RECENSIONI IN BREVE
AORARCHIVIA |
HALESTORM "Into the wild life" |
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Album della
maturità per gli Halestorm? Non mi pare. ‘Into
The Wild Life’ manca di quella freschezza e del
songwriting superlativo che aveva fatto risplendere ‘The
Strange Case Of’. Qui non c’è un’altra “Rock Show”, una
nuova “American Boys”, una specie di "Here’s to Us". È tutto più
patinato e prevedibile, in un paio di casi anche troppo patinato
(con “Bad Girl’s World” vogliono
fare concorrenza a Christina Aguilera o cosa?), le poche schegge
più heavy si rivelano inconcludenti (le citazioni Sabbathiane al
principio di “Sick Individual” sono
proprio fuori posto) e le code strumentali che allungano diverse
canzoni del tutto inutili. Pure, questo non è affatto un brutto
album: è moderno, melodico, elettrico, con begli acuti (la
divertente e sfacciata “Apocalyptic”,
una “I Like it Heavy” molto alla
Joan Jett). Ma, ripeto, non regge il confronto con quanto inciso
tre anni fa, soprattutto nel comparto ballad, in cui la
bellissima voce di Lzzy diventa regolarmente troppo fredda e
controllata. Non proprio un colpo a vuoto, ‘Into
The Wild Life’, ma senza dubbio il calo di ispirazione
non promette bene per il futuro della band. |
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Atlantic - 2015 |
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AORARCHIVIA |
NEW FRONTIER "New Frontier" |
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Orientati
verso la soft side dell’AOR questi New Frontier, con un sound in
cui prevalevano i riferimenti a Journey e soprattutto ai primi
lavori solisti di John Waite, anche in virtù di una notevole
somiglianza a livello vocale (sia di timbro che di stile) tra
l’ex Babys ed il singer Monty Byrom. Con la produzione de luxe
di Ritchie Zito, ‘New Frontier’
procedeva liscio e piacevole per tutti i suoi quarantatre
minuti, con una certa enfasi r&b nella seconda parte. Il top,
nei chiaroscuri elettrici e raffinati di “Burning
The Page”.
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Mika/Polydor - 1988 |
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AORARCHIVIA |
MAXX EXPLOSION "Dirty angels" |
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Non avendo
ancora ascoltato il nuovo House of Lords, ‘Indestructible’,
non posso sapere se la backing band di James Christian,
di nuovo riunita sotto il moniker Maxx Explosion, ha fatto
ancora una volta meglio del suo boss, ma sentito quello che
viene fuori da ‘Dirty Angels’, è
molto probabile che la storia si ripeta. Questo è un album
brillante, poliedrico, che guarda (ovviamente) alle ultime cose
degli HoL (fra cui spicca il riff sinuoso della cromatissima “Fast
Enough”), molto meno influenzato dai Van Halen rispetto a
‘Forever’ e più incline verso il
sound contemporaneo degli Winger (ascoltate “Doctor
Saturday” e “Over The Line”).
Ben riuscita la cover della classica “Dream
Weaver” e menzione speciale per la title track, pregevole
power ballad dal crescendo maestoso e potente. ‘Dirty
Angels’ è sicuramente una delle migliori uscite
dell’anno: non fatevelo mancare. |
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Kivel - 2015 |
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AORARCHIVIA |
HOUSE OF LORDS "Indestructible" |
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Come volevasi
dimostrare, ‘Indestructible’ perde
nettamente il confronto con il nuovo Maxx Explosion. James
Christian insiste a proporci una minestra riscaldata che può
accontentare solo i fan più arrabbiati, inondando per di più le
canzoni di vocalizzi, cori, controcori… Il meglio sta nel groove
efficace della title track, praticamente un boogie serratissimo
ma con un bel refrain arioso, e nelle soluzioni ritmiche
accattivanti di “Eye of the Storm”.
Per quanto riguarda il resto, si passa da track insignificanti
(“Go To Hell”) alle solite alchimie
sonore pompose e pompate a cui James ci ha abituato (“Die
To Tell”, “Another Dawn”, “Ain't
Suicidal”) e che suonano ormai fruste o scontate, un
furto palese ai Led Zeppelin (“Pillar of
Salt”, che campiona “Ten Years Gone” prima di sparare un
refrain in cui James torna imperterrito a citare se stesso), due
power ballad di discreto livello (soprattutto grazie agli
arrangiamenti), un paio di class metal californiani carini e
niente più. Perché continuare a mortificare quel moniker
glorioso con album sciapi, inconsistenti e inutili?
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Frontiers - 2015 |
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AORARCHIVIA |
ROOM EXPERIENCE "Room Experience" |
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I Room
Experience (moniker un tantino strano, se vogliamo…), sono la
creatura del tastierista Gianluca Firmo, che aiutato dal
validissimo team di strumentisti italiani già ascoltato
all’opera sui progetti Lionville, Charming Grace, Shining Line
(Pierpaolo ed Amos Monti – ottima sezione ritmica –, il
multistrumentista Davide Barbieri ed altri), ha confezionato un
ottimo lavoro di AOR patinato e melodico, in bilico fra
classicità (il refrain avvincente di “Shock
Me”, i bei chiaroscuri un po’ Survivor che marezzano la
ghost track “Something in The Wind”)
e modernità scandinava (“Queen of Every
Heart”, “No Sign Of Summer”,
la melodia pop di “No Time Yet For Lullaby”),
fitto di ballad più o meno power. Impeccabile la produzione,
belli gli arrangiamenti, l’unico motivo di frizione aurale
potrebbe essere la voce del cantante David Readman (Pink Cream
69), col suo timbro anonimo ed uno stile in certi momenti troppo
da singer heavy metal.
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MelodicRock Records - 2015 |
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AORARCHIVIA |
HEAVEN'S WISH "Heaven's Wish" |
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Onesti
artigiani del metal californiano, questi Heaven’s Wish.
Attingevano senza troppa fantasia al catalogo di riff, melodie
ed atmosfere di Ratt, Crüe, Firehouse, Vinnie Vincent Invasion,
Slaughter, Dokken e compagnia losangelena, offrendoci un lotto
di canzoni che si risolvevano in buoni esercizi di stile senza
(ovviamente?) nulla di personale: l’acuto si intitola “Cindella’s
Ball”, un notevole impasto Crüe/Van Halen e se
l’ispirazione fosse stata di questo livello per tutto l’album…
Il punto più basso risulta invece la ballad “Boulevard
Of Broken Dreams”, ricalcata (inevitabilmente?) su “Is
This Love”, inutilmente lunga e con un refrain che dà sul
lamentoso. ‘Heaven’s Wish’ è da
ricordare soprattutto per la data di uscita: 1994. In
quell’annus horribilis per l’hard rock melodico, pubblicare un
album di class metal cromato e festaiolo era quasi una
provocazione che, nonostante il livello non elevatissimo della
proposta, avrebbe meritato miglior fortuna solo per il coraggio
avuto dalla label nel proporlo ad un pubblico ormai tutto preso
da altre alchimie sonore. |
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Universal - 1994 |
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AORARCHIVIA |
THE BREAKS "The Breaks" |
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Mi pare che
non sia mai stato stampato in CD, questo unico album dei The
Breaks, ed è un peccato perché la band praticava con buona
efficacia l’AOR della prima metà dei Big 80s, con un sound in
linea con le produzioni contemporanee (uscì nel 1983) di
Loverboy ed Aldo Nova, magari con uno sguardo alle cose più pop
dei Cars. Bella la voce di Susanne Jerome Taylor (un po’ sul
genere di Fiona), che rendeva la proposta della band simile a
quella dei più fortunati (ma non di moltissimo) Scandal: un
genere di AOR strettamente imparentato con il pop ottantiano che
sembra diventato materia per i libri di storia dato che al
giorno d’oggi non lo suona più nessuno ed è snobbato anche dal
settore ristampe, più interessato al recupero di band dalle
sonorità spiccatamente rock.
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RCA - 1983 |
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AORARCHIVIA |
ESTRELLA "We will go on" |
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Sono ancora
poco noti fuori dal Regno Unito questi quattro ragazzi scozzesi
giunti ad un secondo album di notevolissima caratura. Seguiti da
un team estremamente professionale – preproduzione e mastering a
cura di Pete Shoulder (The Union), Luke Morley (Thunder) e Pete
Mayer (Rolling Stones), produzione di Nick Brine (The Darkness,
Thunder) –, gli Estrella si presentano con un sound che amalgama
con disinvoltura Def Leppard, Queen, Status Quo, Cheap Trick,
Bon Jovi e Journey, spesso con un notevole vigore anthemico e
soprattutto con una freschezza d’ispirazione che ha pochi
riscontri nel panorama attuale, così che ‘We
Will Go On’ risulta un album ottantiano fino al midollo
ma senza alcun ricorso al “copia & incolla” che affligge la
massima parte delle uscite recenti nel campo dell’hard rock
melodico. Gli Estrella non hanno (ancora?) una label, e l’album
lo trovate su iTunes e Amazon UK: lo consiglio a tutti, senza la
minima riserva. |
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Autoproduzione - 2015 |
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AORARCHIVIA |
MAXIMUM "Just for kicks" |
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Alla
categoria delle lost gems dovremmo associarne un’altra
che si potrebbe battezzare “lost patacche”. Ogni volta
che una label specializzata in ristampe e/o rarità discografiche
annuncia con gran strombazzare la pubblicazione dell’album
dell’ennesima band straordinaria di cui nessuno ha mai sentito
parlare, uscito a suo tempo in sette copie distribuite solo nei
negozi di un paesetto dell’Illinois o del Vermont, oppure la
raccolta dei demo incisi dalla straordinaria band che nessuno
conosce perché non è mai riuscita a lasciare il suo paesetto
dell’Illinois o del Vermont, le probabilità di imbattersi in una
lost gem sono sempre ridottissime, mentre quelle di
ritrovarsi fra le mani una lost patacca risultano vicine
al cento per cento. I Maximum rappresentano perfettamente la
categoria, con un album che doveva uscire addirittura per
l’Enigma (così si dice, almeno) nel 1989 ed è stato infine
pubblicato da una label tedesca nel 2002, anche se non so
spiegarmi perché la suddetta label si sia presa il fastidio di
divulgare l’opera di questi cloni di bassa lega di Ratt e Crüe,
del tutto superflui e perfettamente inutili salvo come pietra di
paragone in fatto di mediocrità e fulgido esempio di lost
patacca. |
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Sunset Records - 2002 |
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K.K.
WILDE "Rock-N-Roll" |
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Il miglior
paragone che posso offrirvi per il sound di questa band è con i
Black’n’Blue: provate ad immaginare una versione della band di
Jaime St.James (il singer Kris Kurry era praticamente un suo
gemello vocale) con un suono di chitarra più scarno e diretto,
cori sempre ben orchestrati e flash variegati di tastiere. Anche
se, in linea con la band ispiratrice, tentavano di mettere un
notevole vigore anthemico nelle proprie canzoni, il loro
songwriting si faceva più efficace quando sacrificavano
l’aspetto bombastic a favore di arrangiamenti meno
lineari e più densi di keys, come su “Living
in Sin”, “Round And Round”
(dove trovano soluzioni melodiche vicine a quelle dei Warp
Drive), nell’eccellente metal da spiaggia “Inside
Out” (vagamente reminiscente di “Nature of The Beach”) e
nel party anthem “Boys Night Out”.
Nel complesso, ‘Rock-N-Roll’
risulta comunque un album sopra la media. L’anno successivo,
pubblicarono (sempre per la Platinum) ‘Cocaine
Cowboys’, che la label stampò in quattro copie e solo su
vinile (gli esemplari in CD che hanno girato per un po’ su eBay
di quest’album erano dei falsi: la Platinum, ripeto, lo editò
solo in LP). Una ristampa non sarebbe fuori luogo. |
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Platinum Records - 1991 |
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AORARCHIVIA |
KELLY
KEELING "Mind Radio" |
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L’unico
motivo per mettersi all’ascolto di questo nuovo album solista di
Kelly Keeling (in cui Kelly ha messo in pratica solo la voce),
sono le tre canzoni scritte da lui assieme a Jack Ponti e Lance
Bulen. Purtroppo, Alessandro Del Vecchio non le ha gratificate
con la produzione che meritavano, (bombastic e potente
alla maniera dei Baton Rouge), disinnescandole fino a renderle
innocue. Il resto è il solito AOR hard edged che Del Vecchio ed
i suoi musicisti di fiducia (Mario Percudani, Anna Portalupi,
eccetera) praticano per i clienti della Frontiers: competente ma
tutt’altro che geniale. E anche la grande voce di Kelly non
basta a trasformare questa materia evanescente in qualcosa di,
non dico memorabile, ma perlomeno in grado di resistere
validamente a più di tre ascolti senza scatenare crisi di sbadigli.
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Frontiers - 2015 |
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AORARCHIVIA |
NEWCITY ROCKERS "Newcity Rockers" |
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Naturalmente,
tutti ricordano questa band solo per la cover della “Black
Dog” zeppeliniana, trasformata dai Newcity Rockers in un
ardito ibrido tra un anthem da stadio ed un brano da discoteca
rock: un’interpretazione irriverente, e senza dubbio divertente.
Ma erano i Big 80s: non esisteva niente di sacro, e
copiare e basta era considerato innanzitutto noioso. Del resto,
anche la “Brother Louie” degli Hot
Chocolate (ma più nota nella versione degli Stories, anche se
stiamo parlando soltanto di un’ennesima variante della
coverizzatissima “Louie Louie”) venne laccata e anthemizzata a
dovere. Il resto è fatto di pop rock impeccabilmente prodotto,
decisamente keys oriented, con una spiccata predilezione per il
sound degli Autograph (ma nel refrain della ballad “Common
Man” spuntano gli Scorpions, “Break
A Heart” suona come una versione pop degli Aerosmith e “The
Calling” è una suggestiva tranche di atmospheric power).
Appena un po’ di elettricità in più e ‘Newcity
Rockers’ sarebbe stato un piccolo capolavoro del nostro
genere, ma resta comunque un album divertente e godibile:
scanzonato, festaiolo, leggero eppure pieno di piccole
raffinatezze che ci ricordano un’epoca in cui anche la musica
più commerciale veniva presa terribilmente sul serio dai suoi
artefici, capaci di trasformare (inconsapevolmente?) un
qualunque album di pop rock in una deliziosa operina d’arte. La
ristampa del 2006 pubblicata dalla Retrospect aggiunge due bonus
tracks di fresca registrazione e molto più rock del materiale
originale, belle esercitazioni sul classico sound dei Bad
Company che la band (ovviamente) ricopre con un bello strato di
cromo luccicante. |
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Critique/Atlantic Records -
1987 |
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AORARCHIVIA |
FALL TO JUNE "Fall to june" |
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Questi Fall
To June sono perfetti per rappresentare lo stato di totale
sbandamento in cui si rotola voluttuosamente la scena rock del
ventunesimo secolo. Registrano da soli? Certo, ma hanno comunque
una label (per quel che può contare). Sanno suonare? Sì, senza
dubbio. Il cantante sa cantare? Eccome, ha anche una bella voce.
E allora, cosa gli manca? Le canzoni, gli mancano. Cercano di
fondere rock moderno alla Nickelback/Shinedown all’hard rock più
classico dei ’70, ma il risultato è così amorfo che, nonostante
il volume, la noia arreca all’ascoltatore invincibili attacchi
di narcolessia. La sola “Delta Breakdown”
risulta divertente ed abbastanza pimpante con la sua atmosfera
southern, ma anche qui non c’è niente che non abbiamo già
sentito (e fatto molto meglio) in qualche album di Lynyrd
Skynyrd, Outlaws, Blackfoot eccetera. E allora: a chi o cosa
servono questi tizi? E perché tanti altri come loro, risultano a
volte addirittura osannati da un pubblico stordito o rimbambito?
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Southern Son/Ballistic -
2015 |
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AORARCHIVIA |
JOEL HOEKSTRA'S 13 "Dying
To Live" |
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Messa in
soldoni, questa release di Joel Hoekstra sarebbe una noia al
cubo se non fosse per “Long For The Days”
e “Scream” (dal riffing
piacevolmente variato), la conclusiva “What
We Believe” (bell’esercizio di sound zeppeliniano sul
versante esotico/misterioso) e il divertente boogie metallico “Never
Want” (che però è in scaletta solo nell’edizione
giapponese). Tutto il resto è un unico pappone metal, in bilico
tra l’epico ed il class, molto cromato, intarsiato di uno
shredding arido che spesso deborda in un classicheggiare un po’
Malmsteen e ricorda (in peggio) certe cose degli ultimi House of
Lords. In definitiva, Hoekstra si dimostra su ‘Dying
To Live’ un songwriter modesto ed un chitarrista
insignificante. Considerato quanto abbiamo ascoltato da lui in
precedenza, tra Night Ranger e Whitesnake, si deve concludere
che il buon Joel non è in grado di prodursi su alti livelli in
autonomia, ma solo quando viene adeguatamente guidato e
pungolato da qualcuno decisamente più talentuoso di lui |
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Frontiers - 2015 |
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AORARCHIVIA |
STATION "Station" |
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Questa band
si meriterebbe di passare alla storia per il fatto di essere
stata la prima (almeno suppongo) a rubare ai Bulletboys (!!),
dato che la loro “More Than Enough”
ha il refrain palesemente ricalcato su quello di “Smooth Up in
Ya”, e ‘Station’ non si fa mancare
altre citazioni o riciclaggi, al punto che il suo ascolto
scatena un vero e proprio rosario di monikers, parte una canzone
e ne aggiungi subito un altro: questi sono i Ratt… ecco i Crüe…
questi sono i Leppard… adesso tocca ai Black ’N Blue… eccoci ai
Journey… e potevano mancare gli Autograph?... ma questo non è
John Waite?... Eccetera. Ma, questo è il bello, ‘Station’
non è affatto una ciofeca, e anche se non ci trovate un riff o
una melodia originale a pagarle un miliardo, è tale il garbo con
cui questa band newyorkese procede che i 71 minuti dell’album
vanno giù lisci che è un piacere, diventando praticamente una
festa per chi ama tutto ciò che è stato hard rock melodico negli
USA dei Big 80s, ponendo gli Station allo stesso livello di
altri apprezzabili replicanti di quel suono come i Tango Down.
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Electric Cheetah Records -
2015 |
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AORARCHIVIA |
JOHN THOMAS "John Thomas" |
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“John Thomas”
è un moniker, non il nome di un interprete: la band era un
duo, John Metherell (voce) e Mike Thomas (chitarra) e se devo
anche spiegarvi come è stato composto il suddetto moniker… Anche
se venivano dal Canada, i John Thomas si dedicavano al più
genuino suono rock yankee da FM (anche se nella seconda parte
dell’album c’è una leggera sterzata southern), opportunamente
irrobustito da chitarre hardeggianti sempre ben impastate alle
acustiche, con chiari riferimenti all’universo sonoro di Bryan
Adams, Bon Jovi, Mitch Malloy, John Waite. John Metherell
cantava come un Bryan Adams più acuto e rasposo, suono e
produzione erano davvero di ottimo livello, non mancavano gli
ospiti più o meno prestigiosi (i Von Groove al completo, fra gli
altri): ristampare l’unico parto di questa band sarebbe
tutt’altro che un’eresia. |
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Long Island - 1995 |
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AORARCHIVIA |
DEF LEPPARD "Def Leppard" |
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Che ci fosse voglia di restaurazione in casa
Leppard l’aveva reso chiaro l’operazione ‘Viva!
Hysteria’ e questo album autointitolato ne è espressione
eloquente, bastano le prime note di “Let’s
Go”, con il riff ricalcato su quello di “Pour Some Sugar
on Me”, e quell’estensione di “Rock of Ages” intitolata “Man
Enough” a rendere l’idea che ‘Def
Leppard’ rappresenta un distillato di tutto il meglio che
questa band ha inciso nei suoi anni più luminosi, tra l’83 ed il
’92. Permane qui e là qualche vaga sfumatura più brusca, ma è
evidente che Joe Elliott e soci hanno realizzato quanto fosse
stupido andare contro la propria storia (ed il proprio pubblico)
per cavalcare trend che mai potrebbero appartenergli,
ributtandosi senza più remore a fare quello che gli riesce
meglio: l’arena rock. |
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earMusic - 2015 |
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AORARCHIVIA |
BEDLAM "Into The Coals" |
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I Bedlam
appartenevano a quello sparuto gruppo di band che cercava di
importare nell’hard rock (più o meno melodico) il rock
mainstream sul versante new wave. Rispetto ad altri membri del
club come Beggars & Thieves e Neverland, risultavano un po’ meno
ispirati nel songwriting ed un po’ più influenzati dalle
classiche architetture rock yankee (alla Tom Petty o John
Mellecamp, per intenderci). ‘Into The
Coals’ resta comunque un prodotto discografico di buona
caratura, raccomandato soprattutto a chi si è fatto ammaliare
dal primo, straordinario album dei Neverland, anche se –
ribadisco – qui non si raggiungono quegli stratosferici
livelli. |
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MCA - 1992 |
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AORARCHIVIA |
BROKEN VOICES "Broken Voices" |
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Misconosciuta
creatura dell’ex Little River Band Graham Goble, i Broken Voices
registrarono nel 1990 (ma rimase inedito fino al ’97) una
piccola gemma di AOR sofisticato, tra le cose migliori che
l’Australia abbia mai prodotto in ambito rock melodico,
caratterizzata soprattutto da un equilibrato impasto tra
elettrico ed acustico e dalla bella voce della cantante Susie
Ahern. Il top nel meraviglioso impasto tra atmospheric power,
lirismo soul e suggestioni celtiche su un registro molto
elettrico intitolato “Halls Of Justice”,
nelle trame raffinatamente AOR di “Restless
Heart” e “Secret Affair”,
nelle deliziose sfumature spagnoleggianti di “I
Have No Words” e “Wanted”,
la seconda con begli spruzzi di jazz. Il prezzo a cui gira tra
Amazon ed eBay è abbastanza sostenuto (attorno ai trenta
dollari), ma chi ama le frange più raffinate dell’AOR non
rimpiangerà certamente i soldi spesi.
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Thoughtscape Sounds - 1997 |
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AORARCHIVIA |
SPIN 1ne 2wo "Spin 1ne 2wo" |
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L’unico album
degli Spin 1ne 2wo, band formata da pezzi più o meno grossi
della scena musicale anglo americana (Rupert Hine, Steve
Ferrone, Tony Levin, Paul Carrack, Phil Palmer), resta per me
uno dei migliori cover album di tutti i tempi. Dodici pezzi di
band famosissime (Led Zeppelin, Who, Cream, Bob Dylan, eccetera)
rifatti con un’encomiabile misura, modernizzando dove occorreva,
aggiungendo esili sfumature prog rock in diversi frangenti,
riuscendo nella difficile impresa di assemblare un set di
canzoni dalla grandissima fluidità. Singolare ma azzeccata fu la
scelta di incidere “Black Dog” in
versione solo strumentale, con la chitarra di Phil Palmer che
eseguiva la linea melodica dettata dalla voce di Robert Plant e
bella anche la versione di “Kashmir”,
con una sobria interpretazione di Paul Carrack (forse qualcuno
lo ricorderà voce della splendida “Silent Running” di Mike & The
Mechanics) lontana dagli stereotipi dal tipico canto alla Percy.
Ma il capolavoro è la loro versione di “Can’t
Find My Way Home” (dei Blind Fate), densa di meravigliosi
chiaroscuri, con lo stick bass di Tony Levin in evidenza ed un
Paul Carrack divino.
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Columbia/Sony - 1993 |
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AORARCHIVIA |
BLOOD RED SAINTS "Speedway" |
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Se avete
sempre pensato che agli FM farebbe un gran bene una bella dose
di modernità AOR scandinava in stile Eclipse, questa è la band
che fa per voi. I Blood Red Saints operano questo melange con
grande sapienza ed è addirittura sorprendente l’efficacia con
cui riescono ad incrociare e fondere i sound di due band magari
non proprio antitetiche ma di certo non vicinissime. Mano a mano
che l’album procede, l’influenza nordica tende a scemare e le
canzoni diventano in più di un frangente pura materia FM post ‘Tough
It Out’, e sempre molto ben assemblata. I fan della band
di Steve Overland ovviamente gradiranno ma ‘Speedway’
ha comunque i numeri per piacere a tutti.
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Frontiers - 2015 |
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AORARCHIVIA |
SWEET F.A. "Stick to Your Guns" |
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Band di
retroguardia, i Sweet F.A., ma nient’affatto disprezzabile con
il suo metal californiano decisamente sleaze che a volte
derivava verso lo street rock. “Rhythm of
Action” era un mid tempo sexy ed insinuante, “Do
a Little Drivin’” esibiva un riffing zompettante che
faceva tanto Van Halen, la title track aggiungeva alla pietanza
metallica di base qualche sfumatura southern, “I
Love Women” ci dava dentro con il party rock, “Breakin’
the Law” era swingante e rude alla maniera dei Van halen
riletti dai Bulletboys, “Southern Comfort”
chiudeva l’album con una ballad per chitarre e voce (rauca e
nevrotica quella del singer Steven David DeLeong, ma
perfettamente calata nel genere praticato dalla band) con bei
chiaroscuri zeppeliniani e refrain luminoso. Perché a nessuno è
ancora venuto in mente di ristamparli?
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MCA - 1990 |
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AORARCHIVIA |
THE PAUL GODFREY BAND "Magic Touch" |
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Anche se uscì
nel 1990, questo secondo parto della Paul Godfrey Band suona
come se fosse stato inciso cinque o dieci anni prima: tipico AOR
della prima metà dei Big 80s in perfetto equilibrio tra pop e
hard rock secondo la lezione dei Loverboy (con qualche sparso
tocco alla Bryan Adams e Toto), mentre la bella voce di Celeste
Alexander (ma il leader duetta con lei sulla title track e
prende il microfono per “Wild Ones”)
porta ad ulteriori, inevitabili paragoni con gli Scandal e gli
Heart dell’album omonimo. Una ristampa sarebbe raccomandabile,
anche per lo status di rarità che questo CD si è guadagnato:
l’ultima volta che l’ho avvistato su eBay portava un cartellino
del prezzo che diceva: 500$.
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Ossum Possum Records - 1990 |
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AORARCHIVIA |
WILD BOYZ "Unleashed!" |
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Ma quante
band c’erano negli USA durante i Big 80s come i Wild Boyz? Di
sicuro erano tante, altrettanto sicuramente erano troppe… Gli
spunti da cui partivano erano sempre gli stessi: Firehouse,
Trixter, Steelheart, tutti i decani del metal californiano dai
Van Halen ai Crüe... una massa sterminata di act e non sempre
ispirati (e ben supportati da produttori di talento) come quelli
citati sopra. Dalla loro, i Wild Boyz avevano un ottimo cantante
per il genere praticato (quasi un sosia di C.J. Snare dei
Firehouse), suono pulito e molto curato nelle timbriche degli
strumenti, e la capacità di offrire una routine competente per
tre quarti d’ora di melodic metal californiano divertente ma
senza acuti. Una band onesta, insomma, ma certo non memorabile,
consigliata però a chi del metal di Los Angeles del bel tempo
che fu non vuol farsi scappare niente. |
INDICE |
Polaris records - 1991 |
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AORARCHIVIA |
JOE
LAMONT "Secret You Keep" |
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Non fatevi
abbagliare dalla gran quantità di luminari dell’AOR coinvolti
(Dan Huff, Bill Cuomo, Alan Pasqua, Richard Gibbs,Vinnie
Colaiuta solo per fare qualche nome), quest’unico (da quel che
so) album di Joe Lamont è un prodotto nella media nel settore
dell’AOR e del pop rock dei mid 80s, impostato sulle coordinate
sonore codificate da Van Stephenson, Loverboy, Toto, Aldo Nova,
Surgin’ e compagnia. Il meglio sta nell’ancheggiare molto
Loverboy di “Sharks” e nel funky
dance “Heartbreak City”, il resto
di ‘Secret You Keep’ contiene
musica gradevole ma non esattamente memorabile. La Yesterrock
l’ha ristampato nel 2010, rendendolo disponibile per la prima
volta in CD. |
INDICE |
Private Records - 1985 |
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AORARCHIVIA |
OSUKARU "Triumphant" |
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Se dovessimo
giudicare questa band solo dal punto di vista del songwriting e
per la qualità delle performance strumentali, il voto sarebbe
alto, dato che l’AOR degli svedesi Osukaru è ben assemblato e
suonato, muovendosi con grazia fra gli universi sonori di
Journey, Boulevard e Toto (che bello quel sax che spesso e
volentieri fa gli assoli al posto della chitarra). Le dolenti
note arrivano quando prendiamo in esame le parti vocali. Questa
band ha due cantanti, Fredrik Werner e Cecilia Camuii, i quali
in più di un frangente risultano entrambi sfiatati e/o stonati.
Quando non è necessario alzare troppo il volume le performance
migliorano (come nelle belle atmosfere Toto di “Walk
in Balance”) ma pare che le canzoni siano sempre suonate
in chiavi troppo alte o basse per le voci dei cantanti (come su
“I Won’t Let You Go”, dove Cecilia
Camuii è costretta a cantare su una tonalità troppo bassa,
innaturale per la sua voce acuta), dando al tutto un’impressione
di dilettantismo che mortifica un tessuto sonoro tutt’altro che
malvagio. |
INDICE |
City Of Lights - 2013 |
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AORARCHIVIA |
THE
ROSSINGTON BAND "Love your man" |
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Non per
caso o sfortuna quest album dell’ex (a quel tempo) Lynyrd
Skynyrd Gary Rossington non è diventato un classico o una
lost gem. Era l’epoca in cui le southern band cambiavano
pelle ritenendo che il genere fosse arrivato al capolinea e
anche il buon Gary tentò una netta sterzata verso l’AOR e l’hard
melodico. Purtroppo, i generi non dovevano essere del tutto nei
suoi precordi: così, a cose buone ma concentrate stranamente
nella seconda metà dell’album (“Stay With
Me”, che non avrebbe sfigurato sull’album omonimo degli
Heart; le suggestive melodie Journey di “Nowhere
to Run”; l’atmospheric power di “Say
It From the Heart”; le sciabolate elettriche di “I
Don't Want to Leave You” e “Enough
Is Enough”; un paio di belle fiammate southern, la title
track e “Don't Misunderstand Me”
che vede ospite Steve Morse) fanno da contrappunto anche dele
canzoni poco incisive e per nulla memorabili, sempre ben
suonate, arrangiate e prodotte ma scarse di mordente anche per
colpa della voce di Dale Krantz-Rossington, moglie di Gary che
negli Skynyrd si limita a fare la corista e non per caso, dato
che possiede una voce intonata e tecnicamente ineccepibile ma
assolutamente anonima. |
INDICE |
MCA - 1988 |
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AORARCHIVIA |
TOSELAND "Cradle the rage" |
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Se non fosse
per l’accento inconfondibilmente britannico del cantante,
proprio non li diresti, questi Toseland, una band inglese.
Prodotto da Toby Jepson, mixato nientemeno che da Mike Fraser, ‘Cradle
the Rage’ ha un suono prevalentemente ottantiano e
americano, mutuato da quelle band yankee che non si chiudevano
in un ambito ristretto ma svariavano da un fronte all’altro
dell’hard rock dei Big 80s, come Wildside, Wild Horses, Flame o
The Scream, con saltuarie incursioni nell’universo policromo dei
Little Angels (niente di strano, considerato chi li ha prodotti)
ed in quello dei Thunder. Tradizionali nel riffing ma senza
disdegnare soluzioni più moderne a livello armonico, con il
giusto apporto di tastiere, sempre un po’ sporchi di blues,
questo loro ‘Cradle the Rage’
risulta una delle cose più interessanti ascoltate da inizio
anno. |
INDICE |
Absolute Marketing- 2016 |
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AORARCHIVIA |
EPIC "Like
a phoenix" |
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Le label
dovrebbero evitare toni troppo roboanti quando presentano le
nuove band e anche di fare paragoni che non solo risultano del
tutto fuori luogo ma finiscono poi per trasformarsi in un
boomerang. La Escape millanta questi Epic (moniker che gronda
originalità da ogni lettera…) come una fusione di (tenetevi
forte) Saraya, Headpins, Witness, Heart e Winger. Se fosse vero
ci sarebbe da saltare dalla sedia, ma (ovviamente?) le cose
stanno in tutt’altro modo. La voce della cantante non ha niente
di straordinario ma il vero problema qui è il songwriting opaco,
basato su stilemi che ormai sono stati masticati e rimasticati
oltre il limite della sopportazione, riproposti per giunta senza
fantasia, con linee melodiche sempre fiacche o banali. Le dieci
canzoni di ‘Like a Phoenix’ si
ascoltano e si dimenticano immediatamente, senza lasciare la più
labile traccia nella memoria, se non come ottimo esempio di
album non ignobile ma definitivamente inutile. |
INDICE |
Escape - 2016 |
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AORARCHIVIA |
MIDORI & EZRA BOY "Midori & Ezra boy" |
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Li segnalo
con notevole ritardo (l’album è uscito ad agosto del 2015) ma
vale davvero la pena recuperare il parto di questa eccellente
band americana, che copre tutto l’arco dell’hard rock
californiano melodico senza mai finire nell’AOR, con una
prevalenza di atmosfere anni ’80, saltuari salti nei ’70 e
perfino qualche (lieve) inflessione power pop. “So
What” fa pensare a dei Ratt più melodici, “Burned”
è sexy e notturna con esplosioni di energia nel refrain, “Born
Lucky” ricorda un po’ gli Enuff Z’Nuff, “Love
Avalanche” ha deliziosi intrecci vocali che si insinuano
in un riffing molto Van Halen, “Over the
Edge” è una ballad elettroacustica suggestiva mentre
l’agile “Mile High” fa molto Guns
N’ Roses. Midori Longo ha una voce eccellente, la produzione è
ottima e, insomma, ‘Midori and Ezra Boy’
farà felice chiunque ami l’hard melodico dei Big 80s intonato da
una bella voce femminile. |
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autoproduzione -2016 |
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