RECENSIONI IN BREVE
AORARCHIVIA |
EAST TEMPLE AVENUE "Both Sides Of Midnight" |
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Il debutto di questa band
internazionale non stupisce e neppure stuzzica. Le canzoni sono
più che altro un tappeto per la voce del bravissimo Robbie
LeBlanc (Find Me, Blanc Faces), su cui il suddetto cesella con
grande talento armonie, melodie, cori… Ma, oltre alle
performance vocali di LeBlanc, non c’è altro in queste dieci
track che richiamano di volta in volta Unruly Child, Tyketto,
Journey, Winger e W.E.T. senza fantasia. ‘Both
Sides Of Midnight’ è uno di quegli album che non lasciano
la minima traccia di sé dopo l’ascolto e fra qualche mese sarà
già (meritatamente) dimenticato. |
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AOR Heaven - 2020 |
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AORARCHIVIA |
MRS LOUD "Mrs Loud" |
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La voce di Lorraine Crosby (in
arte, Mrs Loud) non aveva un timbro eccezionale, ma risultava
calda, duttile e potente. In questo suo primo (e unico?) album
autoprodotto si adagiava con grande disinvoltura su canzoni che
svariavano molto tra tempi e atmosfere del rock. Molto buone
risultavano “I Want You So Bad”,
densa di chiaroscuri vagamente southern; la vivacità r&b di “If
I Have You”; “A Love That Grows”,
con le sue belle sfumature Bad Company; il gran ritmo condito di
un refrain arioso di “Last Train To
Paradise”; la power ballad “Follow
Your Heart”, col suo spiegamento di tastiere e la
melodia AOR. Per chi ama le belle voci femminili nel rock,
sicuramente da recuperare.
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Autoproduzione - 2007 |
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AORARCHIVIA |
CHRIS ANDREW "Hit and Run" |
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Titolo senza dubbio minore, ma
questo unico album di Chris Andrew ha
parecchio da offrire ai nostalgici del tipico pop rock della
metà dei Big 80s, con le solite alchimie melodiche tra Journey e
Toto tessute fra percussioni sintetiche e raffiche di keys
dardeggianti, fitte di tentazioni dance. Le chitarre elettriche
a volte sono potenti (come nell’arena rock “Back
Seat Lover”) altre svaniscono quasi del tutto (“Fantasy”,
molto dance e con una batteria elettronica un po’ troppo
invadente). Buona la produzione e discreto il songwriting. La
reperibilità è molto limitata, però i prezzi dell’LP non sono
spropositati, tra i 20 e i 25 dollari negli USA. Discogs
stranamente lo dà pubblicato solo su 33 giri, invece il CD
esiste, anche se è di rarità estrema e immagino spunti
quotazioni ben più alte del vinile. |
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Roadside Records - 1987 |
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THE DEAD DAISIES "Holy Ground" |
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Con l’addio di John Corabi,
Doug Eldritch ha preso una volta per tutte il controllo della
band, trasformandola in una sorta di succursale dei Burning
Rain: più diretta ed heavy, meno melodica della versione
originale ma sempre legata a doppio filo con quel moniker che
rappresenta il centro dell’attività solista di Doug. Ho qualche
riserva sulle vocals di Glen Hughes, che urla come un ossesso
praticamente per tutto l’album, ma il livello generale del
songwriting è eccellente. La sola “30 Days
in The Hole” (cover degli Humble Pie) ricorda i Dead
Daisies di una volta, col suo flavour r&b, tutto il resto è
(ottimamente) Burning Rain (e ultimi Whitesnake, naturalmente),
contrassegnato dall’inconfondibile riffing di Doug, sia pure
modulato su un voltaggio più alto del solito. Il top nella
conclusiva “Far Away”, col suo
crescendo zeppeliniano, variopinto e suggestivo. |
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SPV - 2021 |
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ALBERTO SONZOGNI "September Man" |
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Di buona fattura questo
esordio del tastierista Alberto Sonzogni. Il suo rock melodico è
spesso tinto di prog, e rimanda in più di un frangente agli
Harlan Cage. Gli arrangiamenti sono sempre molto vari e l’ordito
strumentale è sofisticato e curato. In molti si alternano al
microfono e non mancano i duetti (con Gessica Pirola e Carmen
Giammona). Davvero un buon album.
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Freemood - 2021 |
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MESSENGER "Special Delivery" |
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L’unica testimonianza
lasciataci dai canadesi Messenger si può senza
esitazioni caricare sul registro degli album superflui. La
qualità audio è solo decente, il songwriting non è affatto
brillante, riciclando le architetture sonore di arcinote realtà
locali (Bryan Adams, i Loverboy dei primi album, gli Honeymoon
Suite) senza distinzione né la minima verve. Qualche fiammata
viene dalla ballad elettrica “Wishing You
Were Here” e dall’AOR molto Honeymoon Suite “No
Holding Back”, troppo poco per cavare fuori ‘Special
Delivery’ dal sovraffollato limbo dei dischi
dignitosamente mediocri.
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Messenger Records - 1994 |
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SILVERNITE "Silvernite" |
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Band parte greca e parte
finlandese, i Silvernite, che esordisce sulla lunga distanza con
un LP autointitolato di caratura certo non gigantesca. Provano a
inseguire l’AOR degli anni ’80 nelle sue declinazioni più pop ma
lo corrompono con dosi massicce di sound svedese moderno (la
melodia melensa di “Raise Your Hands”
è senza dubbio puro scandi-AOR dei Big 80s, il refrain di “True
Survivor” suona invece tronfio), e il songwriting resta
comunque nel trito o nell’insignificante (“Honestly”
è davvero come se non ci fosse): perfino i tentativi di
scopiazzatura naufragano (“Angel Of The
City”, che nella fantasia della band dovrebbe somigliare
a qualcosa dei Boulevard). Sento qualcosa di buono in “Danger
Zone” (molto elettrica, dal sound più tedesco che
svedese) e nella melodia accattivante di “Broken
Heart”, ma sono soltanto poche scintille che si levano
dal grigiore generale, acuito da una cantante certo ben
intonata, ma dotata di una vocina monotona e fredda. |
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Valve Studio Records - 2021 |
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KREEK "Kreek" |
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L’esordio di questi americani
Kreek, capitanati da Antony Ellis (Bigfoot), piacerà soprattutto
ai nostalgici del tipico heavy metal americano della prima metà
degli anni ’80 (nello stile, tanto per capirci, degli Y&T). Il
grosso del materiale si mantiene su queste coordinate sonore, ma
c’è pure una buona dose di class metal che prende la forma di
una piece zeppeliniana alla maniera dei Burning Rain (“Down
‘N Dirty”), un dinamico esercizio di hard rock un po’ Van
Halen (“Million Dollar Man”), una
discreta scheggia di metal californiano fra Ratt e XYZ (epoca
primo album) intitolata “Get Up”.
Anche “Stand Together” spicca con
le sue strofe acustiche ed il refrain elettrico e beffardo,
mentre la conclusiva “On Your Own”
e una power ballad discreta. Alla fine, nulla di trascendentale,
solo un disco onesto che chi predilige il melodic metal yankee
di trent’anni fa troverà senza dubbio gradevole. |
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Frontiers - 2021 |
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AORARCHIVIA |
SMITH / KOTZEN "Smith / Kotzen" |
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È intestato a entrambi e con
il nome di Adrian Smith davanti a quello di Richie Kotzen, ma in
questo disco io sento quasi solo Kotzen, con quel suo hard rock
agile e infarcito di black music che guarda ai ’70 senza
fanatismi. Dal funkeggiare hi tech di “Taking My Chances” al
ritmo nello stesso tempo pigro e incalzante di “Some People”,
dal refrain solare di “Glory Road” alle atmosfere notturne ed
elettriche di “Scars”, Richie s’impone nettamente sul collega,
che duetta con lui su qualche track e lascia esili tracce del
suo chitarrismo. Qualche canzone è inutilmente lunga, “Running”
è opaca e “You Don’t Know Me” suona un po’ troppo grave, ma
‘Smith / Kotzen’ è un prodotto di
discreta caratura, che tutti i
fan di Richie accoglieranno con piacere.
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BMG - 2021 |
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AORARCHIVIA |
LOVERS
LANE "Chiseled in Stone" |
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È un vero e proprio
minestrone quest’unico album dei Lovers Lane: comincia in
maniera decisamente sleaze/glam rifacendosi a Crüe (“True Love”)
e Poison (“Where Were You”), amplia lo spettro melodico alla
maniera degli Slaughter con “Follow Your Heart” e “Goodbye” (ben
lubrificate dalle tastiere), fa una virata in direzione del
metal californiano con un blocco di quattro canzoni che seguono
(nell’ordine) le tracce di Dokken, Twisted Sister e Ratt, si
trasferisce nel New Jersey dei primi Bon Jovi con “That’s Why”,
conclude le danze con una ballad elettroacustica che potrebbe
appartenere al repertorio dei Firehouse e una “Welcome to the
World” che prende le mosse come una ballad elettrica diventando
una cavalcata metallica. Il singer Rick Roark funzionava
benissimo come emulo di Vince Neil ma si difendeva bene anche
fuori dal contesto più spiccatamente glam, però il songwriting
restava abbastanza ordinario, anche se il chitarrista, Todd
Fulcher, provava a vivacizzare le canzoni con qualche fraseggio
estroso. Il prezzo non proprio leggerissimo (dai trenta dollari
in su, e le sue comparse tra eBay e Amazon sono molto saltuarie)
lo rende un articolo appetibile solo per completisti dell’hard
melodico. |
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Indian Records - 1994 |
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AORARCHIVIA |
PRICE - SULTON "Lights On" |
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Non ebbe grande fortuna
l’unico parto della band formata da questi due nomi prestigiosi
del panorama rock dei Big 80s: Kasim Sulton a voce, basso,
tastiere e chitarre (nel suo carnet ci sono Utopian, Meat Loaf,
Patty Smyth, Blue Oyster Cult), Thommy Price per batteria, voce
e chitarre (lo troviamo prima o dopo questo disco con Joan Jett,
Scandal, Billy Idol, Steve Stevens, Adam Bomb, John Waite, Blue
Oyster Cult). L’album era impostato su un AOR mai troppo
aggressivo, che spesso prendeva come riferimento i Loverboy
(“Shotgun Shy”, dal refrain un po’ zuccheroso; la melodia pop
della title track e di “Reckless And Wild”; “Something’s Gonna
Happen”, spruzzata di Journey). Il meglio stava nel ritmo
danzereccio, vivace e divertente, di “Take Me Away”, nelle
atmosfere notturne e fascinose (con qualche tocco funky) di
“Stories”, nel clima sofisticato e suadente di “Heaven’s Girl”.
Un disco, ‘Lights On’ che ha tutto, comunque, per piacere a chi
ama il pop rock raffinato che faceva furore nella prima metà
degli anni ’80, tutto tastiere e batterie elettroniche. La
reperibilità non è delle migliori: pubblicato su CD unicamente
in Giappone, in giro si trovano solo LP e cassette, e a prezzo
tutt’altro che vile (il disco passa su eBay per non meno di
quaranta dollari). Nel 2014 l’etichetta pirata brasiliana Hard Rock
Diamonds lo ripubblicò su CDr, ma una ristampa regolare e fatta
come si deve non è ancora arrivata. |
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Columbia - 1986 |
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AORARCHIVIA |
THE END MACHINE "Phase 2" |
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Il secondo capitolo della
“nuova” band di George Lynch, Jeff Pilson e Robert Mason (alla
batteria c’è adesso l’ex Trixter Steve Brown) segue
perfettamente il primo ‘The
End Machine’ di due anni fa: street metal in
linea con quello praticato da George nei Lynch Mob, ma meglio
prodotto e con maggior continuità nel songwriting (se volete
approfondire, seguite il link). Due canzoni potevano
tranquillamente lasciarle fuori (“Blood
and Money” è banale e afflitta da assoli classicheggianti
del tutto fuori luogo in questo contesto, “Dark
Divide” suona opaca), tutto il resto convince e piacerà
(suppongo) soprattutto ai fan dei Mob (come il sottoscritto). Il
meglio? Forse l’alternanza di strofe sognanti e refrain beffardo
di “Devil’s Playground” o le trame
melodiche di “Born of Fire”, ma il
livello è abbastanza uniforme e abbastanza alto (fatta eccezione
per le due track già viste) da promuovere ampiamente ‘Phase
2’ |
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Frontiers - 2021 |
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