RECENSIONI IN BREVE
AORARCHIVIA |
THE LAW "The Unreleased Album" |
|
Gira da qualche anno e in
varie edizioni (nel senso che potete trovarlo con almeno tre
copertine diverse, ma sempre con la stessa scaletta) questo
bootleg che viene presentato come il secondo album mai
pubblicato della band di Paul Rodgers e Kenney Jones, ma che
sembra in realtà sia composto da canzoni scartate dal debutto
omonimo. La qualità audio è appena discreta, il mixaggio risulta
stranamente rumoroso ed è afflitto da acuti irritanti, ma vale
la pena soffrire un po’ per ascoltare queste otto canzoni, quasi
tutte molto più hard rock di quelle presenti su ‘The
Law’ (“Message of Love” è
addirittura rabbiosa) anche se a volte inutilmente lunghe. “Too
Much Is Not Enough” l’avevamo già ascoltata nella
versione dei Deep Purple (su ‘Slaves and
Masters’) mentre “I Wanna Make Love
to You” e “Alibi” le
ricordiamo incise da Eric Clapton, qui però c’è The Voice
al microfono… Il top? Resto indeciso fra “Loaded
Dice” e “Strictly Off The Record”,
raffinatamente Bad Company. Una release ufficiale che ci
servisse questo materiale in una forma adeguata al suo valore
sarebbe opportuna.
|
INDICE |
|
|
AORARCHIVIA |
MICHAEL KRATZ "Live Your Live" |
|
È orientato decisamente verso
la soft side dell’AOR questo nuovo album del singer danese
Michael Kratz. Le chitarre cedono spesso il ruolo guida alle
tastiere, c’è più di un elemento moderno (a volte coniugato in
un non spiacevole senso danzereccio), molta atmosfera,
produzione di alto livello e songwriting di ottima caratura.
Aggiungiamo al quadro la presenza di esecutori di assoluto
valore (un paio di assoli sono di Steve Lukather e Michael
Landau) ed ecco che ‘Live Your Life’
diventa quasi una priorità per chi ama il pop rock di classe e
l’AOR meno fragoroso.
|
INDICE |
Art Of Melody Music - 2018 |
|
AORARCHIVIA |
THE DEAD DAISIES "Burn it Down" |
|
In questo
nuovo album, l’influenza di Doug Aldritch risulta meno marcata e
risalta soprattutto su tre canzoni (“Dead
And Gone”, “Can’t Take It With You”
e “Leave Me Alone”) che avrebbero
potuto tranquillamente figurare sull’ultimo Burning Rain. Il
resto va dal buono all’ottimo (ma anche le tre canzoni già
citate sono di notevole caratura): la cover di “Bitch”
dei Rolling Stones viene opportunamente incarognita, “Revolution”
è un hard’n’roll metallico e divertito che rimanda a frammenti
analoghi del quasi omonimo secondo album, “Resurrected”
(aggressiva e ipnotica nello stesso tempo) mi ha ricordato
invece i quasi dimenticati Soul Sirkus. Il top? “Judgement
Day”, con i suoi chiaroscuri acustici da film western che
preparano il terreno ad un riffing elettrico di matrice Lynch
Mob. Insomma, un buon album, ma continuo a preferire i Dead
Daisies dei tempi di ‘Revoluciòn’,
quando erano meno heavy e più fantasiosi nel songwriting. |
INDICE |
Spitfire Music - 2018 |
|
AORARCHIVIA |
PYRAMID "Hieroglyphics" |
|
È da non credere che con tante
buone band confinate nell’oblio degli album unreleased o
mai pubblicati su CD, la Retrospect abbia ritenuto di stampare
ben due raccolte di questi insipidi Pyramid. ‘Hieroglyphics’
è fatto in prevalenza di fiacchi ricalchi del repertorio dei
Ratt, in genere di una banalità agghiacciante e in qualche caso
molto vicini al plagio (“Betrayed”
replica “Body Talk” ben oltre i confini della decenza), un
patetico tentativo di mettersi in scia all’hard rock swingante
dei Van Halen (“T.S.P.”), un paio
di ballad stucchevoli e qualche scheggia di metal californiano
talmente amorfa da non poter essere neppure catalogata.
Aggiungiamo al quadro il non trascurabile dettaglio relativo
alla vocetta dell’individuo molto carente in tecnica (stona i
cori spesso e volentieri) e personalità che sta davanti al
microfono, e la totale inutilità di questo ripescaggio diventerà
ancora più palese.
|
INDICE |
Retrospect - 2008 |
|
AORARCHIVIA |
BLUE 46 "Blue 46" |
|
Dalla Svizzera arrivarono nel
’92 questi Blue 46, guidati dalla voce gradevole ma un po’
acerba di tal Karen Sambrook. Anche se l’apertura era affidata
all’opaco metal californiano tra Quiet Riot e Dokken “Breakdown
The Fire”, l’album risultava interessante nei suoi
costanti riferimenti all’universo sonoro degli Headpins, con
arrangiamenti che cercavano soluzioni inedite in più di un
frangente, come su “Tales”, che
combinava l’arena rock al tipico flavour nevrotico della band di
Darby Mills, piena di svolte insolite. In un paio di episodi le
atmosfere ricordano anche i Perfect Crime e in chiusura, “Crazy
Day” rimanda agli Heart primi anni ’80. ‘Blue
46’ è una rara avis, di quelle difficili da avvistare su
eBay e non ho idea a quali cifre passi di mano: la Retrospect o
la Rock Candy potrebbero farci un pensierino.
|
INDICE |
Double O Records - 1992 |
|
AORARCHIVIA |
REB BEACH "Masquerade" |
|
Peccato che quello
straordinario chitarrista che risponde al nome di Reb Beach si
sia concesso il piacere di un album solista proprio durante gli
anni in cui grunge e alternative dettavano legge nelle
classifiche. Reb non è riuscito a resistere alla tentazione di
seguire i trend in voga all’epoca e anche se perfino il grunge
può diventare interessante quando viene passato al setaccio
della sua chitarra (ascoltate “Better
Shade of Grey”), le atmosfere che si susseguono in ‘Masquerade’
riescono poco gradevoli a chi non apprezza la musica di Alice in
Chains, Soundgarden e compagnia. C’è qualche pizzico di metal
californiano e di un hard rock acido sul genere dei Bad Moon
Rising di ‘Opium For The Masses’,
ma il chitarrismo strepitoso di Reb (che si esalta soprattutto
nell’iniziale “Dark Places” e nello
strumentale molto Van Halen “Get Out And
Walk”) resta il motivo principale di interesse in un
album che chi ama tutto quanto lui ha fatto con Winger e
Whitesnake senza dubbio faticherà a trovare stimolante. |
INDICE |
Now & Then - 2002 |
|
AORARCHIVIA |
DAVID CASSIDY "David Cassidy" |
|
David Cassidy ha cominciato la
sua carriera come attore (i più vecchi se lo ricorderanno nei
telefilm La Famiglia Partridge) accumulando una
discografia di 14 album tra studio e live prima di passare a
miglior vita nel 2017. Questo suo album omonimo pubblicato nel
1990 è un capolavoro poco celebrato di AOR hard edged, con uno
stuolo di songwriter ed esecutori da urlo (per l’elenco
dettagliato vi rimando alla scheda di
wikipedia). Il modello prevalente nel sound è quello di John
Parr, ma le sfumature variano con grande sapienza da una canzone
all’altra, in “You Remember Me” si
sente Bryan Adams, sulla ballad “Boulevard
of Broken Dreams” occhieggiano gli Honeymoon Suite (che
bello quell’assolo di sax). Se la magnifica “Living
Without You” è nello stesso tempo anthemica e solare, il
top arriva con la cover della storica “Hi-Heel
Sneakers” (la cantarono, fra gli altri, anche Elvis e
Jerry Lee Lewis), arricchita di un flavour R&B su una chitarra
rabbiosa. La produzione è – a dir poco – sontuosa, il
songwriting brillante: da avere.
|
INDICE |
Enigma Records- 1990 |
|
AORARCHIVIA |
JON
BUTCHER AXIS "Stare
at The Sun" |
|
Uscirà il 25 maggio la
ristampa del secondo album degli Axis, la band che Jon Butcher
formò nei primi anni ’80 per entrare nel ricco (all’epoca)
mercato dell’AOR. Pubblicato nel 1984, ‘Stare
at The Sun’ è un perfetto concentrato di pop rock e AOR
che mette assieme (in ordine sparso) John Parr, Mr. Mister,
Billy Idol, Foreigner, U2 e Glass Tiger, raccomandatissimo a chi
ama il tipico suono rock commerciale della prima metà degli anni
’80. Sulla qualità audio di questa ristampa non posso
pronunciarmi, a causa della linea politica assurda che la Escape
ha deciso di adottare verso i recensori: per un po’ ha fornito
solo sample di un minuto e mezzo, oggi mette nel player album
interi, ma gli .mp3 hanno una velocità in bit indecente che
rende l’ascolto del materiale una vera tortura per le orecchie.
|
INDICE |
Escape - 2018 |
|
AORARCHIVIA |
THE JAMES PROJECT "Desert
Bloom" |
|
Venne presentato con accenti
roboanti questo unico album di James Lawrence Berk, apprezzato
(pare) songwriter per il cinema e la pubblictà negli USA, ma la
sostanza dell’album è scarsa. C’è molto pop rock all’acqua di
rose, ordinario o noioso tout court: “Tell
Her I’m Home” è una ballatona veramente monotona, “Everything
About You” sembra il parto di un Jeff Paris a corto di
ispirazione, “Mend My Broken Heart”
suona come una B side di Elton John. Il meglio sta nelle
alchimie Survivor-Bad English di “Take Me
To The River” e nell’AOR dalla bella melodia di “Sorrow
In Diguise”, ma anche l’atmospheric power di “Promised
Land” si fa apprezzare, mentre la discreta “Take
Good Care Of Her Heart” ruba qualche armonia vocale alle
ballad degli Autograph. Alla fine della fiera, un disco
trascurabile per non dire inutile.
|
INDICE |
Next Horizon Records – 1996 |
|
AORARCHIVIA |
SPACE ELEVATOR "II" |
|
Non mi aveva convinto il primo
album di questa band britannica ed il suo nuovo lavoro non ha
cambiato la situazione. Il songwriting è brillante, la
produzione di lusso e gli arrangiamenti policromi, il problema
sta nella matrice melodica ripresa palesemente da due band che
al sottoscritto non vanno proprio a genio, i Queen ed i loro
figliocci moderni, The Darkness. Naturalmente, il mio problema
con gli Space Elevator è del tutto personale, e chi apprezza la
matrice di cui sopra trasposta in chiave di hard melodico
troverà senza dubbio ‘II’ ed il suo
predecessore molto gradevoli.
|
INDICE |
SPV - 2018 |
|
AORARCHIVIA |
ROMEO "Romeo" |
|
Buoni artigiani del suono AOR
primi anni Ottanta, i Romeo, che però pubblicarono questo loro
album d’esordio addirittura nel 1993. Il songwriting discreto
viene penalizzato da arrangiamenti troppo ovvi e da un cantante
che a volte sembra un po’ a corto di fiato, ma la resa globale
del prodotto supera ampiamente la sufficienza, con richiami
(palesi, in qualche frangente) a Surgin’, Journey, Autograph,
Bryan Adams e Starz. Insomma, ‘Romeo’
non è un album indispensabile o imprescindibile, ma neppure una
ciofeca nauseabonda o indigesta. Col tempo è però diventato di
una notevole rarità e credo che le sue molto saltuarie
apparizioni tra eBay e Amazon siano contrassegnate da cartellini
del prezzo nient’affatto leggeri. |
INDICE |
WFG Records -
1993 |
|
AORARCHIVIA |
DIAMANTE "Coming
in Hot" |
|
Esordio per questa bella
ventunenne di madre messicana e padre italiano, cresciuta negli
Stati Uniti e dedita con la sua backing band ad un hard rock
moderno e radio friendly sulla scia dei soliti Shinedown,
Nickelback e Halestorm: a volte sembra una Joan Jett con gli
steroidi (la title track, il bell’anthem “Sound
of Us”), in altri momenti trova soluzioni al crocevia tra
rock classico e contemporaneo (“Had Enough”
e “Haunted”, entrambe basate su
riff zeppeliniani ma ritmate a tempo di EDM, “Bulletproof”,
che replica la ricetta facendo riferimento agli AC/DC e con il
plus di begli impasti vocali). Ci sono un paio di passi falsi (“Crazy
on You” ha un refrain orribile, “Definitely
Not in Love” è punkeggiante, convulsa e l’avremo già
sentita un paio di miliardi di volte) e il cantato in spagnolo
mi rende incomprensibile quella notevole power ballad molto
Nickelback intitolata “Lo Siento”
(ma forse il testo è solo la traduzione in castigliano di quello
di "I'm Sorry": la musica è la
stessa),
però ‘Coming in Hot’ resta uno dei
migliori prodotti in ambito modern melodic (la produzione è di
Howard Benson) ascoltati quest’anno. |
INDICE |
Better Noise Records - 2018 |
|
AORARCHIVIA |
7th HEAVEN "Color in Motion" |
|
Il pop rock dei 7th Heaven
funziona meglio quando bilancia il moderno con una più che
discreta vena anni ’80 (o quando la vena suddetta prende il
sopravvento, come in “Happy Now”,
col suo bel riffone secco): nei toni ariosi ma anche vagamente
anthemici di “This Is Where The Party’s At”,
nelle atmosfere un po’ John Parr della galoppante “Wonderful
World” e in quelle un po’ Danger Danger della ballad “I
See You Smile”. Più adatti, comunque, a chi predilige il
suono melodico moderno, mai troppo elettrico né contaminato di
EDM. |
INDICE |
NTD Records - 2018 |
|
AORARCHIVIA |
KEVIN
WELLS "Little
Acts Of Treason" |
|
La backing band che aveva
accompagnato il polistrumentista Kevin Wells su questo suo unico
album annoverava qualche luminare del suono AOR (Dan Huff, Bill
Cuomo), ma la proposta si rivelava impostata su un pop rock
troppo blando per interessare chi ama l’hard melodico. In “I’m
Still Waiting” non c’è neppure una nota di chitarra, su
tutto il resto l’elettricità è ridotta a poche gocce, anche se i
riferimenti (molto vaghi) a Journey, Survivor e Toto non
mancano. Nel suo genere non è male, ma ‘Little
Acts Of Treason’ ha davvero poco da offrire al pubblico
dell’AOR. |
INDICE |
Sunset Dreams - 1985 |
|
AORARCHIVIA |
LIZ
LARIN "Test Your Faith" |
|
Di questo esordio solista di
Liz Larin (in precedenza voce dei Rebel Heels) non si può
parlare male ma neppure esaltarlo. Prodotto da Al Nalli (non da
Ben Gosse, come riporta la scheda di Liz su Wikipedia), ‘Test
Your Fate’ piacerà soprattutto a chi ama il pop rock
sofisticato degli anni ’80, in prevalenza sulla scia dei
Mr.Mister, spesso contaminato con il westcoast ed il folk alla
maniera dei Cock Robin. La produzione era di gran livello e Liz
aveva una bellissima voce, tagliente e morbida nello stesso
tempo: qualche canzone era inutilmente lunga, altre troppo
blande e pop, ma chi predilige l’AOR nelle sue declinazioni meno
elettriche e rockeggianti, troverà sicuramente in quest’album
motivi d’interesse.
|
INDICE |
Atlantic - 1993 |
|
AORARCHIVIA |
DION BAYMAN "Better Days" |
|
Mi sono occupato di Dion
Bayman già nel 2016 per il suo ‘Don’t
Look Down’, e per non ripetere cose già dette
invito chi non lo conosce a seguire il link per leggere quella
recensione. Questa nuova release esce per l’italiana Art of
Melody, e il supporto di una vera label non potrà che giovare
alla diffusione di ‘Better Days’.
Il songwriting è in linea con l’album precedente, anche se un
po’ meno brillante, e il meglio sta nei chiaroscuri di “Out
Of Mind Out Of Sight” e nei toni drammatici di “If
I Could”. Comunque, questo artista australiano resta
un’ottima alternativa alla monotonia melodica made in
Scandinavia.
|
INDICE |
Art of Melody Music - 2018 |
|
AORARCHIVIA |
BLACK TIGER "Black Tiger" |
|
Questa band ceca pubblica il
suo primo album per l’etichetta italiana collegata alla Tanzan
Music: prodotto dal bravo Mario Percudani, ‘Black
Tiger’ non pecca in originalità, preferendo rifarsi ad un
lotto di mostri sacri del nostro genere: “Don't
Leave Me” si muove sui ritmi di “Is This Love” integrati
con un refrain molto Def Leppard, “Life is
a Game” e la ballad “Solitary Man”
guardano all’universo Survivor, “Reason to
Live” omaggia i Danger Danger più soft, “She’s
a Liar” spara bei riff da metal californiano. Alla
distanza, l’album fa una decisa sterzata verso l’hard melodico
dei Tyketto epoca primo album, sparando le cose migliori con “Who
is To Blame” e la ballad “Silent
Cry”. La produzione è di ottimo livello, gli
arrangiamenti curati ed il songwriting per nulla malvagio: il
cantante a volte risulta un po’ monotono ma, in definitiva, ‘Black
Tiger’ funziona benissimo e sarà gradito a chi, in campo
AOR, non apprezza soluzioni fuori dall’ortodossia del nostro
genere né le moderne alchimie sonore made in Scandinavia. |
INDICE |
FreeMood - 2018 |
|
AORARCHIVIA |
ANN WILSON "Immortal" |
|
Ann Wilson prosegue lungo la
strada dei cover album con questo ‘Immortal’,
che presenta materiale a dir poco eterogeneo per genere e stile,
alternando canzoni di (fra gli altri) George Michael e
Audioslave, Cream e Amy Winehouse, Eagles e Leonard Cohen, con
arrangiamenti oltretutto molto vari, che rimodellano le canzoni
a volte addirittura stravolgendole (“Life
in the Fast Lane” diventa un pezzo quasi d’atmosfera con
tanto di chitarra funky) ma sempre in maniera efficace.
Ovviamente, se già in originale vi diceva poco o niente, anche
una rilettura fantasiosa avrà scarso successo nel rendervi
gradevole la canzone (e difatti, “I’m
Afraid of Americans” di David Bowie e “Politician”
dei Cream, qui rifatte, continuano a dirmi pochissimo) ma un
cover album che soddisfi i gusti di un ascoltatore dal principio
alla fine credo debba ancora essere inciso. Ann canta sempre
meravigliosamente e, alla rispettabile età di 68 anni, è ancora
la voce femminile rock più bella in circolazione e il motivo
principale per mettersi all’ascolto di ‘Immortal’
. |
INDICE |
BMG - 2018 |
|
AORARCHIVIA |
BUGZY "Plan B..." |
|
Questa non è precisamente una
raccolta di demo, almeno a giudicare dalla qualità audio e dalla
produzione, per non parlare della cura negli arrangiamenti che
danno forma a 17 canzoni quasi sempre di classe superiore. La
band flirtava apertamente con il lato più classic rock del suono
hard melodico, mixando Bon Jovi, Bryan Adams, John Waite e Mitch
Malloy in varie intensità e combinazioni. Facevano eccezione
solo “One Man” e “Your
Love Leaves Me Cold” (molto californiane alla maniera
degli Autograph), “Young At Heart”
con le sue sfumature Def Leppard, le melodie Journey su un
telaio più elettrico e metallico di “Piece
Of The Puzzle” e l’AOR con refrain alla Honeymoon Suite
di “Eyes Of Steel”. Un recupero di
notevole valore.
|
INDICE |
Divebomb Records - 2017 |
|
AORARCHIVIA |
CREYE "Creye" |
|
Quando parlo di “monotonia
made in Scandinavia” in relazione a dischi AOR provenienti
dal Nord Europa non faccio dell’ironia: salvo per pochissimi
eletti, il melodic rock che ci arriva da quelle parti finisce
invariabilmente per annoiare. Prendiamo questi Creye: H.E.A.T e
Work Of Art sono la loro principale fonte di ispirazione e la
produzione è piatta nel senso che i suoni sono sempre uguali e
gli arrangiamenti senza sorprese, prevedibili al secondo: tra un
po’ c’è il middle eight, adesso arriva il bridge, sai già quante
battute durerà l’assolo e che gli ultimi due refrain li
canteranno un tono più su… Insomma, si rimasticano clichè e cose
già sentite, incessantemente. Certo, se vi fa gola una
clonazione in tono minore e più patinato degli H.E.A.T,
buttatevi pure sui Creye. Ma se
non ne potete più di quel melodic rock
plastificato e asettico che la Svezia (soprattutto con la
complicità della Frontiers) sforna a getto continuo, statene lontani. |
INDICE |
Frontiers - 2018 |
|
AORARCHIVIA |
HARDCORE SUPERSTAR "You can't kill my rock'n'roll" |
|
Dopo aver omaggiato il più
classico street rock californiano in ‘HCSS’
gli Hardcore Superstar cambiano (ancora) pelle, tornando ad
incrociare classico e moderno in un album che è soprattutto una
valanga di riff vincenti su cui la band spalma trame melodiche
in bilico fra il glam più vizioso e la solarità di tipico stampo
svedese che oggi è rappresentata meglio di tutti dagli H.E.A.T.
Chiudiamo un occhio sullo sfacciato trapianto nella title track
del refrain della ‘Heaven Is a Place on Earth’ che fu un hit
planetario di Belinda Carlisle nel 1987 e godiamoci il ritmo da
party rock della divertente ‘Baboon’,
il riffing alla Crüe (periodo ‘Dr.
Feelgood’) di ‘Electric Rider’,
gli accordi saltellanti che salgono in un crescendo drammatico
in ‘Hit Me Where It Hurts’, le
atmosfere anthemiche di ‘Bring The House
Down’ e ‘The Others’. ‘You
Can’t Kill My Rock ‘N Roll’ è divertimento alla stato
puro, una boccata d’ossigeno fra tanto modern rock depresso o
incazzato. |
INDICE |
Gain Music - 2018 |
|
AORARCHIVIA |
BEAU COUP "Born
& Raised (on Rock-n-Roll)" |
|
Questo primo album dei Beau
Coup (il secondo, nel 2006, era solo una reincisione delle
stesse canzoni, fatta per non perdere i diritti di copyright) si
muoveva tra pop rock ed AOR, con le chitarre (tutte opera di
vari turnisti) che rifinivano e davano consistenza rock ad un
suono keyboard oriented. Arrangiamenti curati e produzione di
alto livello smaltavano un songwriting che risultava buono anche
se non lasciava esterrefatti, con il top nell’atmosfera
notturna e drammatica di “Uptown L.A.”,
il pop rock anthemico della title track e la sferzata hard in
stile Survivor di “Hold on Me”. ‘Born
& Raised (on Rock-n-Roll)’ è una rarità sia in LP che in
CD (su eBay chiedono intorno ai venti dollari per il vinile e da
50 a 150 dollari per il compact), ma è regolarmente in vendita
su Amazon Music in formato .mp3: non indispensabile, ma chi ama
il suono AOR degli anni ’80 nelle sue declinazioni più pop non
dovrebbe lasciarselo sfuggire.
|
INDICE |
Amherst Records - 1987 |
|
AORARCHIVIA |
MIDNITE CITY "There Goes the Neighbourhood" |
|
Questa band britannica non è
partita con il piede giusto l’anno passato e persevera
diabolicamente nell’errore di riproporre gli elementi più
insulsi del melodic rock scandinavo nel proprio sound, pur
correggendo saltuariamente il cocktail con dosi moderate di
melodia prelevate dal songbook di Def Leppard e Danger Danger.
Oltretutto, mostra un songwriting molto altalenante: “Here
Comes the Party” è addirittura magistrale, anthemica e
trascinante sul modello dei One Desire, ma già “Give
Me Love” sprofonda nel banale svedese moderno, toccando
il fondo nella soporifera “Life Ain’t Like
This on the Radio” e risalendo appena la china con “We’re
Gonna Make It” e “Tonight You're
All I Need” . Le potenzialità ci sono, ma se i Midnite
City non vogliono essere dei semplici figuranti dell’AOR faranno
bene a cercarsi altre fonti di ispirazione. |
INDICE |
AOR Heaven -
2018 |
|
AORARCHIVIA |
DOMINOE "The
Lost Radio Show" |
|
I Dominoe esordirono nel 1988
ma la loro discografia conta appena sei album e tanti cambi di
direzione musicale. Questo appena uscito ‘The
Lost Radio Show’ è fatto di ben 15 canzoni che
saltabeccano allegramente dai ’70 di Whitesnake, Who, Outlaws
all’AOR fino al tipico rock melodico made in Germany
vecchio stampo che entusiasma solo chi è nato a Lubecca o
Francoforte. Ci sono cose molto buone, altre banali e altre
ancora troppo tedesche, come “Dark Dogs”,
buona per ritmare la scena di un film western e neppure malvagia
se non l’avessero infarcita di quei tocchi di pacchianeria
sonica crucca che infestano anche il class metal “No
More Lies”, per non parlare di qualche refrain fesso e/o
melenso che avrebbero potuto scrivere anche i loro connazionali
Modern Talking (i più vecchi non possono non ricordarseli, erano
quelli di “Cherie Cherie Lady”, canzone che potrebbe ambire al
titolo di “brano pop più idiota di tutti i tempi”). Album con
belle timbriche e ottima la resa fonica e, se scartiamo i brani
afflitti dalle alchimie sonore tipicamente teutoniche di cui
sopra, neppure tanto male.
|
INDICE |
Pride & Joy Music - 2018 |
|
AORARCHIVIA |
STEVIE VANN "Stevie Vann" |
|
Di questo unico album solo di
Stevie Vann (apprezzata corista e vocal coach in USA e UK) non
si può dir male ma neppure mandarlo in paradiso. Prodotto
dall’ex marito Mutt Lange, il songwriting e gli arrangiamenti
sono sottomessi all’esigenza di far risaltare la splendida voce
di Stevie (calda, di tonalità media e con una sensuale ombra
rauca): non ci sono guizzi e si vagola nel già sentito del
mainstream rock radiofonico di fine anni ’80 (diciamo, fra Bryan
Adams e Tom Petty). Il suono è piccante e patinato nello stesso
tempo, con qualche riflesso country e frequenti derive soul;
impeccabile (ovviamente) la produzione. In definitiva: riservato
a chi ama le belle voci femminili. |
INDICE |
Silvertone Records - 1995 |
|
AORARCHIVIA |
PALACE "Binary Music" |
|
Se tutte le band svedesi
fossero come i Palace (o gli H.E.A.T, se è per questo), il
melodic rock scandinavo sarebbe davvero quello scrigno pieno di
meraviglie per cui tanti cercano di farlo passare. Invece, di
band come questa (che poi una band, in effetti, non è) ce ne
sono pochissime e risaltano particolarmente in mezzo a quelle
torme di mestieranti che sfornano a ripetizione album tutti
uguali (e tutti ugualmente noiosi, piatti e scontati). Questo
progetto è guidato dal produttore e multistrumentista Michael
Palace che, coadiuvato da Daniel Flores, ci dà con ‘Binary
Music’ (secondo album dopo l’esordio del 2016) un vero e
proprio masterpiece perfettamente bilanciato tra passato e
presente dell’hard rock melodico: Palace guarda soprattutto agli
universi sonori di Unruly Child e Steelhouse Lane miscelandoli
con grande sapienza ad armonie vocali di stampo moderno
(soprattutto H.E.A.T, ma nella ballad “Who’s
Counting Time” c’è un refrain decisamente Nickelback),
aggiungendo saltuariamente deliziose sfumature r&b e pop e
confezionando un omaggio ai Queen nei loro momenti da Music Hall
con “Queen of The Prom”. La
produzione è raffinata, policroma e multilayered, le timbriche
brillanti, il songwriting spettacolare: senza
dubbio, uno degli album dell’anno appena concluso. |
INDICE |
Frontiers - 2018 |
|
AORARCHIVIA |
ARABIA "1001 Nights" |
|
Gli Arabia nacquero dalle
ceneri degli Scarecrow, autori di due album nei primi anni ’90.
Questo loro esordio recuperava tre canzoni dal primo disco
omonimo degli Scarecrow, proponendo un class metal di grana
grossa che occhieggiava soprattutto i Whitesnake americani, i
Blue Murder ed i loro cloni Lion e Bad Moon Rising, e magari le
cose più elettriche del Sabu di metà anni ’90. Il cantante era
una sorta di incrocio fra Kelly Keeling e Blackie Lawless, la
resa fonica era discreta, i furtarelli alle band citate non
mancavano pur non sconfinando mai nella sfacciataggine a cui ci
hanno ormai abituato tante produzioni odierne, il clima si
manteneva generalmente fra il party e l’anthemico. Certo non un
classico, ma neppure un titolo da far scivolare nell’oblio.
|
INDICE |
Z Records - 2001 |
|
AORARCHIVIA |
FAKE I.D. "Dreaming Ezekiel" |
|
Risale al 1997 questo unico e
ottimo album dei Fake I.D., band americana che faceva parte
della scuderia MTM, dedita ad un AOR mai troppo aggressivo. Il
songwriting era di classe superiore e molto vario: “Hearts
Break Like Promises” era drammatica allo stesso modo del
Tommy Shaw di ‘Ambition’, “Heartbreak
Moon” bazzicava gli stessi territori battuti da Mark
Spiro, la melodia anthemica e le chitarrone grattanti di “Tied
to the Mast” ricordavano in pari misura Alias e Survivor,
“Tears Don’t Put Out the Fire”
(forse il top dell’album) suonava pulsante e d’atmosfera con una
bella sferzata d’energia nel refrain. Da ristampare senza
esitazioni. |
INDICE |
MTM - 1997 |
|
AORARCHIVIA |
TONY MITCHELL "Beggars Gold" |
|
C’è tanta di quella roba in
questo disco dell’ex cantante dei Kiss of Gipsy che a descrivere
le canzoni una per una ci mettereste una settimana a leggere
tutto… Hard rock in genere melodico, ben prodotto anche se i
suoni sono un po’ opachi, vario e pieno di sorprese e innesti a
volte imprevedibili. Se “Never Say Die”
parla la lingua dei Little Angels in un contesto più ruvido ed
heavy (ma con un refrain prelevato pari pari dalla “Desperate
Dream” dei Survivor), “Blind” ha un
riff AC/DC, strofe rarefatte ed un coro potente con melodie alla
H.E.A.T cantate in duetto con Sue Willets dei Dante Fox, mentre
la divertente “Wildside” passa dai
Deep Purple agli ZZ Top con straordinaria fluidità e “Fire
me Up” è un heavy rock convulso, vagamente zeppeliniano
ma con un refrain anthemico da metal californiano. Il top, per
me, arriva in chiusura con l’arena rock molto Kiss of Gipsy
intitolato “Welcome to the Revolution”,
ma ‘Beggars Gold’ è nella sua
totalità un prodotto sopra la media.
|
INDICE |
Frontiers - 2018 |
|
AORARCHIVIA |
LANCIA "Lancia" |
|
Uscito solo in Giappone nel
1992, questo unico album dei Lancia non è precisamente una
ciofeca ma neppure fa gridare al miracolo. Tutto il meglio del
metal da Sunset Strip viene passato al setaccio, con particolare
attenzione al class di matrice XYZ, ma il songwriting non
risulta granché brillante e il cantante, Paul Lancia, si esprime
con uno stile esageratamente enfatico e teatrale. Il meglio sta
nei toni molto Crüe era ‘Dr. Feelgood’
di “Jimmy”, in quelli viziosi alla
Love/Hate di “Poetry in Motion” e
nella parafrasi XYZ in stile street rock della conclusiva “Wrecking
Ball”. Tirando le somme: album dignitoso ma
inguaribilmente mediocre. Le quotazioni sul mercato dell’usato
sono altissime (si parte dagli ottanta dollari e non di rado si
sfiorano i cento), giustificate unicamente dalla rarità tipica
dei prodotti made in Japan.
|
INDICE |
AIE Records - 1992 |
|
AORARCHIVIA |
MORANO "Incognito" |
|
Qualunque album stiate
occhieggiando alla disperata ricerca di un sound genuinamente
anni ’80, incorrotto da qualsivoglia influenza moderna,
lasciatelo perdere e concentratevi su questo esordio di Duane
Morano, un Carneade che però vanta amicizie in alto loco,
considerato che su ‘Incognito’
suonano e/o cantano personaggi come Danny Vaughn, Terry Ilous,
JK Northrup, Pat Badger e Michael Foster. È un album molto
elettrico, il top sta nel riffing scivoloso e molto Van Halen di
“Kid Glove” (con Danny Vaughn al
microfono) e in quel formidabile class metal nello stesso tempo
anthemico e arioso intitolato “Sincerely
Yours” (qui canta il bravo Bryan Cole), ma ‘Incognito’
è nella sua totalità un prodotto di notevole spessore, suonato e
prodotto come si deve. Per acquistarlo, meglio andare sul sito
di Duane a questo indirizzo: www.duanemorano.com
. Saranno soldi ben spesi.
|
INDICE |
Autoproduzione - 2019 |
|
AORARCHIVIA |
WEST BOUND "Volume 1" |
|
Chi andava a immaginare che
Roy Z, produttore di fama e leader dei Tribe of Gypsies, avesse
un debole per il suono degli Whitesnake era ‘1987’?
Con un cantante, Chas West, ovviamente emulo di sua maestà David
Coverdale (a maggio arriva il nuovo album!), ci propone undici
canzoni perfettamente in linea con il sound del serpens albus
trapiantato a L.A. Il songwriting è di livello altissimo: non mi
piace il refrain epicheggiante alla Saxon (orrore!) di “Never
Surrender”, ma tutto il resto è veramente ottimo. Si
poteva fare di più per la qualità del suono, a volte un po’
impastato, ma questo ‘Volume 1’
sarà un bel modo per ingannare l’attesa fino al 10 maggio,
quando David e soci pubblicheranno ‘Flesh
& Blood’.
|
INDICE |
Frontiers- 2019 |
|
AORARCHIVIA |
LONDON "Call
that Girl" |
|
Il ritorno di questo storico
moniker (per saperne di più, potete leggere la mia recensione
dell’ottimo ‘Playa
del Rock’) non ci ridà integralmente la band
che conoscevamo: Nadir D’Priest, Alan Krieger e i loro nuovi
soci (fra cui Eric Ragno alle tastiere), escono con un album
eterogeneo e camaleontico, che passa con disinvoltura dall’heavy
metal puro e duro (l’esplicita “Metal
Nations”, col suo ritmo da headbanging a torcicollo; “Reach
Up to the Skies”, solenne, cadenzata e un po’ monotona)
al classic rock (la power ballad “Next to
Me”), dallo street nevrotico (il riffone rotolante di “I
Am Not Afraid”) ad un melodic-glam con un’impronta
decisamente Simple Minds (“Far Away”
e “Please Give Me a Kiss”). Il
meglio? I fiati r&b innestati su un tessuto di classico glam
metal della title track, i begli impasti chitarre/tastiere di “I
Fell in Love With a Rebel”, i riff geometrici ed il
refrain melodico con un tocco esotico di “You
Are Still the One for Me”, la conclusiva “Ayer
Te Soñé Aquí”, epicheggiante, cupa e d’atmosfera. Ottima
la qualità audio, ma le vocals risultano troppo invasive ed i
cori rumorosi: è chiaro che la personalità straripante di Nadir
ha prevalso sull’equilibrio generale del sound.
|
INDICE |
Vamps Worldwide Vision -
2019 |
|
|