RECENSIONI IN BREVE

 

AORARCHIVIA

WILD FRONTIER "2012"

L’ennesimo trattato di quel genere che non è class metal, né melodic rock, né AOR: il metal tedesco melodico. Per chi non lo sopporta, come me, è il solito coacervo di riff geometrici e assoli fatti di scale ripetute all’infinito, melodie tra il fesso ed il tronfio intonate da una voce che pare quella di un sergente della Wehrmacht impegnato a dare ordini al suo plotone durante una marcia forzata, qualche variazione pseudo moderna per non fare la figura di quelli che non si sono accorti che il ventunesimo secolo è cominciato già da qualche annetto, il tutto infarcito di scopiazzature e plagi talmente sfacciati da lasciare interdetti, come “It’s all up to you” che ruba integralmente e senza vergogna il refrain di “Torn” di Natalie Imbruglia. Potrei dire che ‘2012’ è un disco ignobile o soltanto di cattivo gusto, ma sarebbe dargli in ogni caso un credito eccessivo: quest’ album è semplicemente una barzelletta, e di quelle che non fanno ridere.

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Prime Entertainment/ Music Buy Mail - 2012

 

AORARCHIVIA

MICHAEL THOMPSON BAND "Future past"

Un altro ritorno inaspettato è quella della MTB, di nuovo fra noi dopo ben quattordici anni. Questo 'Future Past' suona inaspettatamente heavy e gagliardo, ben lontano dall’AOR patinato dal capolavoro 'How Long'. La sensazione è che la personalità del nuovo cantante si imponga molto su quella di Thompson, che se si esibisce ad un ritmo sostenuto quando suona le parti ritmiche, poi non rinuncia al suo tocco solitamente vellutato negli assoli. Il songwriting è buono ma non lascia a bocca aperta. Considerando 'Future past' nella sua globalità, il dubbio che questa dimensione così elettrica e veemente poco si adatti al chitarrismo di Michael Thompson risulta legittimo.

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Frontiers - 2011

 

AORARCHIVIA

OXYGEN "Final warning"

Ma quante rock bands ci sono in Svezia? Non fai in tempo a sentirne una che te ne piombano addosso altre quattro... Fossero tutte come i Great King Rat, gli Snakes In Paradise, gli Electric Boys (o perlomeno gli H.E.A.T. o i The Magnificent) avremmo di che gioire, invece... Oddio, non che questi Oxygen siano da scaricare nel cassonetto più vicino, il cantante è una specie di Rob Moratti più freddo e meno eclettico, il sound è inchiodato su quello classico degli scandinavi dei Big 80s, AOR hard edged ultramelodico ("Janitor of Love", "When tomorrow never comes", "Bring Back The Joy", "I remember"), a volte fa capolino qualche vago spunto californiano ("Anything for you", "I wanna know for sure") e ci sono un paio di pezzi su cui fanno il verso al pomp muscolare dei Final Frontier ("We must fight", la ballatona "You") ed altri dove esplorano il versante più melodico del metal tedesco ("Gold from the future" e "Best days of our lives"). Il punto è, che il novanta per cento di questa roba l'abbiamo già sentita,  Dio solo sa quante volte e in chissà quanti dischi made in Sweden. 'Final warning' lo considero riservato a chi ha scarsa esperienza di quella scena o la adora al punto da voler possedere tutto quanto si registra fra Stoccolma e Malmoe.

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Escape - 2012

 

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HALESTORM "The Strange Case of..."

Con il secondo album, gli Halestorm approdano ad una dimensione musicale decisamente più melodica e meno furibonda rispetto all'esordio. La splendida voce di Lzzy (sic) Hale (immaginate una Teresa Straley più pulita e meno sexy) è una rivelazione e se la band avesse virato con maggior convinzione nei territori dell'hard rock americano più classico, come sulla entusiasmante "American Boys" o in "Here's to Us" (avrebbero potuto firmarla anche i Tyketto), ci sarebbe stato di che gioire. Ma le architetture moderne delle anthemiche e molto Nickelback "I Miss the Misery", "Freak Like Me" e "Don't Know How to Stop", il gran ritmo di "Rock Show", il commercial gothic di "Mz. Hyde", la ballatona "Break In" non lasciano certo l'amaro in bocca, e 'The stange case of...' vince, per me, il confronto con l'ultimo Shinedown, band a cui gli Halestorm vengono spesso accostati, per freschezza, songwriting e produzione (opera del veterano Howard Benson).

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ATLANTIC - 2012

 

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HUMBUCKER "R.O.C.K.S."

Si fa fatica a credere che questo disco sia opera di una band norvegese. Nei suoi quaranta minuti scarsi di durata, 'R.O.C.K.S.' tritura dieci anni del miglior metal californiano, impastando fragorosamente W.A.S.P., Crüe, Malice, Ratt, Keel, Tesla, Little Caesar e aggiungendo una bella palata di Kiss sound nell'opener "The Way I Am". Naturalmente, se cercate originalità e idee nuove avete sbagliato indirizzo, e infatti "Priscilla" non è altro che una versione ruvida e un po' ubriaca della "Sheila" degli Steelheart, ma chi se ne frega, gli Humbucker ci riportano a spasso sul Sunset Strip dei Big 80s e tutto il resto non conta veramente nulla. Mixato e masterizzato nientemeno che da Beau Hill, 'R.O.C.K.S.' è una (piccola) perla dedicata ai nostalgici del buon hard rock metallico del bel tempo che fu.

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Humbucker / Music Buy Mail  - 2012

 

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AUDIO PORN "Jezebels kiss"

Il moniker e la cover sembrano tutto un programma, ma questa band americana ha un suono molto meno anni '80 dei norvegesi appena più sopra. Come gli Hydrogyn (nel progetto è coinvolto il chitarrista di quella band, Jeff Westlake), gli Audio Porn provano a dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Se "Above The Stars" e "Cut" suonano cupe e moderne e "Breath Away" è un orrido rigurgito grunge, "Deeper Than The Bone" e "It’s Not A Dream" sono invece eccellenti metal californiani: il primo, randagio ma con una melodia suggestiva; il secondo, più cromato e tagliente. "Cry Me A River" fa molto Guns 'N Roses, i bei chiaroscuri di "Sweet 16" si contrappongono al gran riffone di "Butterfly". "Let Me Go" suona come dei Tyketto più ruvidi e moderni, mentre "Without You" è una ballad un po' opaca e chiude "Arms Of Suicide", che ricorda i T.S.O.L. più mortiferi. Il cantante Azriel St. Michael non svetta fra i colleghi per le sue performances ma riesce a destreggiarsi bene tra le atmosfere contrastanti dell'album. Meritano un ascolto.

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JK Records - 2012

 

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JAIME KYLE "The passionate kind"

Prodotto da David Cole, suonato da professionisti del calibro di Tim Pierce, Michael Thompson, Bruce Gaitsch, Kenny Aronoff, C.J. Vanston, l'esordio di Jamie Kyle si presentava come un eccelso trattato di AOR de luxe. "Kick It Down" e "Baby The Rain Must Fall" sono deliziosamente Bryan Adams, "Bed Of Roses" suona come un Bon Jovi più soft, la ballad agrodolce "What Am I Doing Here?" precede "Bad News", sinuosa ed elettrica, ammantata di chiaroscuri e con un grande refrain. "Let It Go" è un rock mainstream dalle sfumature Springteeniane, "Ragged Heart", dinamica e d'atmosfera, richiama un po' l'AOR di Van Stephenson, "No Sad Goodbyes" è una ballad tutta keys e chitarre acustiche prima della magnifica sferzata di energia bluesy di "When Angels Cry", con la sua melodia impagabile, e la chiusura con l'intenso soul AOR "Rescue Me". La splendida voce di Jamie Kyle rendeva onore a tutta questa magnificenza sonora con interpretazioni autorevoli e mature. 'The passionate kind' è un'altra scheggia del big sound del bel tempo che fu.

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Atco - 1992

 

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REDLINE "Vice"

Questo ‘Vice’ è riservato ai nostalgici del power metal americano dei Big 80s. Se smerigliate d’abitudine le vostre orecchie con Malice, Dio, Fifth Angel, Racer X, Twisted Sister e compagnia metallica, i Redline suppongo vi risulteranno molto appetibili. Il singer Kez Taylor è uno screamer dalle tonsille d’acciaio, i chitarristi Ade Yeomans e Steve Petty hanno memorizzato tutti i riff di rigore in questo genere di produzioni e non s’azzardano a fare neppure mezzo passo fuori dall’ortodossia metallica più fragorosa. Tecnicamente, ‘Vice’ è un album del tutto inutile, dato che ripropone senza alcuna variazione temi e stilemi frusti e rimasticati fino alla nausea. Ma, come dice il poeta, al cor non si comanda, e se nel vostro pantheon personale Ronnie James Dio e Rob Halford sono sempre le divinità supreme, i Redline hanno sicuramente molto per piacervi.

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Escape Music - 2012

 

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WORLD TRADE "World trade"

Spero che nessuno cerchi di far passare i World Trade come la prova generale degli Unruly Child. E' vero che qui militava la coppia Bruce Gowdy - Guy Allison, ma è anche vero che la musica di questa band si librava in spazi diversi, molto più eterei e rarefatti rispetto a quelli tempestosi e metallici degli UC. Gli Yes di '90125' erano difatti la primaria fonte d'ispirazione per i WT, con il singer Billy Sherwood che si proponeva come attendibile controfigura di Jon Anderson. Prodotto da Keith Olsen, 'World Trade' mixava Prog e AOR a volte con risultati eccelsi ("Life-Time", "Fight to Win", le sfumature Triumph di "The Revolution Song", il divino atmospheric power di "Wasting time") in altri momenti la vena più progressive e cerebrale prevaleva ma sempre con ottimo gusto, sottolineata da impasti vocali mirabili (ma, in qualche frangente, un tantino asfissianti). Comunque, una piccola gemma di cui chi ama le commistioni tra il Prog Rock e l'AOR non può fare a meno. Di prossima ristampa per la Rock Candy.

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Polydor - 1989

 

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MAMA'S BOYS "Power and Passion"

Parafrasando il titolo di un noto film, la carriera dei Mama’s Boys, il gruppo dei tre fratelli McManus, si potrebbe sintetizzare nello slogan: “Volevamo essere i Def Leppard”. Peccato che questa band non abbia mai avuto i mezzi di Joe Elliot e compagnia, la sua storia discografica passa tutta attraverso etichette indipendenti e budget certo non principeschi che le hanno permesso comunque di esprimere un rock melodico di buon livello. L’impianto generale di 'Power and Passion' è fatto di puro arena rock, con gli anthem che seguono gli anthem, qualche bella divagazione alla Thin Lizzy (“Lettin’ Go”, con le sue suggestioni celtiche), un sinuoso hard bluesy (la stratosferica “Needle in the Groove”) ed uno strumentale intitolato “The Professor II” dove i ragazzi si scatenano dimostrando un eclettismo fuori dal comune, passando in poche battute dal pomp, al funky all’heavy metal. La buona perizia chitarristica di Pat McManus e la produzione sapiente di Chris Tsangarides erano un ulteriore plus per un prodotto che avrebbe meritato riscontri superiori a quelli ottenuti. È stato ristampato nel 2006.

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Jive/Zomba - 1985

 

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HEART "Fanatic"

Un (brutto) giorno le sorelle Wilson si dissero: «Facciamo vedere a tutti questi giovinastri moderni quanto siamo in gamba, aggiornate ed alla moda: pubblichiamo anche noi un album di roccalternativo».

Perché, indubbiamente, ‘Fanatic’ è un album di roccalternativo. Ma è anche un terribile pastrocchio, rumoroso e confuso. Forse il problema nasce dal fatto che in questa occasione non hanno lavorato con un chitarrista solista, tutte le parti di chitarra sono state eseguite da Nancy (che non è mai stata, non dico la controfigura di Steve Stevens, ma neppure quella di Lita Ford) e dal produttore Ben Mink (il quale si trova molto più a suo agio con il violino che suona assieme alla sua band di musica tradizionale ebraica). Ne è venuto fuori un assemblaggio di riff elementari, cacofonici e stridenti (con un suono che sembra uscire da quelle chitarre di plastica che si comprano per cinquanta dollari nei supermercati americani) in cui scivolano parti di tastiere d’archi (la specialità di Mink) senza molto senso, completati da testi immaginosi ed incomprensibili. È un vero strazio sentire Ann che spande la sua voce divina su tutto questo frastuono tentando di imporre una melodia ed una direzione a canzoni che si riducono generalmente a goffi ammassi di elementi amorfi. Salvo (a stento)  “Skin & Bones” e “A Million Miles”. Quasi tutto il resto è la colonna sonora di un incubo da cui mi auguro le sorelle si sveglino quanto prima, prendendo atto che il roccalternativo non è bottega loro.

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Legacy - 2012

 

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TANGO DOWN "Identity Crisis"

Riservati a chi mangia pane e metal californiano, i Tango Down sono una band vintage che più vintage non si può. Il tempo si è fermato al 1988 o giù di lì per questi vecchi ragazzi che nelle dieci canzoni del nuovo ‘Identity Crisis’ non si allontanano dalla più stretta ortodossia rock codificata nei Big 80s nella Città degli Angeli, rimestando nel proprio calderone Ratt, Crüe, Quiet Riot, Autograph, Keel, Dokken, King Kobra, Whitesnake, Firehouse, dando vita ad un album di hard rock metallico e melodico, festaiolo e potente, maschio e solare. Dave Reece (Accept, Bangalore Choir, Sircle of Silence) è sempre un signor cantante, più acido oggi rispetto a vent’anni fa ma mai a corto di fiato, la chitarra di Steve Miller (Adriangale) macina riff ch’è un piacere, la batteria picchia senza assordare e le tastiere danno il ricamo armonico appropriato. Se siete (come me) tra quelli che non possono guardare una Jaguar senza pensare a Tawny Kitaen che si rotolava sul cofano della XJS di David Coverdale, ‘Identity Crisis’ sarà una gioia per le vostre orecchie.

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Kivel Records - 2012

 

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NUBIAN ROSE "Mountain"

Il monicker esotico e la cantante di colore Sofia Lilja sembrano promettere chissà quali contaminazioni etniche. Invece questa band svedese ci serve un buon class metal anni 80: a volte solenne (un po’ Dokken, magari), altre più californiano e party oriented (con qualche citazione Ratt di troppo su "Once Bitten"). La rivelazione è Sofia, che ha polmoni da vendere ed un'espressività per nulla teatrale, come una Darby Mills (Headpins) ancora acerba. Un esordio accattivante.

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Funklord Dinasty/Music Buy Mail - 2012

 

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EDGE "Heaven knows"

La Escape dimostra miglior fiuto quando va alla ricerca di bands fuori dai suoi confini nazionali, il catalogo di questa label annovera molte cose buone che vengono da USA e UK, ma quando decide di pubblicare qualcosa di aborigeno, (quasi) regolarmente inciampa in terribili ciofeche o ci dà in pasto operine banali, impacciate e dilettantesche. Questi Edge appartengono alla categoria peggiore in assoluto, quella delle band inutili. Il chitarrista Tobias Andersson viene da due gruppi inquadrabili in quello stesso ordine di entità insignificanti, gli Shadowland ed i Seven Wishes, la voce del cantante Jonas Forss è opaca e spesso mantiene l’intonazione a fatica, le melodie sono manierate e gli arrangiamenti straripanti di tastiere e – ma sarebbe quasi inutile specificarlo – in queste undici canzoni non c’è niente che non abbiamo già sentito un milione di volte, e magari fatto molto meglio. Perché allora la Escape si è fatta in quattro per accaparrarseli? La risposta è nel titolo dell’album: la sa il cielo…  

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Escape - 2012

 

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NEAL SCHON "The calling"

Questo nuovo album solo di Neal Schon appaia ‘Late night’ come valore ma lo supera senz’altro in fantasia e varietà. ‘Late…’ era centrato sull’AOR ed era solo in parte strumentale, ‘The calling’ lascia fuori la voce e apre scenari avventurosi per Neal, dalla fusion molto elettrica di “Carnival Jazz” all’intreccio di melodie celtiche della breve “Irish Field” al capolavoro “Fifty Six”, che shackera hard rock, jazz, funk e musica araba. E poi: blues, mutante e hi tech sulla title track e più tradizionale in “Transonic Funk” e nello slow “True Emotion”; due tranche di hard rock camaleontico e spettacolare con “Back Smash” e “Tumbleweeds”; il maestoso crescendo su un classico telaio AOR di “Six String Waltz” e “Blue Rainbow Sky”; il clima inquietante con qualche sfumatura etnica di “Primal Surge”; le atmosfere rarefatte di “Song Of The Wind II”. Grande musica non contaminata da virtuosismi fini a se stessi o caotici pastrocchi decifrabili solo dal loro artefice.

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FRONTIERS - 2012

 

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ACELSIA "Don't go where I can't follow"

Cercano di spacciarlo per AOR, ma attenti alla fregatura, questa band norvegese con l’AOR ha ben poco a che farci. La cantante sembra una Sue Millet passata in un congelatore, voce acuta, flautata, fredda, anonima, monotona e assolutamente inadatta al rock. La musica è spesso delicata (anche troppo), malinconica, totalmente moderna e ben poco ispirata, dato che in genere viene risolta con qualche armonia di tastiere gelide, la voce della cantante di cui sopra che va su e giù lanciando più acuti di quanto chiunque possa sopportare e saltuari tappeti di chitarre distorte e rumorose. Naturalmente, il disco se lo sono pubblicato da soli, quale label avrebbe mai investito un centesimo su questa roba? Soft rock pseudo melodico per quindicenni depressi, dilettantesco e noioso. Statene alla larga.

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QUIETUDE PRODUCTIONS - 2012

 

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CHASING VIOLETS "Outside heaven"

Questa è una recensione riparatoria. In quella dedicata agli If Only ho usato le cantanti dei Chasing Violets come esempio di vocalità poco adatta al rock e temo di aver dato l'impressione che questo 'Outside heaven' sia un album da poco. In realtà, si tratta di un pregevolissimo trattato di puro AOR, né troppo heavy né troppo pop, nobilitato da una produzione brillante, eccelsa qualità audio, un ordito strumentale di prim'ordine (tra i quattrodici chitarristi che si alternano fra le canzoni ci sono anche Bruce Gaitsch e Michael Landau), un songwriting di gran classe focalizzato in prevalenza sulla triade Journey / Loverboy / Michael Thompson Band. Sarah e Mélissa Fontaine non sapranno ruggire, ma le loro performances riescono comunque gradevoli, anche in grazia di una tecnica vocale impeccabile. Una delle cose migliori in ambito AOR del 2012.

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Perris - 2012

 

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CHASING VIOLETS "Jade hearts"

Mi spiace di non poter tessere le lodi anche di questo secondo album dell’ensemble francese. È un disco che forse è arrivato troppo presto, con un songwriting meno brillante e condizionato da un deciso aumento del volume delle chitarre che in più di un frangente sposta l’asse del sound dall’AOR più soft a quello hard edged con l’unico risultato di mettere pesantemente in imbarazzo le cantanti, che con le loro vocine flautate proprio non sono in grado di cavalcare il melodic rock più elettrico. La qualità del suono è sempre altissima, gli arrangiamenti variegati ed abbondano i bei passaggi strumentali, ma la resa generale del prodotto è inferiore a quella del predecessore. Non si può cavare sangue da una rapa e se Frédéric Slama vuol impostare davvero un discorso più hard rocking per questo progetto farà bene a cercarsi delle voci molto più robuste di quelle che Sarah e Mélissa Fontaine possono offrirgli.

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AOR Records - 2013

 

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JULLIET "Julliet"

Questo disco sembra fatto apposta per ricordarci che non tutto quello che è stato inciso durante i tempi d’oro del nostro genere è materia aurea a ventiquattro carati. Nonostante un nome grosso alla produzione (Frankie Sullivan) ed un cantante che sembrava la fusione perfetta fra Tom Keifer e Phil Lewis, i Julliet non erano capaci di andare oltre l’imitazione  smaccata o la riproposizione scolastica. Gli arrangiamenti scarni e le linee melodiche essenziali abbassavano ancora di più il livello di un album che già non contava su un songwriting eccelso e si perde in una teoria di esercizi freddi e senza nerbo nello stile Ratt/Crüe/Bon Jovi, quando non scade del plagio puro e semplice (“Chip Away”, ricalcata quasi nota per nota sulla “Don’t Go Away Mad (Just Go Away)” dei Crüe) o tenta la carta della cover, con una versione moscia ed insipida della “You Can Leave Your Hat On” di Joe Cocker (quella del film “9 settimane e ½”). Mediocrità senza attenuanti.

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ENIGMA - 1990

 

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DE LA CRUZ "Street level"

E adesso ci si mettono anche gli australiani… A fare l’hard melodico, naturalmente. E molto bene, oltretutto. Questi De La Cruz omaggiano il sound californiano più metallico con una grinta notevole imbastendolo di linee melodiche che spesso li fanno sembrare dei Def Leppard incarogniti (la title track, l’anthemica “Turn It Up”, “Cherry Bomb”, “Set The Night”, “Gimme Love”, “Dreaming”); oppure vanno direttamente al sodo con “Girls Go Wild” e “S.E.X.”, molto Ratt con qualche intarsio Malice; o “Legions Of Love”, che ha un telaio Dokken con vocals degne degli Autograph; non dimenticandosi degli Whitesnake versione L.A con “Invincible”, e mettendo la ciliegina sulla torta con la bella ballad elettroacustica “Shine”. Vivamente consigliato.

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Frontiers - 2013

 

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HOTSHOT "Hotshot"

Un altro moniker virtuale, che copre l’operato del cantante Mike Pont: coadiuvato da una lista impressionante di colleghi prestigiosi (i Danger Danger al gran completo, Al Pitrelli, Al Greenwood e molti altri), Pont ha registrato fra la fine degli ’80 ed i primi anni ’90 queste quattordici canzoni, senza mai riuscire a trovare uno straccio di label che gli desse fiducia, sciorinando con grande scioltezza tutto il repertorio californiano (con una forte predilezione per Ratt e Autograph conditi di impasti vocali alla Def Leppard), virando successivamente con autorevolezza nei territori del big sound alla Bryan Adams / Mitch Malloy. Questo disco omonimo raccoglie tutta (credo) l’opera di Pont e compagnia, e funziona benissimo se cominciate l’ascolto dal brano numero 4. Le prime tre canzoni, difatti, sono di una banalità soporifera e mal dispongono all’ascolto delle altre undici tracks, tutte invece molto buone.

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Split Finger Records - 2005

 

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LAWLESS "Rock Savage"

Una band formata da ex membri di Demon e Persian Risk fa temere, ovviamente,  una proposta musicale in pieno stile NWOBHM, ma questi Lawless, pur peccando in qualche frangente di banalità metallara sul versante epico/eroico (anche nei titoli: come si fa ad avere il coraggio di chiamare una canzone "Heavy Metal Heaven" nell'anno 2013?) praticano volentieri anche il versante class e con buoni risultati, "Black Widow Ladies" è un piacevole mid tempo bluesy, ma anche "SOS", "Rock n Roll City", "Step In" (gran riff) e "Scream" parlano la lingua del metal più cromato. Se vi piace l'alternanza nello stesso album di HM tradizionale di stampo britannico a stesure più in linea con il metal californiano, 'Rock Savage' non vi deluderà. Uscirà il 13 luglio.

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Escape - 2013