroppo le atmosfere di ‘Nowhere
to run’ tendono uniformemente al cupo/incazzato e di
ulteriori inviti alla depressione il rock proprio non ha
bisogno. |
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Frontiers - 2019 |
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AORARCHIVIA |
TESLA "Shock" |
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Questo ‘Shock’
segna per i Tesla un interessante cambio di strategia: anziché
clonare se stessi, hanno deciso (con il supporto alla produzione
di - guarda un po'... - Phil Collen) di mettersi a clonare i Def Leppard. Il bello è
che ci riescono benissimo, tutto il repertorio della band di
Sheffield viene rivisitato (più o meno sfacciatamente) con bel
piglio, e l’album riuscirà certo gradito a chi ama quel suono,
molto meno (suppongo) ai fan di Jeff Keith e soci, che comunque da anni ed
anni vegetano fra live celebrativi e dischi di studio
inconsistenti e insipidi. ‘Shock’ è
divertente e ben suonato. Manca di personalità, ovviamente, ma
non è che i Tesla (per me, sempre sopravvalutati), anche ai loro
tempi d’oro, di personalità ne abbiamo mai esibita in quantità.
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Universal - 2019 |
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TOSS'N'TURN "Freestyle" |
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Questa band tedesca cercava un
approccio alla materia del rock melodico eclettico e/o
originale, costellando le canzoni di lampi di genio che solo
raramente suonavano geniali. Il bridge disco-funky al centro di
quel metal californiano simil Bulletboys intitolato “How
Do You Feel” funzionava, meno bene andavano i fiati
campionati (dal suono orrendo) del funk metal “Don't
Lie To Me”, gli strani flash di tastiere che
attraversavano “Back To the Wall”,
il refrain mezzo stonato della power ballad “Heart
Growing Old”. Jaqueline Cipriano aveva una voce
interessante ma troppo acuta e mixata decisamente troppo
indietro e, alla fine, ‘Freestyle’
si risolveva in un tentativo di innalzare il livello di un lotto
di canzoni per nulla eccezionali tramite soluzioni più o meno
anticonvenzionali che molto di rado coglievano nel segno: non
proprio da dimenticare, ma certo tutt’altro che una lost gem.
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Long Island Records - 1995 |
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GLASS TIGER "33" |
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I Glass Tiger tornano a noi
con un album (o dobbiamo considerarlo un EP?) di appena sei
canzoni (l’anno passato c’era stato ‘31’, ma quel disco era
fatto solo di materiale riregistrato) che si ricollega
idealmente all’AOR leggero leggero di ‘The
Thin Red Line’: rarefatto, d’atmosfera, con più tastiere
che chitarre (queste ultime spesso acustiche). Fa eccezione la
sola ‘This is London’, rock’n’roll
diretto e un po’ Who, un corpo estraneo all’interno di un lavoro
raffinato che farà felici tutti coloro che amano l’AOR al
confine della musica pop
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Willow Music - 2019 |
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REALITY SUITE "Awaken" |
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L’offerta musicale dei Reality
Suite è perfettamente allineata a quella dei principali act di
hard rock moderno più o meno melodico: Evanescence, Alter
Bridge, Halestorm. Il songwriting è su livelli buoni, anche se
manca della minima scintilla di personalità. La band ha poi un
debole per atmosfere depressive e funerarie, ostentate anche nei
titoli delle canzoni: traducendo in lingua madre, abbiamo
“Seppelliscimi viva”, “Morto per me”, “Sepolcro”… E poi qualcuno
si meraviglia se i ragazzi preferiscono andare ai rave party
invece che ai concerti rock…
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Lions Pride - 2019 |
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TONY MILLS "Beyond The Law" |
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Anche se è intestato all’ ex
Shy, Siam e TNT Tony Mills, questo ‘Beyond
The Law’ porta il marchio delle produzioni di Tommy
Denander (che produce ed è autore delle parti di chitarra e
tastiere). Ritroviamo qui, dunque, tutte le felici
caratteristiche del melodic rock di Tommy: la varietà e la
raffinatezza degli arrangiamenti, i tocchi prog. Tony Mills ha
portato una certa aria Journey nelle melodie vocali e, immagino,
il concept gangsteristico. Il top? La versione del metal
californiano che Tommy imbastisce per “Black
Sedan”, le architetture spavalde e ritmate di “The
Westside”, le suggestioni Def Leppard (era ‘Pyromania’)
su cui è costruita “Crackin’ Foxy”.
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Battle God - 2019 |
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CHAMPION "Halfway to Heaven" |
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Ristampato nel 2008 dalla
Retrospect (venne pubblicato in origine nel 1988), questa unica
testimonianza dei Champion non è precisamente una lost gem. Il
songwriting nello stile AOR della prima metà dei Big 80s non
stupiva, con melodie abbastanza fresche disinnescate da refrain
fessi o poco incisivi, grande abbondanza di tastiere e intrecci
di vocals a volte molto pomposi (e non sempre riusciti: su “On
My Way” suonano in qualche caso decisamente stonati). Il
meglio sta nella seconda parte, tra le tentazioni anthemiche di
“Wait ‘til Tomorrow”, i buoni
momenti di “Who’s Running the World”
e, soprattutto, l’atmosfera di “One Plus
One”, con la sua miscela molto ben calibrata di chitarre
limpide e rock, keys e cori pop. Comunque, niente di
imprescindibile.
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Quicksilver Records - 1988 |
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AORARCHIVIA |
LOST JOHNNY "Hidden Measures... And 1/2 Truths" |
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L’unico album dei canadesi
Lost Johnny non è un’opera memorabile: prodotto e mixato in
maniera dilettantesca (nella band ci sarebbe un tastierista, ma
quello che suona si riesce a stento a percepirlo, e solo
ascoltando in cuffia), e con una qualità audio non certo
sopraffina. Il songwriting rimastica quindici anni di metal
melodico più o meno glam, passando dai Van Halen ai Dokken, dai
Babylon A.D. ai XYZ, dai Bulletboys agli Whitesnake senza
fantasia e con arrangiamenti spesso arruffati. Il peggio, nei
sette, inutili minuti di ‘Long Way’,
arena rock rovinato da un refrain in cui le chitarre salgono ad
un volume assurdo, di puro frastuono, e afflitto oltretutto da
un controcanto stonato. Niente di strano che a nessuno sia
venuto in mente di ristamparlo. |
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Little Whirled Records -
1995 |
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SCOTT
STAPP "The Space Between the
Shadows" |
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Il nuovo album dell’ex Creed
è, nell’ambito del modern melodic, un prodotto eccellente, con
tutti i pregi e i difetti del genere. I suoni gelidi di
tastiere, l’atmosfera che se non è funebre, risulta quasi sempre
grave e seriosa. Da quando il grunge e i Metallica del Black
Album hanno stabilito che l’unica chiave in cui doveva venire
interpretato l’hard rock era quella della pesantezza mortifera,
pochissimi hanno sfidato il decreto, e i Creed non erano certo
fra quelli, tutt’altro. I riferimenti, dunque, vanno verso la
band madre, ma si possono fare altri nomi di act moderni (gli
inevitabili Alter Bridge, e poi: Sixx A.M., Halestorm,
Shinedown), il tutto elaborato in una chiave decisamente
melodica, con le chitarre che a volte lasciano il posto d’onore
alle tastiere. Non è precisamente AOR, ma piuttosto hard
melodico fatto secondo gli stilemi del rock moderno, e di ottima
fattura. |
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Napalm - 2019 |
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AORARCHIVIA |
BAD BLOOD "Bad Blood" |
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Prendete la miglior California
metallica dei Big 80s, passatela al setaccio dell’hard rock
moderno e avrete quanto i Bad Blood ci propongono in questo
album omonimo. Esemplari delle capacità della band americana di
fondere vecchio e nuovo sono “Light ‘Em Up”
e “We Are L.A.”, nella prima
occhieggiano i Ratt, nella seconda i Love/Hate, riletti però
secondo la lezione dei Nickelback. Ai riffoni heavy metal di “Own
the Night” si contrappone un refrain genuinamente
anthemico, e un anthem pure risulta “Reason
to Live”, che guarda senza timori reverenziali in
direzione Aerosmith, mentre “Rise up
(Bring It On)” è fatta di percussione EDM, groove ed un
ritmo trascinante. La perla si intitola “Anything
Is Possible”, hard ‘n’roll che trapianta Jetboy e Faster
Pussycat nel terreno del rock moderno con bella fluidità e senza
rinunciare al cantato glam. Se il melodic metal nato nella Città
degli Angeli ha un futuro, passa sicuramente da questa parti.
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Autoproduzione - 2019 |
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AORARCHIVIA |
SHAYNE MALONE "The Crossroad" |
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Shayne Malone: chi è costui?
Del soggetto in questione non so dirvi molto, salvo che è
arrivato al terzo album e deve nutrire una passione viscerale
per i Def Leppard. L’universo sonoro della band di Sheffield
viene però da lui virato su tonalità fra il cupo, il malinconico
o il serioso, solo poche schegge dell’album sfuggono a queste
atmosfere: “Every Little Thing”, “It’s
Gonna Be Alright”, “Victim of the
Night” (metallica e dinamica, forse il meglio),
l’hard’n’roll “Good Time” (che ha
il sapore dei Leppard selvatici degli inizi). La title track è
un calderone di atmosfere e citazioni (Def Leppard, per la
maggior parte) che dura oltre dodici minuti, ma si fa ascoltare
e non annoia. Nel caso la band di ‘Pyromania’
sia in cima alle vostre preferenze, dedicare un po’ d’attenzione
a Mr. Malone potrebbe rivelarsi una buona idea.
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860508 Records - 2019 |
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UNRULY CHILD "Big Blue World" |
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È veramente difficile
trovare qualcosa di nuovo da aggiungere su questa band
superlativa. Forse potrei compattare la recensione del nuovo
album in un semplice consiglio: compratelo e basta… Il
songwriting non fa una grinza e si mantiene, dopo tanti anni e
tanti album, sempre fresco e brillante, meno elettrico e
d’impatto rispetto allo storico esordio o a ‘Tormented’
(che, pur intestato alla sola Marcie Free, era a tutti gli
effetti il loro secondo album), accentuando le sfumature prog ma
rimenendo sempre ben saldo nei territori del rock melodico. “Down
And Dirty” è un arena rock da favola, “All
Over The World” alterna chitarre secche e sfrigolanti,
scoppi di melodia e un refrain suadente, “Dirty
Little Girl” coniuga ancora l’arena rock alla loro
maniera, raffinato e un po’ cerebrale ma sempre coinvolgente, “The
Harder They Will Fall” risulta dinamica, agile e potente,
“The Hard Way” è bella tosta fra i
consueti chiaroscuri, i flash di tastiere e il bridge
d’atmosfera.
‘Big
Blue World’ è già uno degli album dell’anno. |
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Frontiers - 2019 |
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AORARCHIVIA |
EYE "It Might Rain" |
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Curioso, questo unico album
degli Eye, band americana con una evidente predilezione per le
alchimie sonore degli Styx, alternando cose buone ad altre
orribili: registrazione che varia dal professionale al
dilettantesco, songwriting oscillante fra il discreto e
l’insignificante. Su “The
Hero Is Dead”, i cori terribilmente scarichi e fiacchi
gli fanno fare la figura degli Styx dei poveri, “Under
The Weather” ostenta chitarre dalle timbriche
orripilanti, cori mezzo stonati e una batteria elettronica, “I'm
After You” è un pop rock smorto e neppure ben inciso.
Risalgono la china con “Baby-Lady”
(sempre Styx, in bilico tra i ’70 e gli ’80), “Nuclear
Affair” (pomp bello sodo), “Right
Time, Right Place” (ottimo hard melodico) e quel
divertente pomp’n’roll (non saprei come altro definirlo)
intitolato “Reddi Freddi”.
Comunque, prodotto indispensabile solo per completisti dei Big
80s. |
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Eternal Youth Enterprises -
1989 |
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AORARCHIVIA |
ELECTRIC
RADIO KINGS "Purr" |
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Chissà quante volte vi sarà
capitato di leggere in una recensione che un certo disco è
“onesto”. Cosa precisamente si voglia intendere tirando in ballo
l'aggettivo, non
ne sono del tutto sicuro, eppure mi sembra che si adatti
benissimo a questo ‘Purrr’. Che non
è un capo d’opera, ma neanche una ciofeca. Nove canzoni quasi
tutte piacevoli, certo non destinate a sconvolgere il mondo o a
durare nei secoli, ma che si fanno ascoltare. Il meglio? “Black
Cherry Blossom”, ariosa, melodica, con bei chiaroscuri e
un’atmosfera alla Bon Jovi post ‘New
Jersey’; l’hard rock metallico, selvatico, californiano
in senso street di “Downshifter”,
con qualche riferimento agli Whitesnake era ‘Good
To Be Bad’ o ai Burning Rain; il clima drammatico e i
tocchi moderni di “Back to Black”.
Il peggio, invece? Senza dubbio “Sympathy
for Me”, inutilmente rumorosa e afflitta da un cantato a
volte stonato: solo un’increspatura nel tessuto per il resto ben
imbastito di ‘Purrr’.
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Grand Vision Records - 2019 |
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AORARCHIVIA |
MURDERER'S ROW "Murderer's Row" |
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Fulgido esempio di album
inutile quest’unico parto dei Murderer’s Row. La line up
prometteva scintille, potendo contare su David Glen Eisley, Bob
Kulick, Jimmy Waldo, Chuck Wright e Jay Schellen, ma il prodotto
finale diceva veramente poco, un heavy rock spesso cavernoso e
metallico, dominato dalla chitarra di Kulick (Jimmy Waldo fa
atto di presenza e poco più). C’è un buon campionario di riff ma
il songwriting fa acqua e le atmosfere tendono al plumbeo. Il
meglio sta in “Hangman’s Moon”
(zeppeliniana senza raffinatezze) e in “Suicide
Saloon” (atmosfere alla Dirty White Boy e una bella
armonica western): niente, comunque, che possa sottrarre ‘Murderer’s
Row’ ad un meritato oblio.
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Milestone - 1996 |
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AORARCHIVIA |
D'ERCOLE "The
Ballad of C.L." |
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La band guidata dai fratelli
D’Ercole e Phil Vincent è arrivata al sesto album fra – mi pare
– l’indifferenza generale, ma continua imperterrita lungo la sua
strada fatta di metallurgia pesante anni ’80 ispirata in
prevalenza a Firehouse, Dokken, XYZ, Keel, con il meglio in “On
My Way”, sospesa tra le atmosfere della band di Bill
Laverty e i Kiss. C’è qualche diversione che prende la forma di
un violento melodic thrash (“Fighting”),
un power metal trito e inutile (“It’s All
Over Now”), un buon esercizio di street metal (la title
track). Se in “Dark Haired Lady”
suonano come dei Van Halen swinganti e un po’ stonati (ma
comunque divertenti), “Time & Time Again -
The Way You Treated Me” sono due canzoni inspiegabilmente
appiccicate l’una all’altra: una noiosa ballad vagamente Beatles
che dopo quattro minuti diventa un feroce hard rock molto AC/DC.
In definitiva: nulla di trascendentale, ma se il metal americano
dei Big 80s è il vostro pane, una chance a ‘The
Ballad of C.L.’ potreste anche darla.
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Pvm Records - 2019 |
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AORARCHIVIA |
DREAM COMPANY "The Wildest Season" |
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I Dream Company fanno il loro
esordio con un album che cerca di unire passato e presente del
rock melodico, spalmando un certo flavour scandinavo su canzoni
che richiamano di volta in volta Bon Jovi, Unruly Child, Dokken,
Journey. Buona la power ballad “River of
Love” e i toni nello stesso tempo cupi e anthemici un po’
H.E.A.T di “Revolution”, ma per ora
la band si muove più che altro sul terreno della celebrazione,
con tutti i limiti che questa strategia comporta.
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Tanzan Music - 2019 |
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AORARCHIVIA |
STATION "Stained Glass" |
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Gli
Station non sono più quelli
del secondo album omonimo (per saperne di più, seguite il link).
Già con ‘More Than The Moon’
avevano fatto un discreto passo avanti verso altre sonorità e
con questo ‘Stained Glass’ la
trasformazione è praticamente completa. La sola “A
Matter Of Time” ricorda il passato (un arena rock un po’
Def Leppard, efficace ma troppo lungo), il resto si rifà
all’hard melodico raffinato di fine anni ’80 come praticato da
Beggars & Thieves, Unruly Child e 21 Guns. L’album si snoda tra
pezzi elettrici e ballad per acustiche e keys con grande
scioltezza e se il songwriting non raggiunge i livelli delle
band ispiratrici è comunque di buona fattura. Consigliato!
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Station Music - 2019 |
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AORARCHIVIA |
STREETHEART "Dancing With Danger" |
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Gli Streetheart in genere
vengono ricordati solo per essere stati la band di Matt Frenette
e Paul Dean prima di approdare ai Loverboy, eppure sono stati
una delle migliori band dell’hard melodico canuck. Il meglio,
per i palati AOR, sta nel loro ultimo album, ‘Dancing
with Danger’ (prodotto da Spencer Proffer e registrato a
Los Angeles), uscito nel 1983, un perfetto esempio di melodic
rock primi anni ’80: i ritmi robotici delle tastiere suonati con
il sequencer e spesso apertamente danzerecci alla stessa stregua
dei Loverboy, i riff secchi, qualche sparso detrito dei ’70, le
melodie imparentate con quelle dei già citati Loverboy, i
Journey o Aldo Nova, un songwriting di prima classe. ‘Dancing…’
è stato ristampato dalla Rock Candy nel 2012.
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Boardwalk Records - 1983 |
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AORARCHIVIA |
TIGHT FIT "The Fine Line" |
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Pubblicato dalla defunta Long
Island nel 1996, questa solitario album degli americani Tight
Fit era un disco a corrente alternata, offrendo cose buone o
addirittura molto buone ed altre decisamente insipide. Fra
quelle sciape, possiamo mettere “When I
Look Into Your Eyes”, ballad levigata e tutta keys,
banale fin dal titolo, l’esercizio di Bryan Adams sound “Those
Were The Days”, gli Autograph in salsa Journey di “Where
You Wanna Be” (troppo lunga). Ottima, invece, la
drammatica “On My Own”, il clima
anthemico della galoppante “Heat Of The
Night”, la power ballad maschia e molto Survivor “Run
For My Life”, l’hard melodico dinamico e raffinato di “Too
Young To Die”, il connubio Autograph/Baton Rouge della
divertente “Tell It To My Soul”.
Una ristampa che lo cavasse fuori dall’oblio non sarebbe una
cattiva idea. |
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Long Island Records- 1996 |
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AORARCHIVIA |
EVEREST "One Step Away" |
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Fu solo nel 1996 che il
secondo album degli Everest – inciso nel 1985 – vide la luce,
grazie alla mai abbastanza lodata Long Island. La brava singer
Andrea Duncan cantava una sola canzone, la notevole “Runnin’
On” (drammatica e molto Surgin’), mentre il bassista Ric
McDonald stava dietro il microfono nelle altre nove, mixate
(come per l’esordio) da Alex Lifeson. Se la title track
ricalcava (ma non in maniera esagerata) i Journey di “Separate
Ways”, “I’ll Never Let You Go”
virava negli spazi dell’atmospheric power con il plus di un bel
refrain pop, “Hold Me” era puro AOR
dei mid 80s tra le keys d’atmosfera e il riff robotico, “Will
Your Love Last Forever” e "We’re
All in This Together” ballad pomp, la prima solenne, la
seconda luminosa e in crescendo. “Fugitive”
confinava la chitarra di Don Gaze al refrain, “Stand
Up” suonava come dei Journey più hard, “Coming
Back for More” era quasi una ballad, magari un po’
Foreigner, “How Does It Feel” una
cover dei Toto (da ‘Isolation’).
Una ristampa sarebbe doverosa. |
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Long Island Records- 1996 |
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AORARCHIVIA |
LITTLE SISTER "Along The Way" |
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Uscì nel 1993 questo disco (il
terzo) del duo vocale formato dalle sorelle Jenny e Debbi
Lonmon. La poca rinomanza (lo ignora anche Heavyharmonies) si
può spiegare con il fatto che le sorelle erano sudafricane e
anche la label che pubblicò l’album era basata nell’estremo sud
del continente nero. Prodotto da Mike Flicker e Dennis East
degli Stingray, ‘Along The Way’
dava il suo meglio nei toni suadenti ed elettrici di “When
The Sun Goes Down”, nelle suggestioni Headpins con il
plus di un coro arena rock di “Whenever I
Need Somebody” e “The Wrong Way
Round”, nelle atmosfere Heart primi ’80 di “Never
Say Never”. Il resto era meno incisivo, a volte troppo
anonimo e/o scontato. Insomma, ‘Along The
Way’ resta un titolo minore: non superfluo, ma neppure
indispensabile. |
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Gallo - 1993 |
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