AORARCHIVIA |
PASSION STREET "Million Miles Away" |
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Quando uscì, nel 1994, fu
esaltato oltremisura, ma questo unico parto dei britannici
Passion Street non è esattamente un capolavoro. Guarda molto ai
Journey, spesso adotta il loro suono come venne interpretato dai
Fortune, ma in generale le canzoni si rivelano opache o
smaccatamente derivative (“Fall In Love”
segue fin troppo diligentemente la scia di “Open Arms”), le
deviazioni da quel suono sono soltanto due (la discreta “Love
Lies Bleeding”, sospesa tra Bon Jovi e Tyketto; i Van
Halen all’acqua di rose di “Sexy Girls”)
e il cantante Rick Carty suona troppo monotono, penalizzando la
resa di un prodotto che già di per sé non è superlativo. Non si
può definire ‘Million Miles Away’
una ciofeca, ma le lodi di cui venne coperto appena pubblicato
immagino furono soprattutto il risultato della crisi d’astinenza
a cui tutti dovevamo fare ancora il callo. Dopo quasi
trent’anni, è possibile esprimere un giudizio più equilibrato su
un album dignitoso e che può contare su almeno un paio di acuti
(la già citata “Love Lies Bleeding”,
le atmosfere Fortune della title track) ma che è ben lontano dal
poter aspirare a quel rango di “classico” che qualcuno troppo
frettolosamente gli assegnò. |
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Megarock - 1994 |
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AORARCHIVIA |
BOMBAY BLACK "¡En Fuego!" |
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Di nuovo tra noi dopo la
bellezza di nove anni (tanti ne sono passati dal loro ultimo,
eccellente ‘Walk
of Shame’) i Bombay Black si confermano un act
di valore assoluto con questo ‘¡En Fuego!’,
e capaci come pochi di coniugare il classico al moderno (“Benefits”,
dal refrain anthemico e trascinante; “One
Of My Kind”, con le sue strofe toste e ritmate alla
Nickleback e il refrain melodico e solare), rimodulare la
tradizione senza snaturarla (“Just Another
Band From L.A.” sono i Ratt aggiornati al ventunesimo
secolo, più bruschi e con un’impronta melodica alla Cheap Trick,
“Best Night Of Our Lives” si può
descrivere come il frutto di una versione incarognita dei
Firehouse) oppure proporla nella sua forma canonica senza rubare
niente a nessuno (l’heavy metal yankee di “The
Body”, potente e con un refrain insinuante), fare
digressioni in direzioni insospettabili (il funk anni ’70 di “No
Sex B4 Breakfast”, con tanto di fiati), completando il
tutto con testi beffardi e acidi. Speriamo solo di non dover
aspettare un altro decennio prima di poterli riascoltare… |
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Kivel Records - 2023 |
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RED 56 "Eminence Funk" |
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Non è AOR, neppure – a rigor
di termini – si può definire “rock” quello che suona questa
band. Il paragone più calzante che posso offrirvi è con quanto
facevano i Rock Candy Funk Party sui primi due album, ma con un
distinguo fondamentale: mentre i RCFP propongono solo brani
strumentali, i Red 56 sono guidati da una (bellissima) voce
femminile e la loro vena danzereccia è molto meno pronunciata
rispetto all band di Tal Bergman. Praticano un cool funky
camaleontico, che in almeno un paio di casi (“It’s
All Right” e “Look Beyond The Color”)
vira verso gli anni 70, e in un altro si tinge vagamente di jazz
(“Funky Attitude”). ‘Eminence
Funk’ è, in definitiva, uno di quegli album a cui è molto
difficile appiccicare una singola etichetta, gradevolmente cool
e a tratti un po’ folle (“Untamed World”
è uno strumentale che si può descrivere solo come
calypso-funky): dategli una chance.
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Willow Creek Records -
2023 |
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KING KOBRA "We Are Warriors" |
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Tornano dopo la bellezza di
dieci anni i King Kobra, con una nuova coppia d’asce (Carlos
Cavazo e Rowan Robertson) e un album decisamente più heavy
dell’eccellente ‘II’ (lo recensii
su Classix Metal a suo tempo). ‘We Are
Warriors’ è fatto in prevalenza di un class metal robusto
e aggressivo ma sempre ben lubrificato di melodia, con il top
(forse) in “One More Night” (quel
riff quasi stoner tagliato da sciabolate di chitarra e la bella
melodia del refrain), ma abbondano anche le parafrasi
zeppeliniane (“Music Is A Piece Of Art”,
“Turn Up The Music”, “Darkness”,
quest’ultima con un bello smalto da metal californiano), le
atmosfere Van Halen (la title track con il suo refrain
anthemico, il ritmo saltellante e scanzonato di “Trouble”),
una power ballad abbastanza Whitesnake (“Side
By Side”). Curiosamente, anche qui troviamo una cover di
“Love Hurts”, meglio riuscita
rispetto a quella proposta da poco dai Bangalore Choir. La
produzione di Paul Shortino e Pat Reagan è buona senza stupire
(ma su “Turn Up The Music”, il
refrain ha un suono confuso e impastato e quella traccia di
tastiere sul canale destro appare del tutto fuori posto) e ‘We
Are Warriors’ verrà senza dubbio incassato con piacere da
tutti i seguaci dell’hard rock dei Big 80s. |
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Cleopatra - 2023 |
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MITCH MALLOY "The Last Song" |
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Sono molti anni che Mitch
Malloy prova a ricreare la magia del suo primo album, senza
riuscirci. Niente di strano che non ci riesca neppure stavolta:
ha fatto tutto da solo, non c’è Arthur Payson a produrlo,
Desmond Child, Mark Ribler e Tim Wheeler a scrivere le canzoni
assieme a lui, Michael Thompson, C.J. Vanston e un’altra dozzina
di session man prestigiosi a suonarle. Non è che ‘The
Last Song’ faccia pena, tutt’altro, ma il confronto con
quel masterpiece assoluto che fu ‘Mitch
Malloy’ lo rende una sorta di “vorrei ma non posso”…
Citazioni dall’esordio (“You’re The
Brightest Star” segue abbastanza la traccia di “Stranded
in The Middle of Nowhere”, la title track arieggia “Forever”) si
alternano a canzoni discrete (“I’ll Find A
Way” guarda un po’ ai Toto e un po’ ai Bon Jovi, “One
Of A Kind” ha dei bei riffoni da metal californiano e una
melodia drammatica) e tanto mestiere (“I
See You” è una power ballad classica ma molto ben
giostrata; “Building A Bridge”, un
hard melodico accuratamente bilanciato tra keys e chitarre).
Forse i fan di Mitch accoglieranno ‘The
Last Song’ con entusiasmo, ma gli altri torneranno a
riascoltarsi quell’esordio che (temo) dobbiamo ormai considerare
irripetibile. |
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Cargo Records - 2023 |
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AORARCHIVIA |
MISTER
WONDERFUL "New Religion" |
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I comunicati della Kivel
garantivano meraviglie dall’esordio di questi Mister Wonderful,
ma quando mai le label promettono qualcosa di meno quando
cercano di vendervi qualcosa? La realtà è (purtroppo) molto
diversa. Dal punto di vista tecnico, abbiamo un cantante con una
voce che dà sul tremolante, il titolare della sei corde dotato
di un chitarrismo molto ordinario, timbriche uguali dal
principio alla fine e un suono opaco. Il songwriting difetta in
personalità, e se in più di un frangente si vagola tra il banale
e l’amorfo, ogni tanto qualcosa di apprezzabile salta fuori,
come quegli innesti fra Tyketto e Mitch Malloy intitolati “Broken
Angel” e “Wild One”, il
metal californiano dal buon riff di “Make
Me Crazy” che mi ricorda vagamente gli Scream e una “I
Love You I Hate You” che fa molto Def Leppard e con una
produzione d’altri tempi, un arrangiamento più movimentato e una
qualità audio brillante sarebbe stata (credo) davvero ottima.
Insomma, ‘New Religion’ è una
perfetta espressione del “vorrei ma non posso permettermelo” che
affligge tanta parte del melodic rock fatto nel ventunesimo
secolo |
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Kivel - 2023 |
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AORARCHIVIA |
ANN WILSON & TRIPSITTER "Another Door" |
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Ann Wilson
prosegue con la sua nuova backing band il discorso musicale
intrapreso con ‘Fierce Bliss’,
proponendosi stavolta con undici brani originali che parlano una
lingua non troppo distante da quella degli Heart di ‘Jupiter
Darling’: qualche tocco moderno (“Tripsitter”,
il crescendo glorioso di “This Is Now”);
richiami agli anni Settanta (“Ruler of the
Night”, elettrica e d’atmosfera; “What
If”, morbida nelle strofe e impetuosa nel refrain);
inevitabili omaggi ai Led Zeppelin (“Still”,
ballad incantata che nella seconda metà si accende di
chiaroscuri elettrici) e un rock più o meno duro che mescola
passato e presente, come “Rain of Hell”,
riuscito mix di riffoni heavy e moderni, acustiche zeppeliniane,
melodia solenne e tastiere d’atmosfera. Questo non è certo un
prodotto only for fans, ma senza dubbio la voce di Ann
contribuisce in maniera notevole alla buona riuscita di ‘Another
Door’ |
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Dualtone Music Group - 2023 |
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AORARCHIVIA |
LINE-UP IN PARIS "Line-up In Paris" |
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Band un po' trascurata dai
cacciatori di reliquie, i canadesi Line-up In Paris, e non
proprio a torto. Questo loro primo album vagava ecletticamente
fra un rock melodico su base new wave (“Emotional
Addiction”, col suo riffone U2; “Never
Be the Same”), una spettacolare stesura dal clima r&b (“Can’t
Be Me Tonight”, adorna di Hammond e fiati), vibrazioni
funk (“Close to Me”, con le strofe
vagamente zeppelinane e il refrain diretto), stesure d’atmosfera
(“Fear of Flying”, fatta di una
chitarra misteriosa e il refrain power pop), AOR (la ottimamente
Journey “Fire Inside”), heartland
rock (“Feels Like Rain” e “What
You Do to Me”, entrambe abbastanza trite). Produzione
essenziale, suono non sciatto ma neppure tirato con la pietra
pomice, sicuro indizio di una scarsità di fondi che non ha
permesso a questa band di lavorare adeguatamente su delle
canzoni che per risplendere avrebbero necessitato delle cure di
un produttore di gran classe.
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Rammit records - 1993 |
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AORARCHIVIA |
BIG SKY "House of Dreams" |
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Sospesi tra l’AOR e il rock
più classico, questi Big Sky, titolari di una sola release
autoprodotta. Se la title track suonava piacevolmente
zeppeliniana, vigorosa pur nella sua trama elettroacustica e con
un bel feeling anni Ottanta nelle melodie vocali, “Got
No Home”, “Brother Brother”
e “I’ll Be There For You”
ricordavano i Kiss of Gipsy nei loro momenti da cowboys, mentre
“Climb So High” si sviluppava come
una cavalcata classic rock con qualche riflesso U2. “Heart
Of Mine”, “Eyes Of Anger” e
“Please Call My Name” erano power
ballad che traslavano i Def Leppard nel contesto del rock
mainstream americano, il banjo e la fisarmonica contribuivano
alla grande atmosfera di “Brand New Day”.
Da recuperare. |
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Dwsongs - 1995 |
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AORARCHIVIA |
RAINLIGHT "Insomnia" |
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Questo dovrebbe essere il
secondo album dei canadesi Rainlight, e non è che se ne possa
dire male. Bella produzione, belle timbriche e un songwriting
apprezzabile, che inietta dosi molto moderate di modernità nel
più classico tessuto del melodic rock. Però, ‘Insomnia’
è nella sua globalità un album di una tetraggine da fare invidia
a ‘Canterbury’ dei Diamond Head. I Rainlight riescono
nell’impresa di traslare perfino gli Autograph in una dimensione
cupa e maliconica (con “In a Stranger’s
Mind”) e anche canzoni potenzialmente molto vivaci come “Shine”
(quella melodia che si cala così bene nel riffing ritmato) e “Alive”
(un class metal con ambizioni di arena rock) vengono
interpretate in una chiave gelida e seriosa. Se la band ha
sparso questo flavour depressivo sulle proprie canzoni per
adeguarsi all’umore prevalente nel rock del ventunesimo secolo
non posso saperlo, ma mi sento ragionevolmente certo che chi ama
il rock melodico nelle sue declinazioni più tradizionali non
troverà ‘Insomnia’ molto
stimolante. |
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Autoproduzione - 2023 |
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AORARCHIVIA |
NEIL NORMAN / BOBBY SEXTON "Facing Destiny" |
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Praticamente nulla si sa del
duo statunitense autore di questo unico album (Neil Norman è
sempre attivo con la sua stravagante Cosmic Orchestra, Bobby
Sexton è sparito nel nulla), ed è un peccato
perché ‘Facing Destiny’ risulta un
lavoro pregevole, con una produzione di gran classe. Le canzoni
abbordano con buona efficacia sia l’AOR (“Fantasy”,
nello stesso tempo pimpante e d’atmosfera, contraddistinta da
una grande scioltezza ritmica; quel bell’incrocio tra Journey e
Boulevard intitolato “If He Loved You”;
i Saga riletti eccentricamente in “Transporter”)
che l’hard melodico (La ritmica serrata e il bridge d’effetto di
“Holding On”; i refrain freschi e
potenti e le sfumature r&b di “Riding To
The Future” e “I’ll Come Back For
You”). Fino ad una decina d’anni fa, i CD di ‘Facing
Destiny’ andavano via su eBay per un dollaro, oggi le
quotazioni sono più alte ma sempre ragionevoli: un album
decisamente non riservato ai completisti dell’AOR dei Big 80s. |
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GNP Crescendo - 1990 |
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AORARCHIVIA |
CHRIS HERRIGES "Come What May" |
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Per essere un album
autoprodotto, questo esordio di
Chris Herriges (se
volete saperne di più su di lui, vi offro il link al suo sito)
era un prodotto ben più che dignitoso. È vero che in qualche
frangente sbarellava un po’ a livello di produzione, ma il
songwriting e gli arrangiamenti erano di buon livello.
Apprezzabili risultavano soprattutto “Sweet,
True Companion”, fatta di un synth bass vagamente
danzereccio, una chitarra pulsante, melodia liscia, un lento
crescendo molto FM rock, e “Look My Way”,
suggestivo pop rock notturno denso di suggestioni bluesy e soul.
La reperibilità di ‘Come What May’
non è delle migliori ma il prezzo è sempre ragionevole: non
certo un capolavoro, ma chi ama il suono rock USA da radio FM di
trent’anni fa lo troverà di certo gradevole. |
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Majestic - 1990 |
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AORARCHIVIA |
NEW REGIME "The Race" |
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Fondendo il pop rock da alta
classifica di INXS, The Outfield, Mr. Mister con l’AOR di Glass
Tiger e Loverboy, i New Regime confezionarono un impeccabile
prodotto discografico che ottenne scarsa rinomanza
essenzialmente per la decisione della RCA di pubblicarlo solo in
Canada. Prodotto e arrangiato da Steve Webster (bassista degli
Honeymoon Suite di ‘Monsters Under the Bed’
e tanti altri artisti, canadesi e non: Alannah Myles, Lisa
Dalbello, Robin Brock, Billy Idol), dal ritmo galoppante della
title track alle atmosfere rarefatte e un po’ Toto della
conclusiva “Wild Eyes”, ‘The
Race’ offriva una quarantina di minuti di rock da FM che
avrebbe meritato più attenzione di quanto la piccola scena
canadese potesse garantirgli. |
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RCA - 1987 |
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AORARCHIVIA |
KRIS BARRAS BAND "Halo Effect" |
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Le scelte in fatto di stile di
un artista non si dovrebbero discutere, però… Non capisco,
proprio non capisco perchè cazzo Kris Barras, dopo averci
dato due album fantastici come ‘Light it
Up’ e ‘The Divine And Dirty’,
dove il southern e il blues venivano coniugati splendidamente
con il moderno, abbia deciso di passare a un modern rock
scolastico prima con ‘Death Valley
Paradise’, dove almeno qualche scoria del suono
precedente resisteva, e oggi con questo ‘Halo
Effect’, dove si fa piazza pulita del rock classico,
proponendoci canzoni che potrebbero passare per un parto degli
Shinedown d’antan: non malvage, ma scontate e prive della minima
scintilla di personalità. Che Kris Barras sia sempre capace di
lavorare nel registro che aveva reso magistrale ‘Light
it Up’ lo ha dimostrato alla grande nell’ultimo
Supersonic Blues Machine, ‘Voodoo Nation’.
E allora? Se voi ci capite qualcosa, non esitate a farmelo
sapere… |
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Earache Record - 2024 |
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AORARCHIVIA |
BABYLON
A.D. "Rome Wasn't Build in a
Day" |
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Brutta caduta per i Babylon
A.D. Se sette anni fa ‘Revelation Highway’
ci riconsegnava una band (pur orbata di quell’eccellente
chitarrista che è Danny De La Rosa) ancora capace di coniugare
il proprio classico sound in maniera accettabile, questo ‘Rome
Wasn’t Build in a Day’ dice proprio poco e neppure tanto
bene. Derek Davis è arrochito e in grande affanno sulle note più
alte, gli arrangiamenti sono sempre troppo diretti, il mood
cupo, il riffing troppo spesso trito… Da questo mezzo sfacelo
salvo giusto “Looking for a Heartbeat”
e “Shut Up”, reminiscenti – e solo
alla lontana – dei bei tempi andati, e “Crashed
into the Sun” fino a quel refrain orribile e mezzo
stonato. Il resto parla la lingua di uno street rock essenziale
che lascia davvero il tempo che trova e potrà piacere solo a
qualche fan assatanato di una band che è ormai solo il fantasma
sbiadito di quella che incise i primi due album.
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Perris - 2024 |
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AORARCHIVIA |
ISOM "Hearts on Fire" |
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È solo una raccolta di demo
(la Retrospect dava queste canzoni registrate nel 1987),
intestati a una band che non ha mai inciso album, prima
conosciuta come Valentino e poi Isom, cognome dei due fratelli
(suppongo) Mark (cantante) e Randy (bassista). La resa fonica è
da demo di lusso (anche se ogni tanto c’è qualche increspatura
nella resa fonica, come il mixaggio strano della molto Asia “Heart
Break”, che presenta la voce tutta sul canale sinistro),
la batteria è elettronica (sono accreditati due batteristi, ma
devono essersi limitati a programmare la drum machine), la
produzione ordinata. Le canzoni spaziano tra il tipico hard
melodico della prima metà dei Big 80s, con una preferenza per i
teoremi sonori di Surgin’ e Autograph, e il class metal, ed è
proprio in questo ambito che la band dava il meglio, tra il
riffing zeppeliniano di “Ready to Rumble”
e le atmosfere drammatiche e fascinose della title track. Sotto
la guida di un bravo produttore, questo lotto di canzoni avrebbe
potuto comporre un buon album di rock melodico, ma anche in
versione artigianale si difendono più che bene. |
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Retrospect records - 2007 |
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AORARCHIVIA |
THE MERCURY RIOTS "In Solstice" |
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Cosa ci offrono gli esordienti
The Mercury Riots? Una dose di corroborante hard rock americano,
prodotto nientemeno che da Mike Fraser. Il sound di questa band
metà yankee e metà uruguayana (!) si potrebbe descrivere come
una versione più sobria e asciutta di quello dei Kix: i riff
degli AC/DC sottoposti a un trattamento melodico californiano,
con qualche saltuaria e ben riuscita deriva zeppeliniana,
arrangiamenti variegati ma mai ridondanti, assolo policromi, un
clima spesso divertito e/o scanzonato. Non spunta niente di
particolarmente nuovo da questo orizzonte, e i deja vu
non mancano, ma il prodotto è valido e la band risulta capace e
anche molto promettente.
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SAOL - 2024 |
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AORARCHIVIA |
MICHAEL O'BRIEN "Michael O'Brien" |
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Prima di passare al servizio
della madonna di Medjugorje (cercate il suo sito per i
dettagli), Michael O’Brien era un ottimo artista AOR. Questo suo
primo album gode di una produzione cristallina, songwriting
elegante servito da arrangiamenti sofisticati. “Here
We Go” procede pimpante a tempo di boogie con l’Hammond e
un bel chitarrone ma sempre liscia e cromata, “Matter
of Time” declina i nuovi Bad Company in versione AOR, in
“I’m Over You” ritroviamo le
atmosfere ricercate dei The Works, “I
Believe” è drammatica e un po’ Fortune con qualche tocco
pomp, la cover di “Hold Your Head Up”
(degli Argent) viene risolta in senso arena rock, “Today
Is the Day” è un AOR deciso, accattivante e un po’
Boulevard. Se “Wait for You” suona
un po’ anonima, “Why” è una ballad
dal crescendo gentile, “I Know”,
elettrica e scanzonata, anticipa quanto di lì a due anni farà
Mitch Malloy, “Everything to Me”
conclude con una melodia Journey proiettata su una chitarra
secca e keys d’atmosfera. ‘Michael O’Brien’
non è mai stato ristampato, ma gira a prezzo tutt’altro che
folle: fateci un pensierino.
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Oceana Records - 1990 |
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AORARCHIVIA |
LIGHTYEARS "Lightyears" |
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Immaginate i Diamond Head di ‘Canterbury’
con un gran corredo di tastiere pompose, qualche tentazione
prog, una cantante che aveva polmoni da vendere e ottima tecnica
ma si esprimeva con uno stile troppo enfatico e drammatico e
avrete i Lighyears. Registrarono questo loro unico album nel
1984, venivano da Seattle e nessuno aveva mai sentito parlare di
loro finché la Retrospect non recuperò i nastri e li pubblicò
nel 2008. Di AOR propriamente detto non c’è qui quasi nulla ,
forse chi apprezza i Diamond Head del disco citato troverà i
Lighyears interessanti, io ho fatto una gran fatica ad arrivare
alla fine dell’album… |
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Retrospect - 2008 |
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AORARCHIVIA |
YOUNG GUN "Bite the Bullet" |
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Peccato che di questa band
canadese ci sia rimasto solo un EP (ma io lo definirei più un
mini LP) di sei canzoni (pubblicato privatamente nel 1989 solo
su cassetta, recuperato dalla Retrospect nel 2006). Prodotto
impeccabilmente da Larry Gillstrom dei Kick Axe, con una qualità
audio buona senza stupire, si apre con il class dokkeniano della
title track, passabile e niente più di questo, ma prende quota
con l’arena rock intitolato “Trouble”,
sinuoso e spettacolare, prosegue con l’hard rock essenziale e
metallico di “Desire”, in cui si
inserisce benissimo una chitarrona blues. Se l’hard melodico “Lady”
è di fattura discreta, “Save Your Love”
ci dà un buon AOR in chiaroscuro, – un po’ Alias? – con netta
prevalenza delle tastiere, mentre “Kiss
Away” chiude le danze con le sue trame fascinose e
policrome. Meritavano senza dubbio quella chance sulla lunga
distanza che nessuno volle concedergli.
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Retrospect - 2006 |
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AORARCHIVIA |
CASANDRA'S CROSSING "Garden Of Earthly Delights" |
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Se gradite la proposta di The
End Machine e Lynch Mob, questi Casandra’s Crossing (se uno non
conosce quel vecchio – e tutt’altro che memorabile – film con
la Sophia nazionale, il moniker resta oscuro) potrebbero fare al
caso vostro. Certo, è la solita band costruita a tavolino dalla
Frontiers con l’inevitabile Alessandro Del Vecchio che dirige
George Lynch e la cantante Casandra Carson su undici canzoni che
non dicono niente di nuovo rispetto a quanto già fatto dalle
band citate: però la Carson ha davvero una gran voce, George non
si risparmia, il flavour moderno è sparso con moderazione e
quasi solo sulle melodie vocali. Dureranno lo spazio di qualche
settimana, poi se ne dimenticheranno tutti, d’accordo, ma i fan
di George Lynch (il vostro webmaster è un dichiarato
rappresentante della categoria) e chi ama le voci femminili sexy
e aggressive nella stessa misura non potranno non trovare ‘Garden
Of Earthly Delights’ perlomeno piacevole. |
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Frontiers - 2024 |
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