RECENSIONI IN BREVE
HARD BLUES
DEPARTMENT |
THE UNION "Siren's Song" |
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I Thunder
riveduti e corretti. Ma la nuova band di Luke Morley poteva mai
essere qualcosa di diverso? I distinguo sono minimi. Luke si è
trovato un altro cantante dalla voce simil Paul Rodgers ed ha
abbassato un po’ il voltaggio generale del sound, iniettandoci
dentro una dose maggiore di blues che porta inevitabilmente a
paragoni con gli ultimi album dei Bad Company degli anni 70.
Rispetto ai Thunder, mancano del tutto la vivacità, lo humor e
la verve che Danny Bowes metteva sempre nelle sue
interpretazioni. Il cantante Peter Shoulder si mantiene
costantemente fra il grave ed il serioso, ma questo non è certo
un difetto: dà soltanto un carattere molto diverso alla proposta
di una band che, come i Thunder, sa fare bene il suo mestiere ma
niente più di questo, anche per la cronica incapacità di Luke
Morley di trovare soluzioni inedite, finendo per girare sempre
attorno a quei soliti tre accordi che la sua chitarra macina
imperterrita dai tempi di ‘Back Street
Symphony’.
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INDICE |
Payola Records - 2011 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
LYNCH
MOB "Sound Mountain Sessions" |
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E' solo un EP a quattro pezzi, ma
contiene materiale per nulla trascurabile e che i fan dei Mob
accoglieranno con piacere. "Slow Drag"
ha un ritmo suadente e nervoso nello stesso tempo, saltellante e
con retrogusto bluesy; "Sucka" viaggia su una ritmica serrata che si contrappone ad un refrain
melodico, ha un bridge fatto di sciabolate di chitarra prima
dell'assolo heavy metal; "World of Chance"
comincia quasi come un voodoo blues ma sfocia in un ritornello
elettrico e luminoso; "City of Freedom" è un
altro riff magistrale, con il canto disperato di Oni Logan sopra
lo sfrigolare elettrico prima di un refrain fascinoso. In questa
fase della sua carriera, George Lynch si sta muovendo con
indifferenza tra il metal più classico e lo street rock, ma mi
pare sia proprio in quest'ultimo ambito che la sua chitarra
risulti sempre più convincente ed autorevole. A quando un nuovo
album completo? |
INDICE |
Rat Pak Records - 2012 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
WHISKEY SIX "American grit" |
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Frugare
incessantemente il sottobosco delle piccole band americane,
come fa il vostro webmaster, porta sempre delle piacevoli
sorprese. Questi Whiskey Six, per esempio. Come suonano?
Prendete i Ratt dell’ultimo ‘Infestation’,
fategli fare un bagno nell’acqua ragia e poi rotolateli nel
fango ed avrete ‘American Grit’! Ma
possiamo immaginare a tratti anche un eretico incrocio tra i
Soundgarden ed i Tangier (su “One Last
Time” e “As One”, entrambe
cupe e fascinose) ed una versione più rough dei Little Caesar,
per non parlare delle aperture melodiche in chiave country blues
ruvide ed efficaci che spuntano su “Home”
o di una limpida ballad tutta acustiche ed Hammond intitolata “Heartache”.
Con un cantante che è una sorta di Chris Cornell più vellutato,
i Whiskey Six meriterebbero più attenzione di quella che
sicuramente avranno da un mercato ormai confuso ed
iperinflazionato. Il CD è vendita sul loro sito, il downloading
è disponibile su iTunes, CD Baby e Amazon. |
INDICE |
Whiskey Six - 2013 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
THE
ANSWER "New horizon" |
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Ma per quanto
tempo si può tirare avanti questo giochetto chiamato “retro
rock”? Mi pare che ‘New Horizon’
(titolo assolutamente bugiardo), sia un passo indietro per i The
Answer e la migliore dimostrazione di quale vicolo cieco sia
questo ostinato – e ormai al limite dell’allucinante – riciclare
l’hard rock degli anni ’70. I soliti riff prelevati dai dischi
dei primi Led Zeppelin, Grand Funk Railroad, Hendrix e
compagnia, il solito suono nasale e cavernoso delle Les Paul,
gli arrangiamenti scarni per avere l’effetto vintage, una
voce che spesso e volentieri rintrona con guaiti da indemoniato…
In ‘Revival’ c’era una superiore
cifra melodica, ‘New Horizon’ è
invece un continuo, assordante pestare sodo, praticamente senza
pause, qualche buona intuizione si perde nel furore filologico a
cui i The Answer non sembrano volere rinunciare a nessun costo,
tutti presi da un gioco che le cover band giocano di sicuro con
molta più onestà.
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INDICE |
Napalm Records - 2013 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
SAMANTHA
FISH "Black wind howlin'" |
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Carino, questo secondo album di
Samantha Fish, chitarrista dalla bella voce (sul genere di
Beyoncé), che ci serve quasi un'ora di blues elettrico
proponendo variazioni in stile ZZ Top d'annata ("Miles
To Go", serrata, percorsa da una slide sporchissima) o
Cream (la title track, con i suoi lunghissimi assoli), un voodoo
blues lento e minaccioso ("Go to Hell",
cantata in duetto con Paul Thorn), southern rock da film western
("Sucker Born", che ha l'armonica
ed un assolo di chitarra acido e distorto), un morbido slow
spalmato di soul ("Over you"), le
classiche dodici battute ("Who's Been
Talking"), hard bluesy sempre stuzzicanti ("Lay
It Down", potente, notturna, maliziosa; "Heartbreaker",
con la sua slide abrasiva; il bel crescendo di "Foolin'
Me"). La ballad country "Last
September" piacerà solo ai patiti del genere "campagnolo
americano", ma il resto non deluderà i fan del rock blues più
canonico. |
INDICE |
Ruf Records - 2013 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
MISS
ELIANA "Love affairs" |
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Questo
esordio (almeno, credo che rappresenti l’esordio) della cantante
italiana Eliana Cargnelutti ha una produzione competente ed un
songwriting di discreto livello. “Miss E”
è un retro rock scontato ma piacevole, “The
Girl Who Hates Your Mama”, “Hard
Texas” e “Distant Scents”
sono rock blues canonici, il primo molto cool con una fiammata
d’energia nel finale, il terzo caldo e cadenzato. Il funky “The
Musician” vede all’opera nientemeno che la chitarra di
Scott Henderson, “Dream” è
elettroacustica, densa di chiaroscuri zeppeliniani, con un bel
crescendo, molto suggestive le sfumature southern di “Too
Busy”, inutile la cover di “Toys in
The Attic” (cantata oltretutto non da Eliana ma da un
tizio con una pronuncia inglese tutt’altro che impeccabile),
carezzevole “Farewell”, prima
acustica poi elettrica e molto anni ’70, e a chiudere la ballad
“Violins”. Il vero punto debole di
questo lavoro è la voce di Eliana, accattivante ma più adatta al
blues tout court o al soul che al rock propriamente detto, per
cui occorrerebbero altre tonsille.
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Videoradio - 2013 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
MOONSHINE "Moonshine" |
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Bello,
proprio bello questo esordio dei Moonshine, band in cui spicca
il veterano Derek Davis, voce dei redivivi (hanno da poco
pubblicato un EP) Babylon A.D.. C’è il southern elettrico degli
ultimi Lynyrd Skynyrd ma sopratutto quell’hard bluesy che ci
ammaliò nei Big 80s grazie a band come Company of Wolves, Tattoo
Rodeo, Johnny Law, Soul Kitchen, Dillinger, Delta Rebels,
Graveyard Train, e da anni non riascoltavo su questi livelli. ‘Moonshine’
procede sicuro tra praterie e saloon, con il giusto corredo di
slide, piano e armonica, ma senza mai dimenticare l’hard rock
della Città degli Angeli, quello un po’ sleaze ed un po’ street
che non certo per caso prende in più di un frangente (“Mama’s
Kitchen Brew”, “Turn Me Around”,
“The American Train”) nitide
sfumature Babylon A.D. (quelli del secondo, più ruvido album, ‘Nothing
sacred’). Il songwriting è costantemente di altissimo
livello, Derek è sempre in gran forma, i chitarristi sanno il
fatto loro, la produzione (firmata da Mike Scott) è competente, il suono eccellente: molto difficile che
quest’ anno qualcuno riesca a fare di meglio nell’ambito
dell’hard blues yankee di stretta osservanza ottantiana.
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Southern Blood Records - 2014 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
DIESEL "Into the fire" |
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Se avete
perso da un po' i contatti con la voce di Robert Hart, l'ascolto
di questo album potrebbe costituire per voi una grossa sorpresa.
Il quasi-sosia di Paul Rodgers è diventato una specie di Jimi
Jamison più rauco e profondo, assolutamente irriconoscibile dal
cantante che fece credere a più di un giornalista messosi
all'ascolto del promo di 'Company of
strangers' che i Bad Company fossero tornati alla line up
originale. Peccato... eppure, anche in questa nuova versione
scartavetrata, la voce di Robert Hart resta fascinosa e
convincente, un plus decisivo per le dodici canzoni che
compongono l'esordio del nuovo moniker Diesel, che vede Robert
fare società con la chitarra solista degli FM, Jim Kirkpatrick.
I Bad Company sono l'ovvio punto di riferimento per il
songwriting, con altrettanto ovvie sfumature FM e qualche
puntata in direzione vecchi Whitesnake, per un risultato finale
molto brillante nobilitato da un sound pulito, policromo e
intenso, che rilegge il patrimonio di riff e melodie della band
di Mick Ralphs attraverso il filtro di una produzione cromata in
puro stile anni '80. 'Into the fire'
è senza dubbio uno degli album hard blues più interessanti
dell’anno: uscirà il 23 maggio.
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Escape - 2014 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
MOTHER
ROAD "Drive" |
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Sintetizzando
quest’album tramite le percentuali dei suoi ingredienti, si
ottiene una cosa del genere: 70% di Bad Company, Free, Mott The
Hoople; un 15% di Led Zeppelin; un ulteriore 15% di Deep Purple
e Whitesnake. Descritto così, ‘Drive’
sembra il solito pastone retro rock a base di chitarre dal suono
lercio suonate da svedesi addobbati come hippy, e invece no.
Perché gli ingredienti di cui sopra sono stati cucinati secondo
la ricetta di big sound dei mai abbastanza compianti Tangier:
produzione lussuosa in puro stile anni ’80 e timbriche limpide,
scintillanti, cromate. Certo, l’originalità non abita da queste
parti ed il songwriting è un po’ meno ispirato rispetto al
contemporaneo (e analogo per quanto riguarda le fonti
d’ispirazione) album dei Diesel di cui potete leggere più sopra,
ma il risultato finale resta di alto livello, con Keith Slack
(Steelhouse Lane) che passa con disinvoltura da vocals calde e
intense alla Paul Rodgers al planteggiare più sfacciato ed il
guitar player Chris Lyne (che militò nei tutt’altro che malvagi
Soul Doctor, e qui opera
anche in veste di produttore) eccellente sia
nella fase ritmica che in quella solista. Se solo il retro rock
fosse sempre fatto così… |
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AOR Heaven - 2014 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
JEFF LABAR "One for the road" |
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Curioso,
questo esordio da solista del chitarrista dei Cinderella Jeff
LaBar. Dura soltanto ventisei minuti (è un album, allora? O
dobbiamo considerarlo solo un EP?), comincia e finisce benissimo
con “No Strings” e “One
For The Road”, hard rock bluesy che non avrebbero
sfigurato su ‘Still Climbing’, ma
il resto? Ci sono due strumentali per chitarre acustiche, “Muse”
e “Ode to Page”, il primo
brevissimo, il secondo un dichiarato omaggio al suo collega dei
Led Zeppelin, molto ben fatti ma che lasciano un po’ il tempo
che trovano, una power ballad discreta, “Hello
or Goodbye” e due pezzi di heavy metal americano: il
primo, “Asking for a Beating”,
mortalmente noioso e per giunta inutilmente lungo; il secondo, “Nightmare
on My Street”, più californiano e vivace nel riffing, tra
Y&T e Twisted Sister. Jeff si disimpegna bene al canto, alla
chitarra lo accompagna il figlio Sebastian, di recente visto
all’opera con gli ottimi Mach 22, ma questo ‘One
for the road’ appare più che altro un assemblaggio veloce
e confuso di materiale eterogeneo e di qualità fin troppo
altalenante. |
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Ratpakrecords - 2014 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
GHOST RIDERS "Fortune teller" |
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Creatura
dell’ex Outlaws Steve Grisham, i Ghost Riders erano (oppure
sono, non so se siano sempre in attività) pura goduria sonica
per gli amanti del southern rock più classico, ricapitolandone
in questo loro esordio tutti i volti, da quello epico/romantico
(“Roots”, “Shotgun
Run”, “Ballad of the Ghost Rider”)
a quello più imparentato con il country & western (“There
Goes Another Love Song”, “Whiskey
Drinkin’ Woman”, “I Want The Blues
Tonight”) ed il blues (“Handy Man”,
la title track), passando per qualche divertimento da saloon (“Gone
South”, “G.R.I.T.S.”) ad una
track notturna ed insinuante come “Song
For The Angels”. Di ‘Fortune Teller’
esistono due edizioni, la seconda uscì nel 2008 ed ha una
canzone in più, intitolata “100 Proof”
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Sound Knowledge Rec. - 2003 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
FM "Heroes
& villains" |
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La novità in
questo nuovo album degli FM sta in una ritrovata vena anthemica,
che in diverse circostanze porta la band di Steve Overland più
vicina ai territori dell’hard melodico pur senza il venir meno
dell’ormai tradizionale vena soul blues. Ci sono diversi acuti:
l’iniziale “Digging Up The Dirt”, “Cold
Hearted” e “I Want You” che
riavvicinano gli FM – come detto – all’arena rock, le
architetture sofisticate di “Big Brother”,
la delicata ballad elettroacustica “Walking
With Angels”; il resto ricade nella categoria della
“routine competente” tipica di chi ha un sound caratteristico ed
è capace di girarci attorno senza ripetersi in maniera sfacciata
ma neppure è sempre in grado di trovare il riff o il ritornello
capace di far saltare l’ascoltatore dalla sedia. Comunque, un
ottimo album e certamente non un prodotto only for fans. |
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Frontiers - 2015 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
SKIP ROCK "Take it or leave it" |
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Molti anni fa
c’era un’altra band tedesca (The Waltons era il moniker) che
faceva quello che gli Skip Rock pretenderebbero di aver
inventato oggi: la contaminazione tra country e metal. Come
tutti gli ibridi contro natura, anche questo non sempre dà buoni
frutti: se a volte si dirige semplicemente in direzione southern
rock, più spesso la componente metal prende con decisione il
sopravvento ma quando è il country a venire fuori, tutto viene
rovinato dalla voce del singer Marc Terry, tronfia, rauca e con
un tremendo accento da crucco che trasforma una canzone già
pericolosamente in bilico sulla soglia del ridicolo come “Jesse
James” nella caricatura involontaria di un tema da
colonna sonora di telefilm western anni ‘50 (per inciso, proprio
il genere di cosa per cui i tedeschi vanno pazzi…). Messo tutto
questo assieme, mi pare di poter vaticinare con una certa
sicurezza che difficilmente gli Skip Rock troveranno seguaci
fuori dalla loro terra natale.
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Streetdog Records - 2015 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
ASPHALT BALLET "Asphalt Ballet" |
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Band di
discreta caratura questi Asphalt Ballet, caratterizzati da un
sound che ricapitolava quanto andava per la maggiore in campo
hard rock in quel 1991 che ne vide l’esordio, con una certa
preferenza per le atmosfere street rock di marca Guns N’ Roses,
ma in un contesto meno ispido e con le tastiere che intervengono
frequentemente dando colore e spessore alle canzoni. Bella la
cifra melodica straniata di “Tuesday’s
Rain”, con il suo arrangiamento policromo, su “Unlucky
Mr. Lucky” sembrano dei Crüe incarogniti mentre “End
of My Rope” è un boogie metallico con tanto di ottoni
(veri) e pianoforte. Molto belle le atmosfere southern alla
Black Crowes di “Heaven Winds Blow”
(grande refrain) e “Wasted Time”,
mentre “Taking a Walk” suona
decisamente selvatica eppure spettacolare alla maniera dei Kik
Tracee o dei Love/Hate. Se “Hangman Swing”
richiama alla memoria i Jetboy (che ritmo…), “Blue
Movie” si rivela bluesy e notturna ma nello stesso tempo
vigorosa e beffarda con tanto di rifiniture di sax. Decisamente,
un album da recuperare.
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Virgin - 1991 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
RENEGADE CREATION "Renegade creation" |
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Considerata
la statura dei quattro luminari coinvolti nel progetto
(nientemeno che Michael Landau, Robben Ford, Jimmy Haslip e Gary
Novak), avevamo senza dubbio il diritto di aspettarci qualcosa
in più di quanto ci è stato servito, che si riduce ad un misto
abbastanza scontato di hard settantiano e blues accademico
solcato da improvvisi sprazzi di sperimentazione fusion. “Renegade
Destruction” sembra uscita dal songbook dei Chickenfoot,
“The Darkness” è uno slow
apprezzabile, salvo per il fatto che l’abbiamo già sentito forse
mezzo miliardo di volte. Belle le atmosfere jazzate e rarefatte
di “Peace” (solo strumentale) e le
sofisticate trame bluesy tessute di un suggestivo intreccio di
assoli di “Who Do You Think You Are”,
mentre “Where The Wind Blows” fa il
verso ai Cream e lascia davvero il tempo che trova. “Brother”
chiude con un altro strumentale, impostato stavolta su
coordinate prog/jazz che fanno (ovviamente) a pugni con tutto
quanto abbiamo ascoltato prima. La musica non cambierà su ‘Bullet’,
di due anni successivo, confinando i Renegade Creation nel limbo
delle grandi occasioni perdute, almeno per chi ritiene che in
campo blues si possa ancora fare del nuovo.
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Blues Bureau - 2010 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
JON BON JOVI "Blaze of glory" |
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Non venne
apprezzato granché all’epoca della sua uscita e non mi pare che
il primo disco solo di Jon Bon Jovi sia stato rivalutato nel
tempo. Cosa precisamente si imputasse a ‘Blaze
Of Glory’ non è mai stato del tutto chiaro, a seconda dei
gusti del recensore di turno l’album era troppo cromato e
metallico oppure troppo country & western. A me, ‘Blaze
of Glory’ è sempre apparso come una replica in stile più
root di ‘New Jersey’, composto di
canzoni apprezzabili ma non superlative: la title track fa
indubbiamente il verso a “Wanted Dead or Alive” in un contesto
un po’ più southern, “Never Say Die”
e “Bang a Drum” springsteeneggiano
benissimo, ma il top sono i chiaroscuri dell’hard rock “Justice
In a Barrel”, il resto non è brillante come quello che
avevamo ascoltato su ‘New Jersey’ o
ascolteremo su ‘Keep The Faith’, ma
neppure da buttare via. Insomma: un titolo minore, non proprio
only for fans ma quasi. |
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Vertigo - 1990 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
DELTA DEEP "Delta Deep" |
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Il progetto
hard blues di Phil Collen risulta fin troppo convenzionale:
nessuno sforzo da parte del chitarrista dei Def Leppard di
uscire fuori dai cliche del genere, e quest’album non
meriterebbe di essere segnalato fra il mare magnum di uscite del
settore se non fosse per la bellissima voce di Debbi
Blackwell-Cook, sempre al microfono da sola o in duetto con Phil
e gli ospiti David Coverdale e Joe Elliot. Tra blues elettrico e
hard rock settantiano, l’album procede in maniera gradevole e se
la cover di “Mistreated” non riesce
sonnolenta o tediosa il merito è di Debbi, che su questa canzone sovrasta un
Joe Elliot completamente fuori contesto. ‘Delta
Deep’ è consigliato, in definitiva, soprattutto a chi ama
le grandi voci femminili rock blues.
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Proper W/S - 2015 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
NOISY MAMA "Everybody Has One" |
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Fratelli
consanguinei dei Kix questi Noisy Mama: stessi padri spirituali,
gli AC/DC; stessa voglia di trapiantare quel rifferama secco e
potente in un terreno meno piatto, più colorato rispetto a
quello che battono in genere gli australiani più famosi del
rock. Nel caso dei Noisy Mama, più sleaze, non tendente
all’anthemico o al party rock rispetto ai Kix, con qualche bella
divagazione bluesy/R’n’R (l’iniziale “Heart
of Stone”, “Daddy Long Legs”,
“Little Brown Jug”) sporca alla
maniera dei Faster Pussycat o dei Jetboy, un vero e proprio slow
blues (“Million Miles”) nello
stesso tempo scanzonato e fascinoso, una power ballad
elettroacustica (“Long Way Home”)
sensibile e molto Cinderella. ‘Everybody
Has One’ non è mai stato ristampato ma gira fra gli usati
a pochi dollari, ed il rapporto qualità/prezzo risulta davvero
altissimo. |
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ATCO - 1991 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
JESSE DAMON "Southern Highway" |
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Tranquilli,
Jesse Damon non si è buttato nel retro rock (o nel country rock,
come sembrano minacciare i comunicati del suo sito web), ‘Southern
Highway’ è fatto del solito hard melodico scintillante
con cui Jesse ci delizia dai tempi dei Silent Rage, sempre
splendidamente prodotto da Paul Sabu (segnalo un netto
miglioramento della qualità audio rispetto a ‘Temptation
in The Garden of Eve’) ma con arrangiamenti più bluesy
del solito, un po’ alla maniera dei Dillinger o dei Tattoo Rodeo
o dei Tangier di ‘Stranded’: piano
boogie, qualche chitarra slide, ma la matrice resta più o meno
quella che conosciamo, condita di timbriche brillanti ed
atmosfere anni ’80. Il songwriting è, come al solito, stellare,
e ‘Southern Highway’ prenota fin
d’ora un piazzamento altissimo nella top ten delle uscite
melodic rock del 2016.
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On Fire records - 2016 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
STEFAN BERGGREN "Stranger in a Strangeland" |
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Con la sua bella voce simil Coverdale, Stefan
Breggren si è prestato più e più volte a fare da
controfigura/surrogato in band che tentavano (più o meno
scopertamente) di riempire il vuoto lasciato nell’hard blues
dagli Whitesnake dopo il trasferimento negli USA. E che quel
ruolo, a Stefan, stia tutt’altro che stretto lo prova ad usura
questo suo esordio solista, evocante senza imbarazzo atmosfere e
stilemi dei vecchi Whitesnake e dei Deep Purple Mk IV, con un
paio di derive in direzione Uriah Heep che non giungono certo a
sorpresa considerato il recente sodalizio di Stefan con Lee
Kerslake. ‘Stranger…’ è in linea di
massima un album nient’affatto tirato, anzi risulta spesso
piuttosto rilassato, con un suono caldo e ricco (ovviamente) di
rifrazioni bluesy e soul. Il songwriting è di buon livello pur
senza strabiliare ma il vero plus rispetto a tante produzioni
dello stesso genere sta nella voce di Stefan, almeno per chi ama
tutto quello che il serpens albus ha realizzato prima del
1987. |
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Pride & Joy Music - 2016 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
HAND OF DIMES "Raise" |
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Questi Hand
of Dimes sono la nuova band di Neville McDonald, singer degli
Skin, ‘Raise’ è il loro primo album
e che album… Non mi aspettavo granché da McDonald dopo il mezzo
fiasco dell’ultimo disco degli Skin, invece ‘Raise’
è proprio l’album che la sua ex band non è riuscita a fare dopo
l’eccellente esordio: caldo, bluesy, con parti di chitarra
davvero stuzzicanti, tramato di melodie intense e drammatiche,
prodotto benissimo. ‘Raise’, per
me, è uno degli highlighs dell’anno che s’avvia alla conclusione
nel settore dell’hard rock più blues che mantiene un deciso
flavour anni ’80.
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Coda Recordings - 2016 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
BONEYARD
DOG "Bluesbound Train" |
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Quest’anno
abbiamo già ascoltato parecchie cose interessanti in ambito hard
blues, ma per chi ama il genere fatto però alla maniera degli
anni ’80, questo esordio dei Boneyard Dog è assolutamente
imperdibile. La band è nuova ma i suoi componenti sono tutti o
quasi professionisti navigati: se il chitarrista gallese Davy
Kerrigan non è conosciutissimo, in compenso dietro il microfono
c’è il bravo Rob Mancini (Hotwire, Crush, Scar For Life), alla
batteria Ron Wikso (Foreigner, Cher, Richie Sambora), alle
tastiere nientemeno che l’ex Rainbow Tony Carey mentre le parti
di basso sono state distribuite fra vari ospiti, tra cui Marc
Lynn (Gotthard) e Neil Murray. Come suonano? Mescolate e
impastate i Bad Company più drammatici (quelli di “Evil Wind” e
“The Sky is Burning”), il southern rock di Lynyrd Skynyrd e
Outlaws, tutto l’hard bluesy più fascinoso dagli Whitesnake in
giù con qualche occasionale deriva verso il funky ed il metal
californiano, avvolgete il tutto in una produzione brillante,
calda e limpida come quella che avevano i Tangier del primo
album e cosa avrete? Una bomba! Gli Inglorious sono stati
eccellenti ma hanno fatto un album più hard rock che blues, gli
Absolution idem (potete leggere la mia recensione sul numero 49
di Classix! attualmente in edicola), però il loro punto di
riferimento nel sound sono gli anni ’70: ‘Bluesbound
Train’ sembra schizzato dritto dagli anni ’80, dall’epoca
di Tangier, Cinderella, Dillinger e Regulators: se amate quel
genere di alchimie sonore, non potrete farne a meno. |
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AOR HEAVEN - 2016 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
LAURA COX BAND "Hard Blues Shot" |
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Quasi non
varrebbe la pena di sprecare inchiostro virtuale per scrivere di
questi francesi, ma la Laura Cox Band funziona così bene come
esempio (e un fulgido esempio) della mediocrità imperante,
riassume in maniera tanto perfetta la quasi globalità della
scena classic rock attuale che è praticamente impossibile non
dedicarle qualche riga. Cosa abbiamo, qui? Una bella gnocca
sulla copertina (su questo non si discute), la Laura suddetta
che imbraccia una Les Paul d’ordinanza (Les Paul=classic rock,
ormai è diventato un assioma… per la felicità della Gibson e,
suppongo, lo scorno della Fender che però si rifà con le
Telecaster obbligatorie per chi bazzica la scena alternative/punk)
mettendo in mostra il suo notevole personale. Peccato che le
qualità estetiche non riflettano quelle canore: la voce di Laura
Cox è anonima e tecnicamente non certo impeccabile. La musica
della sua band è il solito impasto riciclato di una quarantina
d’anni di rock più o meno duro, dagli AC/DC ad Alanis
Morrissette il saccheggio è totale, la personalità zero. Ma la
ragazza è una specie di stella su YouTube (ha caricato 59 video
che hanno totalizzato 47 milioni di visualizzazioni) ed ha un
follow di 140.000 like su Facebook e allora, chi volete
che si azzardi a criticare le sue performance canore e
commentare con un bel pernacchione questa sublime opera prima,
mettendosi in rotta di collisione con i 140.000 sordi e/o fessi
che le hanno dato i like su FB? Solo il vostro webmaster, pare,
che degli indici di popolarità su FB e affini se ne strafotte e
non teme di urlare a squarciagola “il re è nudo!” o spingere la
lingua tra le labbra convenientemente umettate e soffiare forte
e chiaro il suo pensiero riguardo l’esordio della Laura Cox
Band. |
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Verycords - 2017 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
MICK McCONNELL "Under My Skin" |
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Questo disco sembra tagliato
su misura per tutti quelli che (come me) hanno sempre trovato il
rock blues di Chris Rea troppo languido (o addirittura
soporifero) per i loro gusti, pur riconoscendone le potenzialità
a livello di songwriting. Mick McConnell fa praticamente le
stesse cose di Chris Rea, ma senza rivestirle di quella
sgradevole patina di gelo asettico che il suo connazionale
riesce a spandere anche sulle schegge più infuocate (almeno
nelle intenzioni) del proprio repertorio. Il songwriting è
brillante, gli arrangiamenti vari, la produzione di gran
livello, qua e là vengono aggiunte piacevoli sfumature southern
o funky e, dulcis in fundo, Mick canta con una voce bellissima,
rauca e vellutata, che pare la fusione perfetta delle ugole di
Rod Stewart e Paul Shortino. In definitiva, ‘Under
My Skin’ è fatto proprio di quel genere di rock blues
cromato e ad alto tasso di inquinamento melodico che anche il
fan dell’AOR trova irresistibile.
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Stuff Music Records - 2017 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
TEQUILA SUNRISE "Last Day With You" |
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La mia sensazione che in
Svezia le buone band (ma quelle davvero buone) non durino
mai è forse più di un sospetto o un pregiudizio personale.
Pensate ai Great King Rat (per me, la miglior band svedese che
l’hard rock aborigeno abbia mai espresso) o a questi Tequila
Sunrise, dalla storia discografica aggrovigliata e nebulosa ma
comunque brevissima, dato che dura appena tre album, e gli
ultimi due sono praticamente lo stesso disco, salvo per il
titolo ed una canzone in più in questo ‘Last
Day With You’. Come suonavano? Immaginate dei Bad Company
con timbriche delle chitarre più ruvide, una vena funky a tratti
più accentuata ed un cantante che era una sorta di Paul Rodgers
dalla voce strascicata e magari un po’ lamentosa. La loro musica
non era un ricalco insulso, piuttosto un ispirato procedere
lungo i sentieri che aveva tracciato la band di Mick Ralphs, e
se amate quel rock a volte pigro e solare, altre epico come un
vecchio western di John Ford, i Tequila Sunrise hanno molto da
offrirvi. |
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BIBA Records - 2011 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
SNAKEWATER "Ain't No More Room in Hell" |
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Britannici, al secondo album,
questi Snakewater fanno un hard rock bluesy e potente che ha
molti punti di contatto con le stesure più sanguigne dei Little
Caesar. “Freedom at Last” è una
cavalcata old style piena di citazioni ben ambientate, la title
track un’interminabile slow al confine dello stoner degno della
Blindside Blues Band, con un ritmo Sabbathiano magicamente in
bilico tra la marcia funebre e la danza di guerra, “Girl
With the Red Dress On” e “Heaven
Holds a Place for You” sono ballad (la prima elettrica,
la seconda acustica) dai begli umori yankee, “Keep
Fallin” si realizza nel magnifico contrasto fra il
riffing ipnotico dei versi ed il furore zeppeliniano del
refrain, “Winter in June” tira in
ballo ottimamente i Guns N’Roses dei due ‘Use
Your Illusion’. Più che da una copertina
iconograficamente adatta solo ad una band epic metal, temo
verranno penalizzati dalla scelta dell’autoproduzione che
limiterà per forza di cose la diffusione di un prodotto di
ottima fattura. |
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Bobbygrantmusic - 2017 |
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HARD BLUES
DEPARTMENT |
RIVERDOGS "California" |
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Dopo quell’album
approssimativo e raffazzonato che è stato ‘World
Gone Mad’ non mi aspettavo molto dai Riverdogs, invece
questo nuovo (ma nuovo per davvero, stavolta) ‘California’
si è rivelato lavoro di buona caratura, non sullo stesso piano
dei primi due dischi ma capace in più di un frangente (il ritmo
bluesy e ipnotico di “Something Inside”,
le delicate nuance tex-mex di “The Heart
Is A Mindless Bird”, le cadenze nello stesso tempi gravi
e lievi di “Welcome To The New Disaster”,
il delicato palpitare di “Ten Thousand
Reasons”, l’intensità maliziosa di “Catalina”)
di distillare quel rock fatto di chiaroscuri ammalianti che ci
sedusse ai tempi di ‘Riverdogs’.
Qualche track lascia il tempo che trova ed il suono è asciutto
ed essenziale, ma ‘California’ è
comunque un prodotto sopra la media di una band mai lodata
quanto avrebbe meritato.
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INDICE |
Fontiers - 2017 |
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