RECENSIONI IN BREVE
AORARCHIVIA |
EAST TEMPLE AVENUE "Both Sides Of Midnight" |
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Il debutto di questa band
internazionale non stupisce e neppure stuzzica. Le canzoni sono
più che altro un tappeto per la voce del bravissimo Robbie
LeBlanc (Find Me, Blanc Faces), su cui il suddetto cesella con
grande talento armonie, melodie, cori… Ma, oltre alle
performance vocali di LeBlanc, non c’è altro in queste dieci
track che richiamano di volta in volta Unruly Child, Tyketto,
Journey, Winger e W.E.T. senza fantasia. ‘Both
Sides Of Midnight’ è uno di quegli album che non lasciano
la minima traccia di sé dopo l’ascolto e fra qualche mese sarà
già (meritatamente) dimenticato. |
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AOR Heaven - 2020 |
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AORARCHIVIA |
MRS LOUD "Mrs Loud" |
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La voce di Lorraine Crosby (in
arte, Mrs Loud) non aveva un timbro eccezionale, ma risultava
calda, duttile e potente. In questo suo primo (e unico?) album
autoprodotto si adagiava con grande disinvoltura su canzoni che
svariavano molto tra tempi e atmosfere del rock. Molto buone
risultavano “I Want You So Bad”,
densa di chiaroscuri vagamente southern; la vivacità r&b di “If
I Have You”; “A Love That Grows”,
con le sue belle sfumature Bad Company; il gran ritmo condito di
un refrain arioso di “Last Train To
Paradise”; la power ballad “Follow
Your Heart”, col suo spiegamento di tastiere e la
melodia AOR. Per chi ama le belle voci femminili nel rock,
sicuramente da recuperare.
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Autoproduzione - 2007 |
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AORARCHIVIA |
CHRIS ANDREW "Hit and Run" |
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Titolo senza dubbio minore, ma
questo unico album di Chris Andrew ha
parecchio da offrire ai nostalgici del tipico pop rock della
metà dei Big 80s, con le solite alchimie melodiche tra Journey e
Toto tessute fra percussioni sintetiche e raffiche di keys
dardeggianti, fitte di tentazioni dance. Le chitarre elettriche
a volte sono potenti (come nell’arena rock “Back
Seat Lover”) altre svaniscono quasi del tutto (“Fantasy”,
molto dance e con una batteria elettronica un po’ troppo
invadente). Buona la produzione e discreto il songwriting. La
reperibilità è molto limitata, però i prezzi dell’LP non sono
spropositati, tra i 20 e i 25 dollari negli USA. Discogs
stranamente lo dà pubblicato solo su 33 giri, invece il CD
esiste, anche se è di rarità estrema e immagino spunti
quotazioni ben più alte del vinile. |
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Roadside Records - 1987 |
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AORARCHIVIA |
THE DEAD DAISIES "Holy Ground" |
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Con l’addio di John Corabi,
Doug Eldritch ha preso una volta per tutte il controllo della
band, trasformandola in una sorta di succursale dei Burning
Rain: più diretta ed heavy, meno melodica della versione
originale ma sempre legata a doppio filo con quel moniker che
rappresenta il centro dell’attività solista di Doug. Ho qualche
riserva sulle vocals di Glen Hughes, che urla come un ossesso
praticamente per tutto l’album, ma il livello generale del
songwriting è eccellente. La sola “30 Days
in The Hole” (cover degli Humble Pie) ricorda i Dead
Daisies di una volta, col suo flavour r&b, tutto il resto è
(ottimamente) Burning Rain (e ultimi Whitesnake, naturalmente),
contrassegnato dall’inconfondibile riffing di Doug, sia pure
modulato su un voltaggio più alto del solito. Il top nella
conclusiva “Far Away”, col suo
crescendo zeppeliniano, variopinto e suggestivo. |
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SPV - 2021 |
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AORARCHIVIA |
ALBERTO SONZOGNI "September Man" |
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Di buona fattura questo
esordio del tastierista Alberto Sonzogni. Il suo rock melodico è
spesso tinto di prog, e rimanda in più di un frangente agli
Harlan Cage. Gli arrangiamenti sono sempre molto vari e l’ordito
strumentale è sofisticato e curato. In molti si alternano al
microfono e non mancano i duetti (con Gessica Pirola e Carmen
Giammona). Davvero un buon album.
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Freemood - 2021 |
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AORARCHIVIA |
MESSENGER "Special Delivery" |
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L’unica testimonianza
lasciataci dai canadesi Messenger si può senza
esitazioni caricare sul registro degli album superflui. La
qualità audio è solo decente, il songwriting non è affatto
brillante, riciclando le architetture sonore di arcinote realtà
locali (Bryan Adams, i Loverboy dei primi album, gli Honeymoon
Suite) senza distinzione né la minima verve. Qualche fiammata
viene dalla ballad elettrica “Wishing You
Were Here” e dall’AOR molto Honeymoon Suite “No
Holding Back”, troppo poco per cavare fuori ‘Special
Delivery’ dal sovraffollato limbo dei dischi
dignitosamente mediocri.
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Messenger Records - 1994 |
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AORARCHIVIA |
SILVERNITE "Silvernite" |
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Band parte greca e parte
finlandese, i Silvernite, che esordisce sulla lunga distanza con
un LP autointitolato di caratura certo non gigantesca. Provano a
inseguire l’AOR degli anni ’80 nelle sue declinazioni più pop ma
lo corrompono con dosi massicce di sound svedese moderno (la
melodia melensa di “Raise Your Hands”
è senza dubbio puro scandi-AOR dei Big 80s, il refrain di “True
Survivor” suona invece tronfio), e il songwriting resta
comunque nel trito o nell’insignificante (“Honestly”
è davvero come se non ci fosse): perfino i tentativi di
scopiazzatura naufragano (“Angel Of The
City”, che nella fantasia della band dovrebbe somigliare
a qualcosa dei Boulevard). Sento qualcosa di buono in “Danger
Zone” (molto elettrica, dal sound più tedesco che
svedese) e nella melodia accattivante di “Broken
Heart”, ma sono soltanto poche scintille che si levano
dal grigiore generale, acuito da una cantante certo ben
intonata, ma dotata di una vocina monotona e fredda. |
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Valve Studio Records - 2021 |
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AORARCHIVIA |
KREEK "Kreek" |
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L’esordio di questi americani
Kreek, capitanati da Antony Ellis (Bigfoot), piacerà soprattutto
ai nostalgici del tipico heavy metal americano della prima metà
degli anni ’80 (nello stile, tanto per capirci, degli Y&T). Il
grosso del materiale si mantiene su queste coordinate sonore, ma
c’è pure una buona dose di class metal che prende la forma di
una piece zeppeliniana alla maniera dei Burning Rain (“Down
‘N Dirty”), un dinamico esercizio di hard rock un po’ Van
Halen (“Million Dollar Man”), una
discreta scheggia di metal californiano fra Ratt e XYZ (epoca
primo album) intitolata “Get Up”.
Anche “Stand Together” spicca con
le sue strofe acustiche ed il refrain elettrico e beffardo,
mentre la conclusiva “On Your Own”
e una power ballad discreta. Alla fine, nulla di trascendentale,
solo un disco onesto che chi predilige il melodic metal yankee
di trent’anni fa troverà senza dubbio gradevole. |
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Frontiers - 2021 |
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AORARCHIVIA |
SMITH / KOTZEN "Smith / Kotzen" |
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È intestato a entrambi e con
il nome di Adrian Smith davanti a quello di Richie Kotzen, ma in
questo disco io sento quasi solo Kotzen, con quel suo hard rock
agile e infarcito di black music che guarda ai ’70 senza
fanatismi. Dal funkeggiare hi tech di “Taking My Chances” al
ritmo nello stesso tempo pigro e incalzante di “Some People”,
dal refrain solare di “Glory Road” alle atmosfere notturne ed
elettriche di “Scars”, Richie s’impone nettamente sul collega,
che duetta con lui su qualche track e lascia esili tracce del
suo chitarrismo. Qualche canzone è inutilmente lunga, “Running”
è opaca e “You Don’t Know Me” suona un po’ troppo grave, ma
‘Smith / Kotzen’ è un prodotto di
discreta caratura, che tutti i
fan di Richie accoglieranno con piacere.
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BMG - 2021 |
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AORARCHIVIA |
LOVERS
LANE "Chiseled in Stone" |
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È un vero e proprio
minestrone quest’unico album dei Lovers Lane: comincia in
maniera decisamente sleaze/glam rifacendosi a Crüe (“True Love”)
e Poison (“Where Were You”), amplia lo spettro melodico alla
maniera degli Slaughter con “Follow Your Heart” e “Goodbye” (ben
lubrificate dalle tastiere), fa una virata in direzione del
metal californiano con un blocco di quattro canzoni che seguono
(nell’ordine) le tracce di Dokken, Twisted Sister e Ratt, si
trasferisce nel New Jersey dei primi Bon Jovi con “That’s Why”,
conclude le danze con una ballad elettroacustica che potrebbe
appartenere al repertorio dei Firehouse e una “Welcome to the
World” che prende le mosse come una ballad elettrica diventando
una cavalcata metallica. Il singer Rick Roark funzionava
benissimo come emulo di Vince Neil ma si difendeva bene anche
fuori dal contesto più spiccatamente glam, però il songwriting
restava abbastanza ordinario, anche se il chitarrista, Todd
Fulcher, provava a vivacizzare le canzoni con qualche fraseggio
estroso. Il prezzo non proprio leggerissimo (dai trenta dollari
in su, e le sue comparse tra eBay e Amazon sono molto saltuarie)
lo rende un articolo appetibile solo per completisti dell’hard
melodico. |
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Indian Records - 1994 |
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AORARCHIVIA |
PRICE - SULTON "Lights On" |
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Non ebbe grande fortuna
l’unico parto della band formata da questi due nomi prestigiosi
del panorama rock dei Big 80s: Kasim Sulton a voce, basso,
tastiere e chitarre (nel suo carnet ci sono Utopian, Meat Loaf,
Patty Smyth, Blue Oyster Cult), Thommy Price per batteria, voce
e chitarre (lo troviamo prima o dopo questo disco con Joan Jett,
Scandal, Billy Idol, Steve Stevens, Adam Bomb, John Waite, Blue
Oyster Cult). L’album era impostato su un AOR mai troppo
aggressivo, che spesso prendeva come riferimento i Loverboy
(“Shotgun Shy”, dal refrain un po’ zuccheroso; la melodia pop
della title track e di “Reckless And Wild”; “Something’s Gonna
Happen”, spruzzata di Journey). Il meglio stava nel ritmo
danzereccio, vivace e divertente, di “Take Me Away”, nelle
atmosfere notturne e fascinose (con qualche tocco funky) di
“Stories”, nel clima sofisticato e suadente di “Heaven’s Girl”.
Un disco, ‘Lights On’ che ha tutto, comunque, per piacere a chi
ama il pop rock raffinato che faceva furore nella prima metà
degli anni ’80, tutto tastiere e batterie elettroniche. La
reperibilità non è delle migliori: pubblicato su CD unicamente
in Giappone, in giro si trovano solo LP e cassette, e a prezzo
tutt’altro che vile (il disco passa su eBay per non meno di
quaranta dollari). Nel 2014 l’etichetta pirata brasiliana Hard Rock
Diamonds lo ripubblicò su CDr, ma una ristampa regolare e fatta
come si deve non è ancora arrivata. |
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Columbia - 1986 |
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AORARCHIVIA |
THE END MACHINE "Phase 2" |
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Il secondo capitolo della
“nuova” band di George Lynch, Jeff Pilson e Robert Mason (alla
batteria c’è adesso Steve Brown, fratello di Mick che ha
lasciato dopo il primo album) segue
perfettamente il primo ‘The
End Machine’ di due anni fa: street metal in
linea con quello praticato da George nei Lynch Mob, ma meglio
prodotto e con maggior continuità nel songwriting (se volete
approfondire, seguite il link). Due canzoni potevano
tranquillamente lasciarle fuori (“Blood
and Money” è banale e afflitta da assoli classicheggianti
del tutto fuori luogo in questo contesto, “Dark
Divide” suona opaca), tutto il resto convince e piacerà
(suppongo) soprattutto ai fan dei Mob (come il sottoscritto). Il
meglio? Forse l’alternanza di strofe sognanti e refrain beffardo
di “Devil’s Playground” o le trame
melodiche di “Born of Fire”, ma il
livello è abbastanza uniforme e abbastanza alto (fatta eccezione
per le due track già viste) da promuovere ampiamente ‘Phase
2’ |
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Frontiers - 2021 |
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AORARCHIVIA |
BILLY THE KID "Sworn to Fun" |
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Da non confondere con gli
omonimi olandesi che pubblicarono nel 1999 ‘The
Burnout Factor’, questi Billy The Kid erano americani e
praticavano una piacevole miscela di hard rock e metal melodico
nel più tipico stile della prima metà dei Big 80s, attingendo
prevalentemente a Quiet Riot, Van Halen e Twisted Sister (quelli
più pop), insaporendo la miscela con le acrobazie chitarristiche
che il titolare della sei corde, Billy L’Kidd, spiegava con
bella scioltezza attraverso un tessuto sonoro per il resto molto
essenziale: nove track (più intro) elettriche, con appena
qualche sprazzo insignificante di tastiere (suonate nientemeno
che da Pat Regan) e neppure una ballad, ma all’epoca non erano
ancora considerate indispensabili nei dischi di hard rock.
Prodotto da Duane Baron, ‘Sworn to Fun’
scontò la solita indifferenza della MCA in fatto di promozione e
cadde presto (e immeritatamente) nel dimenticatoio. Mai edito su
CD né ristampato, passa di mano su eBay per una decina di
dollari ma è difficile avvistarlo fuori dagli States. |
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MCA - 1985 |
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AORARCHIVIA |
RED VOODOO "Bring it Back" |
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Giovani, giovanissimi (il più
vecchio è il batterista, che ha 21 anni), ma questi Red Voodoo
sono autentici retro rockers, della frazione minoritaria dedita
al retro rock 80. Per andare sul sicuro si sono fatti produrre
da Frank Hannon dei Tesla, che gli ha confezionato un disco
senza dubbio interessante per i nostalgici del tipico melodic
metal del bel tempo che fu, svariando abilmente fra i soliti
nomi (Quiet Riot, Keel, Y&T, Ratt, Kix e, in almeno un paio di
occasioni, Tyketto). Il risultato globale è discreto, ma la
qualità audio di ‘Bring it Back’
non è proprio esaltante: se non rovina del tutto il piacere
dell’ascolto, senza dubbio lo sciupa un bel po’. |
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Autoproduzione - 2021 |
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AORARCHIVIA |
DIAMANTE "American Dream" |
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Confrontato con l’esordio di
tre anni fa (seguite il link per saperne di più), ‘American
Dream’ è un passo indietro. È più heavy – almeno a tratti
– meno pop, ma soprattutto risulta completamente immerso nel
moderno, senza quelle piacevoli commistioni con il rock classico
che avevano fatto brillare ‘Coming in Hot’.
Il songwriting è piatto, banale, ripete i soliti cliché già di
rigore in chi pratica il modern rock, generando canzoni che ci
danno una costante sensazione di già sentito, perfino la cover
di “Iris” (quella dei Go Go Dolls)
suona trita (e soffocata da muri di chitarre inutilmente
rumorose) e se non si può dire che ci sia una canzone davvero
brutta altrettanto possiamo affermare che non ce n’è una che
spicchi e si possa ricordare, confondendosi tutte fra quanto
Nickelback, Halestorm, Shinedown suonano ormai da parecchi anni. |
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Anti-Heroine - 2021 |
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AORARCHIVIA |
LEVARA "Levara" |
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Si è mossa nientemeno che
la Mascot per questa band che può vantare un figlio d’arte alla
chitarra (Trev Lukather e se quel cognome non vi dice niente
siete sul sito web sbagliato), l’ex drummer dei One Direction
Josh Devine e il cantante francese Jules Galli. Hard rock
melodico al crocevia tra classico e moderno, sempre ben
arrangiato e prodotto alla grande. Se “Heaven
Knows” e “Automatic”
proiettano una matrice melodica Toto su un telaio alla
Shinedown, “Can’t Get Over” e “On
For The Night” sposano le atmosfere dei Diving For Pearls
al rock moderno, mentre “Just A Man”
traduce gli Alter Bridge nel linguaggio del rock melodico. Il
top? Forse “Ordinary”, la più Toto
del mazzo, vivace, solare, con le sue ombre funky e reggae.
Se il futuro del nostro
genere dovesse passare dalle parti dei Levara, non avrei proprio
nulla da obiettare. |
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Mascot - 2021 |
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AORARCHIVIA |
SETH MARSH "Whole
Lotta Noise" |
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In quella terra di confine
dove di incrociano e si fondono l’AOR e l’heartland rock di
gente come Bruce Springsteen e John Mellecamp (e nei nostri
territori colleghiamo in prevalenza alle produzioni di Henry Lee
Summer), viaggiò (per un solo album) Seth Marsh. ‘Whole
Lotta Noise’ era un gioiellino caratterizzato da una
produzione attenta e curata, belle timbriche, songwriting
brillante. Spiccavano “Devil Talkin’”,
col suo bell’intreccio chitarre/tastiere sulla scia del primo
Mitch Malloy, il riff secco e gli ottoni di “Sexy
Little Number”, i chiaroscuri di “Try
And Understand”, l’alternanza tra atmosfera e vivacità di
“King For A Day”. Mai ristampato, ‘Whole
Lotta Noise’, ma reperibile in buona quantità su eBay USA
e a prezzi (in genere) tutt’altro che folli. |
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JRS Records - 1991 |
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AORARCHIVIA |
MAGGIE BELL "Crimes
Of The Heart" |
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Troppo lunga e articolata la
carriera della cantante scozzese Maggie Bell per poterla
riassumere qui: chi vuole approfondirla può rivolgersi alla
scheda dedicatale da Wikipedia. Trattiamo invece della sua unica
incursione nei territori dell’AOR, ‘Crimes
Of The Heart’: pubblicato nel 1988 per la label tedesca
Bellaphon (ma solo in Germania), è però impostato in prevalenza
su un pop rock primi ’80 che deve molto ai Loverboy (“Endless
Night”, “Living a Lie”, “I’m
on the Edge” che suona anche un po’ Cars). Se la title
track e “Tonight” guardavano
all’universo di Bryan Adams, “Love Me
Stranger” impastava benissimo Toto, Journey e Survivor.
Il top era rappresentato da “Burned Out
Love Affair”, con le sue chitarre tinnanti, i veli di
tastiere, d’atmosfera nelle strofe e luminosa nel refrain. La
voce rauca ma equilibrata di Maggie funzionava benissimo nel
contesto ma ‘Crimes Of The Heart’
passò inosservato e oggi è praticamente irreperibile. |
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Bellaphon - 1988 |
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AORARCHIVIA |
LUV JUNKIES "Luv Junkies" |
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Sempre, piacevolmente in
bilico tra il più classico metal californiano (di prevalente
matrice Ratt) e lo street rock, questo esordio dei Luv Junkies. Se “Slice
Of Life” aveva un lieve retrogusto funky, “Crash
And Burn” rimandava vagamente ai Love/Hate, mentre “Little
By Little” e “Maximum Attraction”
si ricollegavano ai Tora Tora epoca primo album e “Ain’t
No Good-Bye’s On The Road” era una ballad elettroacustica
fatta di bei chiaroscuri. Alla buona riuscita dell’album non
erano estranee le parti vocali affidate a Jimmy Kunes,
cantante sul genere di Anthony Corder dei Tora Tora, che in
seguito sarà per tre dischi il singer dei Cactus. Tre anni dopo,
i Love Junkies tornarono in formazione molto rimaneggiata (era
rimasto al suo posto solo il chitarrista, Fate Taylor) per un
secondo disco che non ho mai avuto il piacere di ascoltare ma
sembra avesse un sound abbastanza diverso dal suo ottimo
predecessore. |
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Total Noise - 1993 |
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AORARCHIVIA |
THE BELIEVERS "Extraordinary Life" |
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Sulla scia degli Outfield (che
fecero il botto con il loro esordio del 1985, diventato tre
volte di platino negli USA) si avviarono questi Believers, anche
loro inglesi, un terzetto formato da musicisti tutt’altro che
inesperti (nei loro carnet c’erano nomi come Adam And The Ants,
Roxy Music, Peter Hamill, Naked Eyes, John Wetton) guidati
dietro il banco del mixer addirittura da Greg Ladanyi e con il
contributo alle tastiere di C. J. Vanston. La produzione superba
valorizza dieci schegge di AOR cristallino dagli squisiti tocchi
pop, fra cui è arduo scegliere degli highlight (il basso funky
di “Promises”? I chiaroscuri
d’atmosfera di “All The Love Has Gone”?
Il divertente ancheggiare di “Hit And Run”?)
per un disco che è comunque da godere dal principio alla fine.
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Savage - 1992 |
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AORARCHIVIA |
BORN
YESTERDAY "Born Yesterday" |
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Poco o nulla si sa di questa
band canadese, la cui esistenza è testimoniata da un solo album
omonimo uscito per una indie locale nel 1991. Suonavano spesso
come un Bryan Adams infiacchito, senza estro e a volume troppo
basso, e il loro cantante, pur intonato, aveva una tecnica che
si può definire solo come “primitiva”. Nella seconda parte, il
disco virava un po’ verso l’heartland rock con risultati
discreti, ma ‘Born Yesterday’ resta
comunque un lavoro trascurabile per non dire superfluo.
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Current Musical Enterprises -
1991 |
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AORARCHIVIA |
TANIA KIKIDI "Rock & Roll Paradise" |
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La greca
Tania Kikidi ha un vocione privo di carattere e che non sia di
madrelingua inglese si capisce benissimo quando canta nella
lingua di Shakespeare. Questo ‘Rock & Roll
Paradise’ è impostato su una serie ben condotta di
ricalchi competenti, che però ricalchi restano. Si passa da un
metal californiano condito di refrain melodici ad un hard rock
molto Burning Rain, da stesure che rimandano agli Whitesnake
contemporanei a una track del tutto moderna per concludere con
la solita ballatona in crescendo. Non un disco malvagio, ‘Rock
& Roll Paradise’, ma neppure meritevole di particolare
attenzione: il genere di album che si ascolta e si dimentica
immediatamente. |
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Grooveyard Records - 2021 |
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AORARCHIVIA |
MICHAEL KRATZ "TAFKATNO" |
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Tre anni dopo l’ottimo ‘Live
Your Life’ (per saperne di più, seguite il
link), Michael Kratz torna con un album dove AOR e pop rock
vengono coniugati in senso prog con grande eleganza. Se in un
paio di casi gli accenti progressive prevalgono (“You’re
The One” e “Everlasting Love”:
un po’ cerebrali, magari), nelle altre canzoni aggiungono un bel
tocco distintivo. “A Way To The Future”
fa abbastanza Asia, la ballad elettroacustica “Let’s
Do Something Good” sconfina in territori classic rock, “Too
Close To The Edge” rilegge il pop rock anni ’80. Il top?
Forse “The Highway”, incalzante e
notturna nelle strofe, luminosa nel refrain, ma ‘TAFKATNO’
(qualunque cosa voglia mai dire questa parola…) è nel suo
complesso un buonissimo disco. |
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Art Of Melody Music - 2021 |
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AORARCHIVIA |
STEPHANIE HOWELL "Facing the Fire" |
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Raro (pubblicato solo dalla
filiale australiana della East West) e caro (quotazione sui
settanta euro), l’unico album di Stephanie Howell, ma pure un
gran bel disco di AOR e FM rock, grazie alla produzione
raffinata (di Garry Frost e David Hemming) e al songwriting di
alto livello (dovuto soprattutto a Gary Frost, ma una canzone
venne scritta da Jesse Harms e Sammy Hagar). Grande atmosfera
nella title track, in “Land Of I” e
“Can’t Stop The Fire” (più
aggressiva, con bei tocchi Journey), “Dreamsong”
sfoggiava una vena r&b nel refrain, il potente impasto
elettroacustico di “Emotional Outlaws”
rimandava senza equivoci a Bryan Adams, “Cry
No More” era un pop rock fascinoso, “Breaks
Your Heart” una ballad solare. Stephanie Howell la
potevamo assimilare ad una Fiona più acuta ed espressiva ed è un
peccato nessuno si sia mai accorto che ‘Facing
The Fire’ era davvero un bel disco.
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East West Records Australia -
1992 |
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AORARCHIVIA |
AIRTIME "Liberty Manifesto" |
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Il titolo
dell’unico album intestato a questo progetto potrebbe suggerire
che i leader Rik Emmett (Triumph, ma c’è bisogno di ricordarlo?)
e Michael Shotton (Von Groove) si abbandonarono a chissà quali
bizzarrie, invece l’andamento di ‘Liberty
Manifesto’ è abbastanza convenzionale: c’è molto Triumph
(“Liberty”, “River
Runs Deep”, “Rise”, “Moving
Day”, “Cryin’ Shame”), un
po’ di Von Groove (“Addicted”, che
spara quel genere di hard rock secco e ritmato che Michael
Shotton e Mladen facevano su ‘Driving Off
the Edge of the World’). “Edge of
Your Mind” e “Find Your Way”
azzardano qualche elemento prog, “Midnight
Black & Blue” è molto heavy e ha un riffing moderno, i
due strumentali lasciano un po’ il tempo che trovano, è notevole
invece “Code 9”, funky con qualche
sfumatura jazz e prog e un refrain liscio e westcoast ma molto
elettrico. Non certo un album da buttare, ma il titolo ne
riflette solo molto parzialmente i contenuti. |
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Escape - 2007 |
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AORARCHIVIA |
STEELE "Steele" |
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Jeff Zugale, in arte Jeff
Steele, pubblicò un solo album nel 1996 (in Giappone, per la
Alfa-Brunette; venne stampato in Europa nel 2011 dalla Z
Records, con un altro titolo - 'Tricks Up
My Sleeve' - una copertina diversa e l’aggiunta di
quattro bonus track irrilevanti), fatto di dieci canzoni che
componevano un quadro abbastanza variegato ed efficace. Si
comincia con il class metal ipermelodico di “Tricks
Up My Sleeve”, proseguendo con il clima californiano e
sleaze di “Love Ain’t Gonna Change Me”.
“700 Miles” richiama piacevolmente
le atmosfere western/melodiche dei Dillinger, “Flirtin’
With Fame” è fatta di pura materia Ratt/Crüe. Se il clima
cupo e metallico di “Stay” mi dice
poco, molto meglio riesce “Live Forever”,
ariosa ma pure molto elettrica. Torniamo al metal californiano
allupato con “I’ll Never Cry”, “Only
In Your Mind” è una power ballad fatta di bei
chiaroscuri, “Lead Me Over” –
incalzante nelle strofe e ipnotica nel refrain – arretra un po’
verso gli anni ‘70, la suggestiva “Innocence”
chiude l’album in un clima solenne e vagamente zeppeliniano.
L’edizione originale, come quasi tutti gli import giapponesi, è
rara e cara (prezzo dai 30 dollari in su), quella del 2011 è
presente sul mercato in abbondanza e ha una quotazione
abbordabile (difficile che chiedano più di dieci dollari). |
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Alfa-Brunette - 1996 |
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AORARCHIVIA |
STEVE STONE "Dreams Die Hard" |
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Poco si sa di Steve Stone. Un
solo album, ma per la major Epic e prodotto da un nome
prestigioso, Russ Vannelli: questo è quanto ci rimane di lui. ‘Dreams
Die Hard’ non si distingueva particolarmente nella massa
di materiale sonoro che in quegli anni occupava gli scaffali dei
negozi di dischi: c’era una forte vena Autograph, un po’ virata
sul pop e trasfigurata da una produzione sofisticata (“Schoolboy
Fantasy”; il party rock “Seventeen
And Ready”; “Nobody’s Gonna Tear Me
Down” e la title track, che nei refrain virano verso
l’heartland rock; “Victim Of Love”,
saltellante e divertente), qualche tentazione Def Leppard (“Standing
On The Edge”), Bryan Adams (“The
Girl’s On Fire”) e Bon Jovi (la power ballad “Faces
In The Rain”). Steve Stone metteva nel suo cantato una
certa sfumatura glam, ma la musica non abbordava mai quelle
atmosfere, restando nel confortevole recinto del melodic rock
con ambizioni da alta classifica, ambizioni che però
difficilmente ‘Dreams Die Hard’
avrebbe potuto tradurre in pratica: un album di quelli che in
genere si definiscono “carini”, senza picchi degni di nota.
Anche la sua quotazione sul mercato dell’usato (su eBay USA va
via a dieci dollari o anche meno) testimonia lo scarso interesse
che il popolo dell’AOR gli ha riservato. |
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Epic - 1990 |
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AORARCHIVIA |
TAO "Prophecy" |
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Se avete sempre sognato una
versione dei Ten a guida vocale femminile, questi TAO fanno
indubbiamente per voi. Tutte le canzoni sono state scritte da
Gary Hughes, che ha anche prodotto l’album e fatto eseguire le
parti di tastiere dal key player dei Ten…. E detto questo, non
ci sarebbe poi molto altro da dire, tutto sommato. Le dieci
track suonano come mezze cover dei Ten di ieri e oggi, con la
solita alternanza tra un suono pop, metallico o
pomposo/epicheggiante: buone senza stupire. Il problema è la
cantante, Karen Fell: è intonata, okay, ma non è assolutamente
adatta al rock: la sua voce ha un suono caramelloso, se fosse
appena un po’ più acuta diventerebbe la gemella di Patsy Kensit
all’epoca degli Eight Wonder, ed ha la stessa espressività di un
carillon. Perché diavolo una che si ritrova una voce simile ha
deciso di mettersi a cantare proprio l’hard rock? Comunque, se
la voce di miss Fell non vi disturba o vi provoca attacchi di
sonnolenza, e dei Ten siete fan assatanati, una chance ai TAO
potreste anche darla. |
INDICE |
Tarot Label Media -
2022 |
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AORARCHIVIA |
DREAMSTREET "Heartzone" |
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Ripescata dalla Retrospect nel
2007, questa solitaria testimonianza discografica dei
Dreamstreet non si sa se abbia avuto mai una pubblicazione
effettiva (anche se la label lo dà inciso nel 1986) o è solo una
raccolta di demo. Comunque, ‘Heartzone’
non si presenta male, offrendo una produzione abbastanza buona e
otto canzoni perlomeno gradevoli. Il top è la title track, con
un’impronta melodica alla Foreigner e un ritmo nello stesso
tempo pacato e galoppante, ma anche “Head
Troubles” spicca, scoppiettante e divertente, mentre “Money”
si volge all’AOR hard edged primi ’80 impastando Loverboy e
Journey. Insomma, un album discreto, senza grandi picchi ma pure
senza indecenze.
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INDICE |
Retrospect - 2007 |
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