RECENSIONI IN BREVE
HARD BLUES
DEPARTMENT |
SHADOWQUEEN "Living Madness" |
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Per questo secondo album, gli
Shadowqueen cambiano leggermente la formula del loro hard rock:
vocals e scansioni ritmiche decisamente moderne ma un riffing
che guarda spesso e volentieri agli anni ’70, con frequenti
sconfinamenti nello stoner. In definitiva, una convincente
miscela di classico e moderno, sempre abbastanza ruvida, su cui
regna la sempre bellissima voce di Robbi Zanna: consigliato.
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INDICE |
Autoproduzione - 2017 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
GARY JEFFRIES "I Ain't Done Yet" |
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Il southern rock di Gary
Jeffries (chitarrista con un passato in Alligator Stew, The
Regulators, Asphalt Ballet) è modellato sui più classici
standard del genere: Skynyrd, Allmann, Outlaws, mentre Georgia
Satellites e Delta Rebels sembrano offrire il modello per le
parti vocali sempre un po’ sopra le righe di Gary.
L’originalità, insomma, non abita da queste parti, e anche se
qualche canzone risulta troppo lunga o decisamente superflua,
ogni scusa per fare una puntata verso il Sud del rock è bene
accetta, almeno a me. |
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Gator Jaws Records - 2017 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
KING KING "Exile & Grace" |
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‘Exile &
Grace’ è il quarto album di studio di questa ottima band
britannica e nonostante sia un eccellente prodotto discografico,
mi pare un po’ meno efficace del penultimo ‘Reaching
For The Light’. Il loro hard rock ha sempre i Bad Company
come fondamentale punto di riferimento, ma in ‘Exile…’
sento una presenza maggiore dell’organo Hammond che in passato e
qualche strizzata d’occhio ai Thunder di troppo. Bella la
digressione funky e decisamente Free di “Heed
The Warning” e sempre apprezzabili le loro
interpretazioni del sound della band di Paul Rodgers, in tutte
le sue declinazioni, eppure il livello generale mi sembra non
raggiunga quello di ‘Reaching For The
Light’: non ci sono filler (in ‘Reaching…’
ce n’erano un paio) ma neppure picchi strepitosi nel songwriting
(che in ‘Reaching…’ abbondavano).
Per chi ama il rock fascinoso dei Bad Company, i King King
restano comunque una priorità.
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Manhaton Records - 2017 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
JARED JAMES NICHOLS "Black Magic" |
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Un autentico masterpiece di
classico hard rock questo nuovo album del fenomeno della
chitarra blues Jared James Nichols. Lavoro compatto, potente,
policromo (le timbriche della chitarra di Jared cambiano sempre
da una canzone all’altra), esalta a partire da “The
Gun”, una vera lezione su come tramutare uno slow
blues in un anthem da stadio. Da un funk nerissimo (“Honey
Forgive Me”) agli omaggi ai grandi (“Run”
ripropone i Bad Company in chiave più ruvida, “Keep
Your Light on Mama” segue le orme della “Black Dog”
zeppeliniana) fino a quella festa della chitarra slide risolta
in chiave southern intitolata “Home”,
‘Black Magic’ stupisce e ammalia
come pochi altri lavori in ambito classic rock dell’anno appena
concluso. |
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Listable Records- 2017 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
RICK SPRINGFIELD "The Snake King" |
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Troppo lunga e articolata la
carriera di Rick Springfield tra musica e cinema per pensare di
ricapitolarla in poche righe, ricordiamo solo che dopo un
lunghissimo black out, Rick ha ripreso a pubblicare musica nel
nuovo millennio e ad appena un anno dall’ottimo ‘Rocket
Science’ torna (sempre per la Frontiers) con questo ‘The
Snake King’ che lo vede abbordare imprevedibilmente il
blues ed il southern rock in più di un frangente. Il songwriting
è sempre di grande qualità e caratterizzato in particolare negli
episodi più marcatamente southern: “Little
Demon” spalma i Bad Company all’arena rock su un riff
zeppeliniano, la title track risulta potente ma ariosa nel suo
impasto elettrico/acustico, “The Voodoo
House” guarda ai Lynyrd Skynyrd con tanta slide e una
grande melodia. Ma mi preme sottolineare che in quest’album sono
centrali i testi, provocatori, beffardi, spietati e decisamente
lontani dal politically correct, e bastano due titoli per
renderne la durezza: “Jesus Was an Atheist”
e “God Don’t Care”. In un modo o in
un altro, Rick Springfield non smette mai di stupirci.
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Frontiers - 2018 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
TYLER MORRIS BAND "Next
In Line" |
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Ha solo 19 anni ma è già al
terzo album e suona con la sicurezza scafata di un vecchio
bluesman. Questo nuovo lavoro è stato prodotto da Paul Nelson e
conferma Tyler Morris come uno dei più interessanti personaggi
della scena blues rock più tradizionale: l’ascolto rivela una
devozione ardente verso Jimi Hendrix ma anche una notevole
varietà del songwriting in cui si segnalano un paio di non
imprevedibili sconfinamenti nel funk più nero. Quello che
stupisce è però l’autorevolezza che Tyler dimostra nella fase
solista, così ricca di inventiva e sfumature: sentiremo ancora
parlare di lui. |
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Vizztone - 2018 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
NEAL BLACK "Before Daylight" |
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Come nel caso di
Mick McConnel, anche
per descrivere il blues del texano Neal Black posso tracciare un
parallelo con Chris Rea. Ma se la musica di Mick McConnel è
cromata e solare, quella di Neal Black è più spesso notturna,
stregata, inquietante. Lui canta come un Chris Rea diventato
rauco e sabbioso, esprime un solismo non incendiario ma sempre
vario ed accattivante e riesce a mettere in chiaroscuro perfino
un brano portato a tempo di boogie come “Mama’s
Baby”, eccellendo nel voodoo blues “Jesus
& Johnny Walker” e nella cupezza tra il southern e la
danza di guerra pellerossa di “The Peace
Of Darkness”. |
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Dixie Frog - 2014 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
BUCKETS REBEL HEART "20 Good Summers" |
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Questa band prometteva bene:
Dave Colwell veniva dagli Humble Pie ed aveva militato nei Bad
Company ai tempi di ‘Company of Strangers’,
componendo assieme a Robert Hart gran parte del materiale di
quell’ottimo album. Ovviamente, la formula scelta per questi
Buckets Rebel Heart replica quella di ‘Company…’,
ma in ‘20 Good Summers’ non c’è
sostanza, solo maniera: le canzoni sono blande, deboli, e troppo
spesso noiose e di una banalità irritante. Qualche nota lieta
viene da “Whyskyland”, vagamente
Black Stone Cherry, e “Customised Car”,
con la sua bella sezione fiati r&b e la voce splendida di Mollie
Marriott che sostituisce al microfono (solo in questa canzone)
Jim Stapley, insipido emulatore di Paul Rodgers. Il fondo? “Mexican
Sun (El Diablo)”, in cui Colwell pare indeciso se fare il
verso a Carlos Santana o Gary Moore, riuscendo alla fine solo
languido e svenevole.
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Pride & Joy - 2018 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
TOM KILLNER "Get Back Up" |
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Ad appena 22 anni, il
chitarrista britannico (di Rotherham nello Yorkshire, per
l’esattezza) Tom Killner vanta già una discografia di tre album
(prima del presente lavoro, ci sono stati un disco di studio e
un live) che lo colloca fra i più promettenti seguaci della
musica del diavolo spuntati dalle isole di Albione.
'Get Back Up'
convince con la sua miscela di blues e rock classico che guarda
di volta in volta a Joe Bonamassa ('Working
Man', drammatica e potente; lo slow blues carezzato da un
languido pianoforte 'So Long'),
la Allman Brothers Band ('Colibri'
è uno strumentale che fonde jazz e classic rock in maniera
divina), i Black Crowes ed i grandi numi del southern (la title
track ha un tempo boogie ma sale solenne e intensa nel refrain,
'Get Out Of Here' è una ballad
incantata) e inietta robuste dosi di funk nei riff di 'Devil
Woman' (acida e Hendrixiana) e 'When
Love Comes For You' (questa, per la verità, quasi una
cover energizzata del classico Palace of The King). Tom
Killner è già più di una promessa e
'Get Back Up'
potrebbe rappresentare la sua consacrazione.
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Of The Edge - 2018 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
RON KEEL BAND "Fight Like a Band" |
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Ron Keel prosegue benissimo
lungo la strada tracciata da ‘Metal Cowboy’,
proponendo in questo nuovo album soprattutto un hard southern
modellato sulla scia dei gruppi che praticavano il genere alla
fine dei Big 80s, come Tangier, Soul Kitchen, Dillinger. Tre
canzoni sono dedicate al metal melodico yankee, soprattutto a
quello di stampo Y&T, “Tears of Fire”
è una power ballad in stile AOR hard edged di bella fattura,
tutto il resto, cone annotato, è ambientato nel Sud degli
States. Almeno due canzoni da ricordare, “Old
School” e “Hey Man”, fatte
di chiaroscuri molto Skynyrd, ma tutto ‘Fight
Like a Band’ è notevole e degno di attenzione. |
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EMP - 2019 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
DIANE & THE DEDUCTIBLES "Two" |
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Interessante il secondo album
di questa band dal nome assurdo (Diane e i deducibili? Boh…) che
vede alla chitarra una nostra vecchia conoscenza, l’ex
Hurricane Robert Sarzo: è fatto di un rock blues variegato e
raramente brusco, anzi spesso piuttosto sbilanciato verso il pop
o l’r&b, ma con alcune vigorose sterzate hard rock (“Breaking
The Chain” è uno slow hard blues con qualche lieve
traccia di metal californiano, “Frontline”
parla la lingua dei Deep Purple in versione più melodica, “What
A Feeling” ha linee vocali sofisticate su un ordito molto
hard ’70). Il top lo sento in “Light of
The Moon”, con le sue vocals suadenti e r&b su un tappeto
di percussioni e chitarre che disegnano arabeschi nello stile
dei Broken Voices. Molto bella la calda voce di contralto di Diane
Adams. |
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Draia Productions - 2019 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
TULLIE BRAE "Revelation" |
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Nitida e potente, la voce di
Tuttlie Brae, anche se a volte diventa un pelo troppo teatrale:
comunque, sempre molto efficace nel contesto del rock blues che
la sua backing band le offre. Eccelle soprattutto nei tempi
lenti – ‘Watch Her Move’ (sexy,
ipnotica e notturna), ‘Price of the Blues’
(insinuante e decisamente elettrica), ‘Mississippi
Rain’ (molto soul) – ma si disimpegna alla grande anche
nei tempi rapidi, come ‘Break These Chains’,
con le sue belle chitarrone secche e sporche, cadenzata e
ruvida, o nel voodoo inquietante intitolato ‘Devil
in Deville’. Fuori contesto e fuori luogo la ballatona
sentimentale ‘Thank You Mom’, che
chiude l’album con una sezione d’archi dolente e lacrimosa: ma ‘Revelation’
resta comunque, nel suo complesso, un buonissimo album.
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Autoproduzione - 2019 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
BIG RIVER "Redemption" |
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Pompatissimi dalla stampa
locale, gli inglesi Big River esordiscono con un album
oggettivamente buono. Il sound è quello che ci aspettiamo da una
band britannica, le canzoni campionano l’hard inglese più
classico, qui spuntano i Led Zeppelin, là i Bad Company, e poi
Whitesnake, Kiss of Gipsy, Thunder… C’è qualche vaga (molto
vaga) tentazione modern in un paio di canzoni mentre “Blackened
Rain” è un hard metallico segnato da chitarre taglienti
ed agili che potrebbe venire dal songbook dei Lynch Mob. Il top?
Forse “Devil’s Whiskey”, un mid
tempo pesante quanto basta, con una bella voce femminile che
doppia le vocals nel coro. Difetti? In qualche frangente il
ritornello delle canzoni viene ripetuto con troppa insistenza:
peccato veniale di un album comunque molto buono. |
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Trouserphonic - 2019 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
SONS OF LIBERTY "Animism" |
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Questa band inglese pratica un
southern rock heavy ed elettrico: non quell’ibrido denominato
“southern metal” che in realtà del southern conserva quasi
nulla, ma piuttosto un hard rock sudista che prende le mosse (in
prevalenza) da act già heavy come Pride & Glory e Blackfoot,
oppure affronta i pilastri del genere (Skynyrd, Outlaws, Georgia
Satellites) proiettando quel sound in una dimensione a volte più
britannica che americana (“Start It Up”
richiama i Black Sabbath dei ’70, e anche “It’s
My Bad” e “Deep Down Crazy”
affrontano – senza distinzione – i soliti temi dell’hard rock
classico), con il meglio nella malinconia elettroacustica molto
Outlaws di “Into The Great Unknown”.
‘Animism’ è un album discreto, che
chi ama il southern suonato ad alto volume potrebbe trovare
interessante. |
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Roulette Records - 2019 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
PRIMAL GIANTS "Untethered" |
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Sbaglia chi
pensa che il ruolo delle etichette discografiche sia ormai
superfluo. Non basta incidere e mettere in vendita gli .mp3 sui
soliti siti, come hanno fatto i Primal Giants: il
livello di promozione che può dare Facebook è poca cosa (hanno
meno di mille like) e oltre che suonare dal vivo, questa
band non dispone di altro per farsi conoscere, confinando ‘Untethered’
a delizia per pochi. Se avessero il supporto di una label, forse
i Primal Giants verrebbero riconosciuti come quegli splendidi
interpreti del southern rock che sono. Lynyrd Skynyrd, Outlaws e
Allman (nell’ordine) sono i punti di riferimento e il cocktail
sonoro che ci serve la band nelle dodici canzoni di ‘Untethered’
è davvero di primissima qualità. Il top? Difficile individuarlo
in mezzo a tutto questo ben di Dio, ma ‘Queen
Bee’, così lenta, pesante, misteriosa, figlia degli
Skynyrd era ‘The Last Rebel’ è
davvero superlativa. Se amate il southern, ‘Untethered’
è un album imperdibile.
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Autoproduzione - 2020 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
ERIC JOHANSON "Below Sea Level" |
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Non è facile per un
chitarrista che voglia operare in ambito blues rock farsi notare
in mezzo alla marea di colleghi impegnati a esplorare i medesimi
territori. Eric Johanson (americano, nonostante il nome
scandinavo) ci riesce – almeno fino ad un certo punto – condendo
la consueta mescola di blues e rock con una buona dose di
groove. “Buried Above Ground”
oscilla piacevolmente fra l’ipnotico e il danzereccio, “Down
to the Bottom” aggiorna al moderno gli ZZ Top, “Never
Tomorrow” aggiunge pennellate funk. Il resto è più
convenzionale ma nient’affatto spiacevole, con il top nelle
atmosfere nello stesso tempo minacciose e incantate del voodoo
blues “River of Oblivion”. |
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Nola Blue - 2020 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
KING KING "Maverick" |
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Nessuna novità di rilievo in
questo nuovo album dei King King rispetto all’ultimo ‘Exile
& Grace’. I Bad Company restano sempre il primo punto di
riferimento per Alan Nimmo e soci, con qualche occasionale
(fortunatamente) tentazione Thunder. Qui c’è forse qualche
elemento funky in più (particolarmente in “I
Will Not Fall”, “One World”
e “End of the Line”), mentre “Dance
Together”, svelta e divertente, ricorda gli FM più soul e
“When My Winter Comes” è una
ballatona tutta voce e pianoforte di cui si poteva fare
tranquillamente a meno. Il top? “Never
Give In”, che possiede tutto il calore, la spavalderia
crepuscolare e la drammaticità da film western che associamo
alle cose più suggestive della band di Paul Rodgers.
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Channel 9 Music - 2020 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
BETH HART "A Tribute To Led Zeppelin" |
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Mettiamo da parte ogni
(ragionevole) dubbio sull’opportunità di registrare un ennesimo
tributo ai Led Zeppelin, e concentriamoci sul contenuto di
questo, recentissimo, dovuto a Beth Hart. Gli arrangiamenti sono
magnifici, con una decisa enfasi orchestrale che però non
snatura l’anima di canzoni nate in maggioranza molto elettriche.
Qualche problema potrebbe sorgere dalla vocalità di chi si è
messa al microfono. La voce di Beth Hart non è più quella che
sfoggiava su ‘Immortal’
(per saperne di più, seguite il link): il tempo e (soprattutto)
gli stravizi l’hanno resa scabra e brusca, violenta più che
aggressiva, per non parlare di quel vibrato che Beth insiste a
modulare con irragionevole pervicacia ed è assimilabile al suono
di un trapano che tenti di bucare un qualche materiale vetroso e
molto resistente. Quando cerca di moderare i toni, la voce di
Beth diventa legnosa e monotona, e non c’è da stupirsene: a
furia di urlare come un'ossessa, ha perso capacità espressiva,
non è più in grado di esibire altro che un furore belluino e dar
prova di possedere (nonostante il tempo e i suaccennati
stravizi) delle tonsille d’acciaio. E allora, se le voci
femminili furibonde vi stanno bene e la musica dei Led
Zeppelin la gradite in tutte le salse, questo album fa
indubbiamente per voi. Gli altri possono passare oltre senza
rimpianti. |
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Provogue Records - 2022 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
THE STONE ELECTRIC "The Stone Electric" |
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I patiti del retro rock si
troveranno certamente a proprio agio con i Stone Electric. Un
bel po’ di primissimi Led Zeppelin, una buona dose di Hendrix,
qualche spruzzo di Rolling Stones qua e là e il gioco è fatto.
Il solito gioco, che a mio modesto e sempre fallibile parere si
gioca da troppo tempo e non serve a niente e a nessuno. Queste
nove canzoni non le possiamo assimilare a cover sotto falso
nome, eppure tutto quanto c’è dentro l’abbiamo sentito già, e
tante di quelle volte che mi chiedo come anche un nostalgico a
forza nove possa apprezzarle senza chiedersi per quale motivo
dovrebbe investire denaro nell’acquisto di ‘The
Stone Electric’ quando potrebbe benissimo ascoltare le
fonti originali che senza dubbio possiede già. Non parliamo poi
del patetico look della band, nelle fotografie tutta impupazzata
alla moda degli anni ’70 (per essere precisi: alla versione
kitch di quella moda, codificata e resa popolare alla fine del
decennio successivo
dai Black Crowes), tanto per dichiarare anche visivamente la
devozione ad un epoca che non è più e gli Stone Electric – come
chiunque pratichi il retro rock – mai potrà resuscitare,
semplicemente perché nella musica sono successe tante di quelle
cose negli ultimi cinquant’anni che provare a rimandare indietro
le lancette facendo finta di essere ancora nel 1972 o giù di lì
è non solo futile ma del tutto ridicolo. |
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Lions Pride Music - 2022 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
LONERIDER "Sundown" |
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Il fine dichiarato di questa
band che vede riuniti Steve Overland, Steve Morris e Simon Kirke
è produrre un hard rock di matrice Bad Company. Considerato che
FM e Shadowman a quella matrice sono sempre stati fedeli, si
potrebbe immaginare che la missione non sia costata gran fatica,
anche per l’autorevole presenza di un membro di quella stessa
band (Simon Kirke, appunto) dietro i tamburi. Quanto poco il
batterista abbia però contato nel songwriting dei Bad Company lo
sappiamo tutti. E allora, questo disco (secondo della band)
finisce per suonare più che altro come una raccolta di outtakes
degli FM, anche se bisogna riconoscere che ogni tanto la
clonazione riesce abbastanza bene (in “Cross
The Border” e “Harder Love”,
ad esempio) e senza ridicolaggini filologiche. Steve Overland
funziona bene come controfigura di Paul Rodgers e, insomma, se
non avete troppe pretese in fatto di originalità e qualità
assoluta nel songwriting, se amate i Bad Company e gli FM vi
stanno perlomeno simpatici, ‘Sundown’
non vi deluderà.
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Escape - 2022 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
ANN WILSON "Fierce Bliss" |
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La più bella voce rock
femminile di tutti i tempi torna con un album notevole, in cui
stavolta le cover si alternano a splendidi brani originali. Alle
chitarre troviamo il produttore Tom Bukovac e due personalità
dello strumento: Warren Haynes e Kenny Wayne Shepherd. Haynes
compone due canzoni – “Gladiator” e
“Angel’s Blues” – che parlano
(ovviamente) la lingua dei Gov’t Mule, Kenny Wayne Shepherd si
mette al servizio di una superba cover di “Bridge
of Sighs”. E poi, le atmosfere misteriose e incantate di
“Black Wing”, che parte morbida
diventando sempre più elettrica e zeppeliniana, l’atmospheric
power (ma non in senso AOR) della splendida “Fighten
for Life”, la cover irruvidita della “Missionary
Man” che fu un hit dei Eurythmics, i chiaroscuri di “Forget
Her”, il crescendo arioso attraverso le atmosfere
elettroacustiche alla ‘Jupiter Darling’
della conclusiva “As the World Turns”.
‘Fierce Bliss’ è dunque un album di
sostanza, che non vale solo per la voce sempre magistrale di
Ann. |
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Silver Lining Music - 2022 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
ANTHONY GOMES "High Voltage Blues" |
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Per festeggiare il nuovo
contratto discografico, Anthony Gomes mette assieme una sorta di
compilation dei suoi brani più rock, reincidendoli in una chiave
decisamente hard rock, con il plus di tre canzoni inedite.
Niente di trascendentale, anche perché Gomes resta rigorosamente
nell’ortodossia del genere e non è tentato neppure lontanamente
dal moderno, ma ‘High Voltage Blues’
è comunque una buona scusa per fare l'ennesimo tuffo nell’hard
rock più classico. Mi piacciono soprattutto le due track sfumate
di southern (“Painted Horse” e “Red
Handed Blues”), “Born to Ride”
con le suo ombre Bad Company e quella “Blueschild”
che prende i Rainbow e li infarcisce di blues, ma tutto l'album
non deluderà gli aficionados di un suono che imperterrito
resiste ad ogni tentativo mandarlo in pensione. |
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Rat Pack Records - 2022 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
MONA LIZA OVERDRIVE "Vive La Ka Bum" |
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Dietro questo moniker si
nascondeva il chitarrista e cantante tedesco Stefan Klein, e da
quel che so ‘Vive la Ka Bum’ è la
sua unica testimonianza discografica, registrata con il sostegno
di alcune stelle dell’hard rock britannico (Neil Murray, Brian
Robertson, Don Airey, Dzal Martin). Niente da dire riguardo la
musica, Klein (oppure Brian Robertson e Dzal Martin?) si inventa
bei riff e le canzoni svariano efficacemente tra AC/DC,
Whitesnake, Bon Jovi, Bryan Adams, e sempre esibendo belle
timbriche e una produzione asciutta e precisa. Quello che in
genere
non funziona sono le vocals: Klein come cantante non faceva
faville ma il problema vero stava nella sua tendenza
(tipicamente germanica) a inventarsi linee melodiche che troppo
spesso erano melense o sceme tout court. Con un cantato meno
buffonesco, ‘Vive la Ka Bum’
sarebbe stato un disco veramente buono: così com’è, sarà
piaciuto più che altro a chi abita tra Brema e Monaco di
Baviera. |
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Vertigo - 1989 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
IVY GOLD "Broken
Silence" |
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Il retro rock degli Ivy Gold
funziona abbastanza bene, ha piacevoli sfumature blues e funky,
belle timbriche, produzione efficace, il songwriting è di
discreta caratura, però la vocalità della cantante Manou… A
volte risulta troppo teatrale, la pronuncia dell’inglese non si
può qualificare come “impeccabile” e la timbrica stessa della
sua voce risulta anonima. Comunque, se la musica vi basta e alla
voce che ci canta sopra non chiedete troppo, ‘Broken
Silence’ non vi deluderà.
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A1 Records / Golden Ivy
Records - 2023 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
MIKE ROSS "Third Eye Open" |
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Zeppeliniano fino al midollo
questo nuovo album di Mike Ross, chitarrista britannico capace
di rileggere quel suono con buona efficacia, contaminandolo in
più di un frangente di blues, southern o prog. Difetti? Spesso
le canzoni sono inutilmente lunghe, a volte un po’ confuse
(pasticciate, per essere più precisi), in un paio di casi
rumorose. Ma il livello del materiale è comunque più che buono,
scansa qualunque tentazione filologica ed è ben prodotto. Se i
Led Zeppelin sono il vostro pane quotidiano, date una chance a ‘Third
Eye Open’. |
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Taller Records - 2023 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
GHOST HOUNDS "First Last Time" |
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Dei Ghost
Hounds già vi raccontai l’eccellente esordio, ‘Roses
Are Black’ (seguite il link se non ricordate),
questo ‘First Last Time’ (quarto
album dei Nostri) vira felicemente verso il southern, quello di
Lynyrd Skynyrd, Outlaws ma non solo (“Dirty
Angel” e “Make It Shake”
sembrano uscite dalla penna dei Tattoo Rodeo, le fascinose tinte
country di “Here No More” rimandano
alla Marshall Tucker Band), per trentaquattro minuti di chitarre
dal suono polveroso, pianoforte e organo Hammond, cori femminili
e tanto soul nelle vocals del singer Tré Nation. Insomma, se
amate il southern rock, correte a prendere questo disco. |
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Gibson Records - 2023 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
FRAMING THE RED "Three To Get Ready" |
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Giunti al traguardo del quarto
album, i Framing The Red non cambiano formula, alternando un
southern molto elettrico al più classico hard rock, anche se un
certo feeling moderno si sente soprattutto nell’impostazione
vocale del singer Jordan Newman. Ottime “Dixie”
e “Party Song”, dove i Nostri si
configurano come degli Skynyrd moderni, “Junkyard
Romeo” è un boogie rovente, lento e ruvido, “Red
Flags” proietta gli AC/DC nel southern, “Bonnie
& Clyde” sarebbe adatta a ritmare le scene di un film
western, “The Change” strizza
l’occhio ai Black Crowes. Fuori dal sud degli States si
collocano “Bullets”, col suo bel
riff sinuoso, “Rockin’ Into The Night”
e “Smoke”, mentre “Shine”
è l’unica concessione ai trend rock contemporanei. Chi ama
il southern in versione hard rock, può affidarsi ai Framing The
Red a occhi chiusi.
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INDICE |
Old Trace Records - 2024 |
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