RECENSIONI IN BREVE
AORARCHIVIA |
SHAYLE "Standing in the Shadows" |
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Lavoro dignitoso questo unico
parto degli Shayle, band canadese che praticava l’AOR hard
edged con diligenza, muovendosi lungo uno spettro di suono
abbastanza ampio che andava dagli Honeymoon Suite a Huey Lewis,
dai Journey agli ultimi Glass Tiger. Ci sono un paio di picchi
(“Wild Ones and Lovers”, “Promises”),
canzoni a volte troppo lunghe in relazione agli arrangiamenti
tutt’altro che avventurosi, una buona qualità audio. Non una
band indimenticabile ma neppure da lasciar sprofondare
nell’oblio. |
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Polaris - 1993 |
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AORARCHIVIA |
AMAZONE "Rough, Tough" |
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Non proprio da scaricare nel
water più vicino questo unico album della tedesca Amazone (al
secolo, Willie Richter) ma neanche da iscrivere con una
stilografica d’oro nel registro dei capolavori. Anche volendo
sorvolare sulla voce tutt’altro che potente, impeccabile e dal
timbro non esattamente accattivante di Willie, non si può non
sottolineare che l’evidente volontà della sua band di praticare
un lussuoso suono AOR nordamericano spesso naufragava fra
melodie melense da Oktoberfest ed effettacci di una pacchianeria
inconfondibilmente germanica. Insomma: se vi ci imbattete,
passate pure oltre senza rimpianti…
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Rekord - 1987 |
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ERIKA "Deaf, dumb & blonde" |
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L’ex morosa di Yngwie
Malmsteen non la ricordiamo esattamente come un’ugola d’oro,
anche se pare che in patria e (Dio sa perché) in Giappone goda
di un credito più che discreto. Questo ultimo ‘Deaf,
Dumb & Blonde’ (sesto capitolo della sua discografia) ha
a volte un’impronta decisamente moderna, soprattutto nel
riffing, altre si butta nel melodic metal continentale di più
stretta osservanza ottantiana, adottando in genere una
tradizionale matrice melodica che suona più tedesca che
scandinava e aggiungendo qualche sparso tocco gothic/industrial.
Niente di memorabile, ma il melange è ben eseguito e chi
gradisce il genere può puntare su ‘Deaf,
Dumb & Blonde’ a colpo sicuro. Uscirà il 20 maggio. |
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Escape - 2016 |
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VENUS & MARS "Grand trine" |
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Venus & Mars erano un duo
formato da Diana Dewitt (grandissima voce, come una Joanna Dean
più vellutata o una Robin Beck un po’ rauca) e Robin Randall
alle tastiere. Questo ‘Grand Trine’
venne prodotto e suonato da Guy Marshall, James Christian e
Michael Hanna, con l’ausilio di molti ospiti prestigiosi come
Lenny Cordola e Mark Free, componendo uno strepitoso trattato di
puro AOR, tra ballad sublimi, splendenti tranche di atmospheric
power e qualche solitaria sferzata di elettricità. Solo un altro
capitolo per il monicker, ‘New Moon Rising’,
quattro anni dopo, uscito all’epoca solo in Giappone ma da
qualche anno in vendita su CD Baby.
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Prolific Records - 1994 |
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ROB MORATTI "Transcendent" |
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Per questa
sua seconda prova solista, Rob Moratti non ha potuto contare su
una pattuglia di esecutori, produttori e songwriter pari a
quella che lo aiutò a realizzare ‘Victory’
ormai cinque anni fa e (purtroppo) si sente. Non che ‘Trancendence’
sia da buttare, ma è un fatto che queste dodici canzoni si
situano (con pochissime eccezioni) nel convenzionale contesto
dell’hard melodico pomposo su base Journey, con la voce del suo
autore sempre, rigorosamente al centro della scena. Mancano qui
gli arrangiamenti creativi e per nulla scontati, le parti di
chitarra fantasiose che hanno reso ‘Victory’
un masterpiece assoluto. Ripeto che ‘Trancendence’
non è affatto una ciofeca, ma il confronto (inevitabile) con
quanto realizzato da Rob nel 2011 penalizza (inevitabilmente) un
lavoro costruito, più che attorno alle canzoni, sulla voce del
suo autore, che satura lo spazio sonoro tramite stratificazioni
di vocalizi magistralmente assemblati ma a volte un pelo
asfissianti. |
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Escape - 2016 |
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AORARCHIVIA |
DAN REED NETWORK "Fight another day" |
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La cosa migliore è ascoltarlo
senza pensare al moniker che porta. Forse così potremo
apprezzare, almeno fino ad un certo punto, ‘Fight
Another Day’, con le sue dodici canzoni improntate ad un
melodic rock moderno decisamente keys oriented, dotate di un
certo flavour di black music nelle melodie e saltuari innesti
funky. Perché confrontarlo con i tre dischi che lo hanno
preceduto equivale a farlo a pezzi. Che fine hanno fatto la
vivacità, il calore che questa band metteva in ogni esecuzione?
E l’elettricità? Il crossover indiavolato? E, soprattutto, dov’è
la produzione geniale dei due giganti che hanno diretto i DNR su
quei tre album, Bruce Fairbairn e Nile Rodgers? Canzoni meste,
tempi lenti, arrangiamenti tutt’altro che avventurosi. Non è poi
un brutto album, ma da quel moniker era legittimo aspettarsi
altro, e chi è impazzito per ‘Slam’
o ‘The Heat’ non potrà non
ritrovarsi alla fine dell’ascolto con l’amaro in bocca.
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Frontiers - 2016 |
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CHANGE OF HEART "Last tiger" |
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Se i Change of Heart hanno
ritenuto opportuno pubblicare nuovo materiale a distanza di
undici anni dalla loro ultima release, è evidente che sono
convinti ci sia in giro qualcuno desideroso di ascoltarlo. Ora,
non potrei affermare che i CoH siano una di quelle band di cui
sentivo più atrocemente la mancanza e mi sento autorizzato a
dubitare che vi siano legioni di fans che ne attendevano con il
fiato sospeso il ritorno, ma tant’è… Della vecchia line up è
rimasto solo il cantante/bassista Alan Clark che ci propone una
dozzina di canzoni fatte di un hard melodico abbastanza distante
dall’AOR dell’esordio (per saperne di più, seguite il
link), striato di
sfumature metalliche e spesso ricco di toni epicheggianti e/o
solenni. Le cose migliori di questo ‘Last
Tiger’ stanno però in quelle track dove le atmosfere sono
più, diciamo, leggere, come in "Holy Days"
e "Stone Cold" (che ricordano gli
ultimi Shy) e nelle tinte nello stesso tempo notturne e
minacciose della title track, anche se il songwriting – eterno
punto debole di questa band – resta opaco e amorfo. La
perseveranza che Alan Clark dimostra nel mantenere in vita
questo moniker così superfluo non so fino a che punto si possa
fare oggetto di lode. |
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Escape - 2016 |
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DARE "Sacred
Ground" |
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Mancano cinque mesi alla fine
dell’anno, ma mi sento di prevedere fin d’ora che questo nuovo
album dei Dare sarà il top assoluto del 2016 in campo AOR. Il
ritorno di Vinny Burns ha fatto molto bene a Darren Wharton e se
i rarefatti splendori dell’esordio restano inarrivabili, questo
‘Sacred Ground’ ci consegna una
band capace di coniugare il proprio sound “storico” senza cadere
nell’autocitazione, proponendosi nel contempo con architetture
chitarristiche inaspettatamente più decise e potenti. La voce
intensa e grave del leader continua a raccontare storie
malinconiche o tragiche tout court, ma chi è in cerca di
party rock sa già che dai Dare non avrà soddisfazione… |
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Legend Records - 2016 |
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THE DEAD DAISIES "Make Some Noise" |
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Doug
Aldrich è entrato nei Dead Daisies ed ha preso decisamente il
comando delle operazioni. Risultato: questo nuovo, attesissimo
album suona praticamente come un’estensione più ruvida e
stradaiola dell’ultimo Burning Rain. In sé, ‘Make
Some Noise’ è un lavoro di buona caratura, ma l’identità
che questo ensemble ballerino era riuscito a costruirsi
nonostante i continui cambi di line up è andata quasi
interamente perduta. Oggi, ripeto, si presentano come una
versione più rough dei Burning Rain (o degli Whitesnake moderni,
fa lo stesso…) e non mi pare che questo, per John Corabi e soci,
possa configurarsi come un motivo d’orgoglio. |
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Spitfire - 2016 |
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SEVEN "Shattered" |
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Nel comeback dei Seven
troviamo un hard melodico che media tra classico e moderno,
fondendo le più recenti evoluzioni della scuola AOR svedese
(dagli Eclipse agli H.E.A.T.) ad una notevole vivacità melodica
ispirata ai mostri sacri del nostro genere (Journey soprattutto,
ma anche Tommy Shaw, Foreigner e Toto) e qualche sparso tocco
prog alla Radioactive. Gli impasti chitarre/tastiere sono sempre
movimentati e ben calibrati, il songwriting è di buona qualità e
questo ‘Shattered’ ha buone carte
per finire tra gli highlights melodic rock del 2016. Uscirà il
23 settembre. |
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Escape - 2016 |
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JACKIE
BODIMEAD "Don’t
Believe in Love" |
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La ex Girlschool Jackie
Bodimead non ha (purtroppo per lei) quel genere di voce in grado
di trasformare in poesia sonora anche la successione di accordi
più smorta e
scontata. Ne consegue che se
una canzone che interpreta non ha del buono in sé, Jackie può
fare ben poco per renderla almeno interessante. Questo suo unico
(da quel che so) album solista pubblicato giusto vent’anni fa
può contare (fortunatamente) su un songwriting più che discreto,
molto Journey oriented, con qualche momento opaco (la
title track suona piuttosto noiosa, “Forever”
mescola spiritual e rock melodico con poca ispirazione) e
diversi picchi (il bel pulsare da arena rock di “You
Are The One”, le architetture alla “Separate Ways” di “Promise
to The Night”, il riffing turbinante di “Victim
of Love”). La produzione è totalmente primi anni ’80 e
senza dubbio ‘Don’t Believe in Love’
ha numeri a sufficienza per interessare tutti gli amanti
dell’AOR hard edged di stretta osservanza ottantiana.
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Scratch Records - 1996 |
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JETT BLAKK "Rock Revolution" |
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Attenzione:
questo è un album assolutamente SUPERLATIVO. Potrebbe essere il
top assoluto dell’annata in campo hard melodico, non per il
fatto che sembra sia stato registrato al più nel 1990 ma grazie
ad un songwriting ispiratissimo che impasta con sapienza
Slaughter, Firehouse, Enuff Z’Nuff, Bon Jovi, Def Leppard e
Autograph. Prodotto da Mitch Malloy, ‘Rock
Revolution’ ha solo due punti deboli: una resa fonica non
indecente ma neppure superlativa; una copertina assemblata da un
grafico dilettante che sembra fare il verso (inconsapevolmente,
temo) a certo artwork spettacolare, ingenuo e pacchiano
tipicamente anni ’80. Nulla, comunque, in grado di rovinare il
divertimento ai nostalgici dei Big ‘80s che fra le undici
canzoni di ‘Rock Revolution’
sguazzeranno senza dubbio con immenso piacere. |
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GSR Entertainment - 2016 |
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AORARCHIVIA |
LONDON "Playa Del Rock " |
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Sono ricordati quasi solo per
aver fatto da chioccia a future star del metal californiano come
Nikki Sixx, Blackie Lawless e Izzy Stradlin, ma i London hanno
firmato anche tre ottimi album, e l’ultimo, ‘Playa
Del Rock’ è senza dubbio il migliore (la Noise
stranamente lo pubblicò negli USA con il moniker D’Priest, quasi
fosse un lavoro solista del singer Nadir D’Priest). ‘Playa…’
godeva di un’ottima produzione, contraddistinta da un uso parco
ma accurato delle tastiere per dare colore agli arrangiamenti,
muovendosi lungo uno spettro sonoro abbastanza ampio, dai Ratt
agli Scorpions, dai Malice agli Autograph con qualche episodio
sui generis: l’hard’n’roll un po’ Jetboy “Money
Honey”; l’anthem alla AC/DC “Heart
Beat”; il ritmo sghembo e stralunato di “Hot
Child in the City”; la power ballad vagamente Guns N’
Roses “Been Around Before”, con i
suoi bei tappeti di tastiere. Mai ristampato, ‘Playa…’
è più facile trovarlo (e a basso prezzo) con il moniker
D’Priest, mentre i CD intestati ai London sono più rari e
costosi. |
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Noise- 1990 |
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AORARCHIVIA |
LION "Dangerous Attraction" |
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Ancora più della successiva
incarnazione sotto il moniker Bad Moon Rising, i Lion di Kal
Swan e Doug Aldritch sono stati validi (forse i più validi in
assoluto) esponenti della versione del metal californiano
portata al successo dagli Whitesnake con ‘1987’.
Solo due album ed un EP all’attivo prima che la società fra i
due cambiasse denominazione (e sezione ritmica), album sempre
eccellenti, elettrici, melodici, con il vocione alla Coverdale
di Kal a cavalcare i riff sparati dalla chitarra di un Doug
ancora implume ma già caparbiamente all’inseguimento
dell’universo sonoro del Serpens Albus, inseguimento che
sappiamo lo porterà fino a diventare uno dei suoi membri. ‘Dangerous…’
ci dà quaranta minuti di class metal in grado di deliziare
chiunque viva nel ricordo della L.A. cromata e scintillante del
bel tempo che fu. |
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Scotti Brothers - 1987 |
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AORARCHIVIA |
HUNGRYHEART "Dirty Italian Job" |
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Lo recensisco con
imperdonabile ritardo (è uscito nel 2015) ma davvero non si può
negare la segnalazione a questo eccellente prodotto
discografico, che conferma una volta di più la statura raggiunta
dai musicisti italiani nell’ambito dell’hard rock melodico. Gli
Hungryheart di Mario Percudani (probabilmente il più abile e
sensibile chitarrista nostrano in ambito melodic rock) e Josh
Zighetti (pronuncia inglese praticamente perfetta e la voce come
un Jon Bon Jovi più rauco e sporco) hanno portato in questo
terzo album la loro personale miscela dei sound di Bon Jovi (era
‘New Jersey’ / ‘Keep
The Faith’) e Tyketto (con qualche divagazione alla Van
Halen e un certo flavour alla Mitch Malloy nelle ballad) a vette
assolutamente stratosferiche. Nessuna intrusione di rock moderno
in queste dodici, splendide canzoni che diresti registrate nel
1990 o giù di lì: non sterile omaggio ad un passato irripetibile, ma
creativa esercitazione di songwriting applicata a stilemi che la
band dimostra possono dare ancora frutti nuovi e appetitosi.
Raccomandatissimi.
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Tarzan Music - 2015 |
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AORARCHIVIA |
TOO MANY COOKS "Food Fight" |
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Originali,
i Too Many Cooks? Più che altro, abili nello scansare l’ovvio, e
questo loro secondo (pare) album lo conferma ampiamente, con la
sua eclettica miscela di hard melodico, tipico rock yankee,
funk, soul e r&b da music hall shakerati con un pizzico
di follia e condita da testi improntati spesso ad uno humor
feroce e/o buffonesco. Di sicuro, divertenti e mai banali.
Peccato la loro musica non sia riuscita ad oltrepassare i
confini del Canada e nemmeno a raggiungere in patria grandi
risultati di vendite: per loro, solo un altro album nel ’95,
uscito su etichetta indipendente, mentre questo ‘Food
Fight’ venne edito dalla major A&M ed oggi gira su eBay
per pochi dollari, dimenticato o quasi. Recuperarlo sarebbe
tutt’altro che uno sproposito. |
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A&M - 1991 |
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AORARCHIVIA |
BON JOVI "This House is Not For sale" |
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Rassegniamoci all’idea: non ci sarà un altro ‘Slippery…’
o un nuovo ‘New Jersey’, i Bon Jovi
(con o senza Sambora) hanno preso altre strade, eppure questo
nuovo album con l’ex Triumph Phil X alle chitarre ha più chance
di piacere ai vecchi fans rispetto ai due ultimi lavori: difatti,
“Labor of Love”, “Scars
on This Guitar” , “Reunion”
e la conclusiva “Come On Up to Our House”
daranno più di una soddisfazione a chi proprio non è riuscito a
digerire le evoluzioni della band post ‘Keep
the Faith’. Tutto il resto riuscirà gradito soprattutto a
chi ama le frange più moderne del rock e se in più di un
frangente Jon e compagni sembrano fare il verso agli Shinedown o
ai Rasmus, bisogna riconoscere che la qualità del materiale
proposto è comunque elevata: ma dai Bon Jovi vorremmo sentire
ben altro… |
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Island Records - 2016 |
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AORARCHIVIA |
SINNOCENCE "State of Grace" |
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Davvero non
lo diresti un album del 1993 questo primo (e sostanzialmente
unico) disco dei Sinnocence, dato che ha un suono focalizzato
più che altro su ciò che era “in” nell’hard melodico a metà anni
’80. Prodotto, in ogni caso, dignitoso e basta: il songwriting
risulta piuttosto ordinario, la resa fonica è spesso tutt’altro
che brillante, la produzione è ordinata e niente più, mentre il
cantante ha una voce scabra e rauca e si ritrova palesemente in
imbarazzo quando deve modularla sulle tonalità più alte.
Stupisce che nel 2004 qualcuno abbia edito una sorta di
compilation / best of di un moniker così opaco
e trascurabile. |
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Ventura- 1993 |
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AORARCHIVIA |
LENITA ERICKSON "Lenita Erickson" |
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Di Lenita
Erickson si disse, ai bei tempi che furono, che fosse la solita
ragazzaccia pronta ad infilarsi in qualunque letto prestigioso
pur di spuntare un deal, ma se bastasse questo per fare un buon
disco… E invece questo suo unico album autointitolato è
veramente buono, suonato da una backing band che conta elementi
prestigiosi come Ricky Phillips, Tommy Girving, Curt Cuomo e
Kenny Aronof, per non parlare delle comparsate di Paul Stanley e
Eddy Money. AOR hard edged diviso tra acustico ed elettrico, ‘Lenita
Erickson’ procede tra ballad mai troppo vellutate e
energici hard rock dallo stampo classico ma con un suono cromato
e moderno, il tutto arricchito dalla voce di Lenita, sorta di
versione al femminile di Paul Shortino: rauca, sexy, a suo agio
sia sui tempi lenti che in quelli veloci. Una ristampa non
sarebbe un’idea malvagia. |
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Dream Circle - 1996 |
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AORARCHIVIA |
AA.VV. "We Still Rock - The compilation" |
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Compilation
celebrativa della attuale scena AOR italiana, questa ‘We
Still Rock’ propone dodici brani per la maggior parte
inediti di Room Experience, Charming Grace, Alessandro Del
Vecchio, Wheels Of Fire, Hungryheart e altri più o meno
affermati esponenti del panorama melodic rock nazionale. Ospiti
d’onore, gli inglesi Vega, con un unplunged della loro “Every
Little Monster”, ma anche Hungryheart e Wheels Of Fire
scelgono di presentarsi con versioni acustiche di brani estratti
dai loro ultimi album. Un’ottima occasione per fare la
conoscenza di musicisti che proprio niente hanno da invidiare ai
loro colleghi scandinavi. |
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Tanzan - 2016 |
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AORARCHIVIA |
HALESTORM "ReAniMate 3.0 The CoVeRs eP" |
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Gli Halestorm si avventurano
nuovamente sul terreno minato del cover album con un EP di sei
canzoni (la prima incursione avvenne nel 2011, con il quasi
omonimo ‘Reanimate: The Covers EP’).
Se per quanto riguarda “Damn I Wish I Was
Your Lover” e “Heatens” (di
Sophie B. Hawkins e Twenty One Pilots, rispettivamente) non sono
in grado di fare confronti con gli originali semplicemente
perché non li conosco, di “Ride The
Lightning” (dei Metallica, naturalmente) posso dirvi che
è proposta da Lzzy e soci in una versione quasi filologica, e
anche la “Fell On Black Days” dei
Soundgarden rispetta in pieno la cupezza in 6/4 dell’originale.
Diverso il trattamento che la band ha riservato a “Still
Of The Night” (sì, proprio quella degli Whitesnake) e “I
Hate Myself For Loving You” di Joan Jett. “Still…”
è interpretata in una chiave più potente ed heavy metal, con una
Lzzy molto aggressiva: pur accorciata ad appena quattro minuti e
mezzo, non rinuncia (stranamente) al bridge d’atmosfera (solcato
comunque da urla belluine di Lzzy in sottofondo). Il risultato
finale è monodimensionale, quasi del tutto privo di sfumature.
Peggio ancora va con “I Hate Myself For
Loving You”: irruvidita e metallizzata, perde di
efficacia perché aumentando il volume ne viene mortificata la
carica anthemica. Non chiedevo alla band cover filologiche come
quella di “Ride…”, ma il modo in
cui gli Halestorm hanno proposto queste due canzoni tradisce il
fatto che non hanno capito in cosa risiede il loro fascino,
quali sono gli elementi che le hanno rese formidabili: si sono
soltanto limitati, con imperdonabile arroganza, a rifarle a modo
loro. |
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ATLANTIC - 2017 |
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