RECENSIONI IN BREVE

 

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THE LAW "The Unreleased Album"

Gira da qualche anno e in varie edizioni (nel senso che potete trovarlo con almeno tre copertine diverse, ma sempre con la stessa scaletta) questo bootleg che viene presentato come il secondo album mai pubblicato della band di Paul Rodgers e Kenney Jones, ma che sembra in realtà sia composto da canzoni scartate dal debutto omonimo. La qualità audio è appena discreta, il mixaggio risulta stranamente rumoroso ed è afflitto da acuti irritanti, ma vale la pena soffrire un po’ per ascoltare queste otto canzoni, quasi tutte molto più hard rock di quelle presenti su ‘The Law’ (“Message of Love” è addirittura rabbiosa) anche se a volte inutilmente lunghe. “Too Much Is Not Enough” l’avevamo già ascoltata nella versione dei Deep Purple (su ‘Slaves and Masters’) mentre “I Wanna Make Love to You” e “Alibi” le ricordiamo incise da Eric Clapton, qui però c’è The Voice al microfono… Il top? Resto indeciso fra “Loaded Dice” e “Strictly Off The Record”, raffinatamente Bad Company. Una release ufficiale che ci servisse questo materiale in una forma adeguata al suo valore sarebbe opportuna.

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MICHAEL KRATZ "Live Your Live"

È orientato decisamente verso la soft side dell’AOR questo nuovo album del singer danese Michael Kratz. Le chitarre cedono spesso il ruolo guida alle tastiere, c’è più di un elemento moderno (a volte coniugato in un non spiacevole senso danzereccio), molta atmosfera, produzione di alto livello e songwriting di ottima caratura. Aggiungiamo al quadro la presenza di esecutori di assoluto valore (un paio di assoli sono di Steve Lukather e Michael Landau) ed ecco che ‘Live Your Life’ diventa quasi una priorità per chi ama il pop rock di classe e l’AOR meno fragoroso.

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Art Of Melody Music - 2018

 

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THE DEAD DAISIES "Burn it Down"

In questo nuovo album, l’influenza di Doug Aldritch risulta meno marcata e risalta soprattutto su tre canzoni (“Dead And Gone”, “Can’t Take It With You” e “Leave Me Alone”) che avrebbero potuto tranquillamente figurare sull’ultimo Burning Rain. Il resto va dal buono all’ottimo (ma anche le tre canzoni già citate sono di notevole caratura): la cover di “Bitch” dei Rolling Stones viene opportunamente incarognita, “Revolution” è un hard’n’roll metallico e divertito che rimanda a frammenti analoghi del quasi omonimo secondo album, “Resurrected” (aggressiva e ipnotica nello stesso tempo) mi ha ricordato invece i quasi dimenticati Soul Sirkus. Il top? “Judgement Day”, con i suoi chiaroscuri acustici da film western che preparano il terreno ad un riffing elettrico di matrice Lynch Mob. Insomma, un buon album, ma continuo a preferire i Dead Daisies dei tempi di ‘Revoluciòn’, quando erano meno heavy e più fantasiosi nel songwriting.

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Spitfire Music - 2018

 

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PYRAMID "Hieroglyphics"

È da non credere che con tante buone band confinate nell’oblio degli album unreleased o mai pubblicati su CD, la Retrospect abbia ritenuto di stampare ben due raccolte di questi insipidi Pyramid. ‘Hieroglyphics’ è fatto in prevalenza di fiacchi ricalchi del repertorio dei Ratt, in genere di una banalità agghiacciante e in qualche caso molto vicini al plagio (“Betrayed” replica “Body Talk” ben oltre i confini della decenza), un patetico tentativo di mettersi in scia all’hard rock swingante dei Van Halen (“T.S.P.”), un paio di ballad stucchevoli e qualche scheggia di metal californiano talmente amorfa da non poter essere neppure catalogata. Aggiungiamo al quadro il non trascurabile dettaglio relativo alla vocetta dell’individuo molto carente in tecnica (stona i cori spesso e volentieri) e personalità che sta davanti al microfono, e la totale inutilità di questo ripescaggio diventerà ancora più palese.

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Retrospect - 2008

 

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BLUE 46 "Blue 46"

Dalla Svizzera arrivarono nel ’92 questi Blue 46, guidati dalla voce gradevole ma un po’ acerba di tal Karen Sambrook. Anche se l’apertura era affidata all’opaco metal californiano tra Quiet Riot e Dokken “Breakdown The Fire”, l’album risultava interessante nei suoi costanti riferimenti all’universo sonoro degli Headpins, con arrangiamenti che cercavano soluzioni inedite in più di un frangente, come su “Tales”, che combinava l’arena rock al tipico flavour nevrotico della band di Darby Mills, piena di svolte insolite. In un paio di episodi le atmosfere ricordano anche i Perfect Crime e in chiusura, “Crazy Day” rimanda agli Heart primi anni ’80. ‘Blue 46’ è una rara avis, di quelle difficili da avvistare su eBay e non ho idea a quali cifre passi di mano: la Retrospect o la Rock Candy potrebbero farci un pensierino.

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Double O Records - 1992

 

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REB BEACH "Masquerade"

Peccato che quello straordinario chitarrista che risponde al nome di Reb Beach si sia concesso il piacere di un album solista proprio durante gli anni in cui grunge e alternative dettavano legge nelle classifiche. Reb non è riuscito a resistere alla tentazione di seguire i trend in voga all’epoca e anche se perfino il grunge può diventare interessante quando viene passato al setaccio della sua chitarra (ascoltate “Better Shade of Grey”), le atmosfere che si susseguono in ‘Masquerade’ riescono poco gradevoli a chi non apprezza la musica di Alice in Chains, Soundgarden e compagnia. C’è qualche pizzico di metal californiano e di un hard rock acido sul genere dei Bad Moon Rising di ‘Opium For The Masses’, ma il chitarrismo strepitoso di Reb (che si esalta soprattutto nell’iniziale “Dark Places” e nello strumentale molto Van Halen “Get Out And Walk”) resta il motivo principale di interesse in un album che chi ama tutto quanto lui ha fatto con Winger e Whitesnake senza dubbio faticherà a trovare stimolante.

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Now & Then - 2002

 

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DAVID CASSIDY "David Cassidy"

David Cassidy ha cominciato la sua carriera come attore (i più vecchi se lo ricorderanno nei telefilm La Famiglia Partridge) accumulando una discografia di 14 album tra studio e live prima di passare a miglior vita nel 2017. Questo suo album omonimo pubblicato nel 1990 è un capolavoro poco celebrato di AOR hard edged, con uno stuolo di songwriter ed esecutori da urlo (per l’elenco dettagliato vi rimando alla scheda di wikipedia). Il modello prevalente nel sound è quello di John Parr, ma le sfumature variano con grande sapienza da una canzone all’altra, in “You Remember Me” si sente Bryan Adams, sulla ballad “Boulevard of Broken Dreams” occhieggiano gli Honeymoon Suite (che bello quell’assolo di sax). Se la magnifica “Living Without You” è nello stesso tempo anthemica e solare, il top arriva con la cover della storica “Hi-Heel Sneakers” (la cantarono, fra gli altri, anche Elvis e Jerry Lee Lewis), arricchita di un flavour R&B su una chitarra rabbiosa. La produzione è – a dir poco – sontuosa, il songwriting brillante: da avere.

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Enigma Records- 1990

 

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JON BUTCHER AXIS "Stare at The Sun"

Uscirà il 25 maggio la ristampa del secondo album degli Axis, la band che Jon Butcher formò nei primi anni ’80 per entrare nel ricco (all’epoca) mercato dell’AOR. Pubblicato nel 1984, ‘Stare at The Sun’ è un perfetto concentrato di pop rock e AOR che mette assieme (in ordine sparso) John Parr, Mr. Mister, Billy Idol, Foreigner, U2 e Glass Tiger, raccomandatissimo a chi ama il tipico suono rock commerciale della prima metà degli anni ’80. Sulla qualità audio di questa ristampa non posso pronunciarmi, a causa della linea politica assurda che la Escape ha deciso di adottare verso i recensori: per un po’ ha fornito solo sample di un minuto e mezzo, oggi mette nel player album interi, ma gli .mp3 hanno una velocità in bit indecente che rende l’ascolto del materiale una vera tortura per le orecchie.

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Escape - 2018

 

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THE JAMES PROJECT "Desert Bloom"

Venne presentato con accenti roboanti questo unico album di James Lawrence Berk, apprezzato (pare) songwriter per il cinema e la pubblictà negli USA, ma la sostanza dell’album è scarsa. C’è molto pop rock all’acqua di rose, ordinario o noioso tout court: “Tell Her I’m Home” è una ballatona veramente monotona, “Everything About You” sembra il parto di un Jeff Paris a corto di ispirazione, “Mend My Broken Heart” suona come una B side di Elton John. Il meglio sta nelle alchimie Survivor-Bad English di “Take Me To The River” e nell’AOR dalla bella melodia di “Sorrow In Diguise”, ma anche l’atmospheric power di “Promised Land” si fa apprezzare, mentre la discreta “Take Good Care Of Her Heart” ruba qualche armonia vocale alle ballad degli Autograph. Alla fine della fiera, un disco trascurabile per non dire inutile.

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Next Horizon Records – 1996

 

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SPACE ELEVATOR "II"

Non mi aveva convinto il primo album di questa band britannica ed il suo nuovo lavoro non ha cambiato la situazione. Il songwriting è brillante, la produzione di lusso e gli arrangiamenti policromi, il problema sta nella matrice melodica ripresa palesemente da due band che al sottoscritto non vanno proprio a genio, i Queen ed i loro figliocci moderni, The Darkness. Naturalmente, il mio problema con gli Space Elevator è del tutto personale, e chi apprezza la matrice di cui sopra trasposta in chiave di hard melodico troverà senza dubbio ‘II’ ed il suo predecessore molto gradevoli.

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SPV - 2018

 

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ROMEO "Romeo"

Buoni artigiani del suono AOR primi anni Ottanta, i Romeo, che però pubblicarono questo loro album d’esordio addirittura nel 1993. Il songwriting discreto viene penalizzato da arrangiamenti troppo ovvi e da un cantante che a volte sembra un po’ a corto di fiato, ma la resa globale del prodotto supera ampiamente la sufficienza, con richiami (palesi, in qualche frangente) a Surgin’, Journey, Autograph, Bryan Adams e Starz. Insomma, ‘Romeo’ non è un album indispensabile o imprescindibile, ma neppure una ciofeca nauseabonda o indigesta. Col tempo è però diventato di una notevole rarità e credo che le sue molto saltuarie apparizioni tra eBay e Amazon siano contrassegnate da cartellini del prezzo nient’affatto leggeri.

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WFG Records - 1993

 

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DIAMANTE "Coming in Hot"

Esordio per questa bella ventunenne di madre messicana e padre italiano, cresciuta negli Stati Uniti e dedita con la sua backing band ad un hard rock moderno e radio friendly sulla scia dei soliti Shinedown, Nickelback e Halestorm: a volte sembra una Joan Jett con gli steroidi (la title track, il bell’anthem “Sound of Us”), in altri momenti trova soluzioni al crocevia tra rock classico e contemporaneo (“Had Enough” e “Haunted”, entrambe basate su riff zeppeliniani ma ritmate a tempo di EDM, “Bulletproof”, che replica la ricetta facendo riferimento agli AC/DC e con il plus di begli impasti vocali). Ci sono un paio di passi falsi (“Crazy on You” ha un refrain orribile, “Definitely Not in Love” è punkeggiante, convulsa e l’avremo già sentita un paio di miliardi di volte) e il cantato in spagnolo mi rende incomprensibile quella notevole power ballad molto Nickelback intitolata “Lo Siento” (ma forse il testo è solo la traduzione in castigliano di quello di "I'm Sorry": la musica è la stessa), però ‘Coming in Hot’ resta uno dei migliori prodotti in ambito modern melodic (la produzione è di Howard Benson) ascoltati quest’anno.

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Better Noise Records - 2018

 

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7th HEAVEN "Color in Motion"

Il pop rock dei 7th Heaven funziona meglio quando bilancia il moderno con una più che discreta vena anni ’80 (o quando la vena suddetta prende il sopravvento, come in “Happy Now”, col suo bel riffone secco): nei toni ariosi ma anche vagamente anthemici di “This Is Where The Party’s At”, nelle atmosfere un po’ John Parr della galoppante “Wonderful World” e in quelle un po’ Danger Danger della ballad “I See You Smile”. Più adatti, comunque, a chi predilige il suono melodico moderno, mai troppo elettrico né contaminato di EDM.

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NTD Records - 2018

 

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KEVIN WELLS "Little Acts Of Treason"

La backing band che aveva accompagnato il polistrumentista Kevin Wells su questo suo unico album annoverava qualche luminare del suono AOR (Dan Huff, Bill Cuomo), ma la proposta si rivelava impostata su un pop rock troppo blando per interessare chi ama l’hard melodico.  In “I’m Still Waiting” non c’è neppure una nota di chitarra, su tutto il resto l’elettricità è ridotta a poche gocce, anche se i riferimenti (molto vaghi) a Journey, Survivor e Toto non mancano. Nel suo genere non è male, ma ‘Little Acts Of Treason’ ha davvero poco da offrire al pubblico dell’AOR.

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Sunset Dreams - 1985

 

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LIZ LARIN "Test Your Faith"

Di questo esordio solista di Liz Larin (in precedenza voce dei Rebel Heels) non si può parlare male ma neppure esaltarlo. Prodotto da Al Nalli (non da Ben Gosse, come riporta la scheda di Liz su Wikipedia), ‘Test Your Fate’ piacerà soprattutto a chi ama il pop rock sofisticato degli anni ’80, in prevalenza sulla scia dei Mr.Mister, spesso contaminato con il westcoast ed il folk alla maniera dei Cock Robin. La produzione era di gran livello e Liz aveva una bellissima voce, tagliente e morbida nello stesso tempo: qualche canzone era inutilmente lunga, altre troppo blande e pop, ma chi predilige l’AOR nelle sue declinazioni meno elettriche e rockeggianti, troverà sicuramente in quest’album motivi d’interesse.

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Atlantic - 1993

 

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DION BAYMAN "Better Days"

Mi sono occupato di Dion Bayman già nel 2016 per il suo ‘Don’t Look Down’, e per non ripetere cose già dette invito chi non lo conosce a seguire il link per leggere quella recensione. Questa nuova release esce per l’italiana Art of Melody, e il supporto di una vera label non potrà che giovare alla diffusione di ‘Better Days’. Il songwriting è in linea con l’album precedente, anche se un po’ meno brillante, e il meglio sta nei chiaroscuri di “Out Of Mind Out Of Sight” e nei toni drammatici di “If I Could”. Comunque, questo artista australiano resta un’ottima alternativa alla monotonia melodica made in Scandinavia.

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Art of Melody Music - 2018

 

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BLACK TIGER "Black Tiger"

Questa band ceca pubblica il suo primo album per l’etichetta italiana collegata alla Tanzan Music: prodotto dal bravo Mario Percudani, ‘Black Tiger’ non pecca in originalità, preferendo rifarsi ad un lotto di mostri sacri del nostro genere: “Don't Leave Me” si muove sui ritmi di “Is This Love” integrati con un refrain molto Def Leppard, “Life is a Game” e la ballad “Solitary Man” guardano all’universo Survivor, “Reason to Live” omaggia i Danger Danger più soft, “She’s a Liar” spara bei riff da metal californiano. Alla distanza, l’album fa una decisa sterzata verso l’hard melodico dei Tyketto epoca primo album, sparando le cose migliori con “Who is To Blame” e la ballad “Silent Cry”. La produzione è di ottimo livello, gli arrangiamenti curati ed il songwriting per nulla malvagio: il cantante a volte risulta un po’ monotono ma, in definitiva, ‘Black Tiger’ funziona benissimo e sarà gradito a chi, in campo AOR, non apprezza soluzioni fuori dall’ortodossia del nostro genere né le moderne alchimie sonore made in Scandinavia.

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FreeMood - 2018

 

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ANN WILSON "Immortal"

Ann Wilson prosegue lungo la strada dei cover album con questo ‘Immortal’, che presenta materiale a dir poco eterogeneo per genere e stile, alternando canzoni di (fra gli altri) George Michael e Audioslave, Cream e Amy Winehouse, Eagles e Leonard Cohen, con arrangiamenti oltretutto molto vari, che rimodellano le canzoni a volte addirittura stravolgendole (“Life in the Fast Lane” diventa un pezzo quasi d’atmosfera con tanto di chitarra funky) ma sempre in maniera efficace. Ovviamente, se già in originale vi diceva poco o niente, anche una rilettura fantasiosa avrà scarso successo nel rendervi gradevole la canzone (e difatti, “I’m Afraid of Americans” di David Bowie e “Politician” dei Cream, qui rifatte, continuano a dirmi pochissimo) ma un cover album che soddisfi i gusti di un ascoltatore dal principio alla fine credo debba ancora essere inciso. Ann canta sempre meravigliosamente e, alla rispettabile età di 68 anni, è ancora la voce femminile rock più bella in circolazione e il motivo principale per mettersi all’ascolto di ‘Immortal .

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BMG - 2018

 

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BUGZY "Plan B..."

Questa non è precisamente una raccolta di demo, almeno a giudicare dalla qualità audio e dalla produzione, per non parlare della cura negli arrangiamenti che danno forma a 17 canzoni quasi sempre di classe superiore. La band flirtava apertamente con il lato più classic rock del suono hard melodico, mixando Bon Jovi, Bryan Adams, John Waite e Mitch Malloy in varie intensità e combinazioni. Facevano eccezione solo “One Man” e “Your Love Leaves Me Cold” (molto californiane alla maniera degli Autograph), “Young At Heart” con le sue sfumature Def Leppard, le melodie Journey su un telaio più elettrico e metallico di “Piece Of The Puzzle” e l’AOR con refrain alla Honeymoon Suite di “Eyes Of Steel”. Un recupero di notevole valore.

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Divebomb Records - 2017

 

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CREYE "Creye"

Quando parlo di “monotonia made in Scandinavia” in relazione a dischi AOR provenienti dal Nord Europa non faccio dell’ironia: salvo per pochissimi eletti, il melodic rock che ci arriva da quelle parti finisce invariabilmente per annoiare. Prendiamo questi Creye: H.E.A.T e Work Of Art sono la loro principale fonte di ispirazione e la produzione è piatta nel senso che i suoni sono sempre uguali e gli arrangiamenti senza sorprese, prevedibili al secondo: tra un po’ c’è il middle eight, adesso arriva il bridge, sai già quante battute durerà l’assolo e che gli ultimi due refrain li canteranno un tono più su… Insomma, si rimasticano clichè e cose già sentite, incessantemente. Certo, se vi fa gola una clonazione in tono minore e più patinato degli H.E.A.T, buttatevi pure sui Creye. Ma se non ne potete più di quel melodic rock plastificato e asettico che la Svezia (soprattutto con la complicità della Frontiers) sforna a getto continuo, statene lontani.

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Frontiers - 2018

 

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HARDCORE SUPERSTAR "You can't kill my rock'n'roll"

Dopo aver omaggiato il più classico street rock californiano in ‘HCSS’ gli Hardcore Superstar cambiano (ancora) pelle, tornando ad incrociare classico e moderno in un album che è soprattutto una valanga di riff vincenti su cui la band spalma trame melodiche in bilico fra il glam più vizioso e la solarità di tipico stampo svedese che oggi è rappresentata meglio di tutti dagli H.E.A.T. Chiudiamo un occhio sullo sfacciato trapianto nella title track del refrain della ‘Heaven Is a Place on Earth’ che fu un hit planetario di Belinda Carlisle nel 1987 e godiamoci il ritmo da party rock della divertente ‘Baboon’, il riffing alla Crüe (periodo ‘Dr. Feelgood’) di ‘Electric Rider’, gli accordi saltellanti che salgono in un crescendo drammatico in ‘Hit Me Where It Hurts’, le atmosfere anthemiche di ‘Bring The House Down’ e ‘The Others’. ‘You Can’t Kill My Rock ‘N Roll’ è divertimento alla stato puro, una boccata d’ossigeno fra tanto modern rock depresso o incazzato.

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Gain Music - 2018

 

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BEAU COUP "Born & Raised (on Rock-n-Roll)"

Questo primo album dei Beau Coup (il secondo, nel 2006, era solo una reincisione delle stesse canzoni, fatta per non perdere i diritti di copyright) si muoveva tra pop rock ed AOR, con le chitarre (tutte opera di vari turnisti) che rifinivano e davano consistenza rock ad un suono keyboard oriented. Arrangiamenti curati e produzione di alto livello smaltavano un songwriting che risultava buono anche se non lasciava esterrefatti, con il top  nell’atmosfera notturna e drammatica di “Uptown L.A.”, il pop rock anthemico della title track e la sferzata hard in stile Survivor di “Hold on Me”. ‘Born & Raised (on Rock-n-Roll)’ è una rarità sia in LP che in CD (su eBay chiedono intorno ai venti dollari per il vinile e da 50 a 150 dollari per il compact), ma è regolarmente in vendita su Amazon Music in formato .mp3: non indispensabile, ma chi ama il suono AOR degli anni ’80 nelle sue declinazioni più pop non dovrebbe lasciarselo sfuggire.

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Amherst Records - 1987

 

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MIDNITE CITY "There Goes the Neighbourhood"

Questa band britannica non è partita con il piede giusto l’anno passato e persevera diabolicamente nell’errore di riproporre gli elementi più insulsi del melodic rock scandinavo nel proprio sound, pur correggendo saltuariamente il cocktail con dosi moderate di melodia prelevate dal songbook di Def Leppard e Danger Danger. Oltretutto, mostra un songwriting molto altalenante: “Here Comes the Party” è addirittura magistrale, anthemica e trascinante sul modello dei One Desire, ma già “Give Me Love” sprofonda nel banale svedese moderno, toccando il fondo nella soporifera “Life Ain’t Like This on the Radio” e risalendo appena la china con “We’re Gonna Make It” e “Tonight You're All I Need” . Le potenzialità ci sono, ma se i Midnite City non vogliono essere dei semplici figuranti dell’AOR faranno bene a cercarsi altre fonti di ispirazione.

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AOR Heaven - 2018

 

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DOMINOE "The Lost Radio Show"

I Dominoe esordirono nel 1988 ma la loro discografia conta appena sei album e tanti cambi di direzione musicale. Questo appena uscito ‘The Lost Radio Show’ è fatto di ben 15 canzoni che saltabeccano allegramente dai ’70 di Whitesnake, Who, Outlaws all’AOR fino al tipico rock melodico made in Germany vecchio stampo che entusiasma solo chi è nato a Lubecca o Francoforte. Ci sono cose molto buone, altre banali e altre ancora troppo tedesche, come “Dark Dogs”, buona per ritmare la scena di un film western e neppure malvagia se non l’avessero infarcita di quei tocchi di pacchianeria sonica crucca che infestano anche il class metal “No More Lies”, per non parlare di qualche refrain fesso e/o melenso che avrebbero potuto scrivere anche i loro connazionali Modern Talking (i più vecchi non possono non ricordarseli, erano quelli di “Cherie Cherie Lady”, canzone che potrebbe ambire al titolo di “brano pop più idiota di tutti i tempi”). Album con belle timbriche e ottima la resa fonica e, se scartiamo i brani afflitti dalle alchimie sonore tipicamente teutoniche di cui sopra, neppure tanto male.

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Pride & Joy Music - 2018

 

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STEVIE VANN "Stevie Vann"

Di questo unico album solo di Stevie Vann (apprezzata corista e vocal coach in USA e UK) non si può dir male ma neppure mandarlo in paradiso. Prodotto dall’ex marito Mutt Lange, il songwriting e gli arrangiamenti sono sottomessi all’esigenza di far risaltare la splendida voce di Stevie (calda, di tonalità media e con una sensuale ombra rauca): non ci sono guizzi e si vagola nel già sentito del mainstream rock radiofonico di fine anni ’80 (diciamo, fra Bryan Adams e Tom Petty). Il suono è piccante e patinato nello stesso tempo, con qualche riflesso country e frequenti derive soul; impeccabile (ovviamente) la produzione. In definitiva: riservato a chi ama le belle voci femminili.

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Silvertone Records - 1995

 

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PALACE "Binary Music"

Se tutte le band svedesi fossero come i Palace (o gli H.E.A.T, se è per questo), il melodic rock scandinavo sarebbe davvero quello scrigno pieno di meraviglie per cui tanti cercano di farlo passare. Invece, di band come questa (che poi una band, in effetti, non è) ce ne sono pochissime e risaltano particolarmente in mezzo a quelle torme di mestieranti che sfornano a ripetizione album tutti uguali (e tutti ugualmente noiosi, piatti e scontati). Questo progetto è guidato dal produttore e multistrumentista Michael Palace che, coadiuvato da Daniel Flores, ci dà con ‘Binary Music’ (secondo album dopo l’esordio del 2016) un vero e proprio masterpiece perfettamente bilanciato tra passato e presente dell’hard rock melodico: Palace guarda soprattutto agli universi sonori di Unruly Child e Steelhouse Lane miscelandoli con grande sapienza ad armonie vocali di stampo moderno (soprattutto H.E.A.T, ma nella ballad “Who’s Counting Time” c’è un refrain decisamente Nickelback), aggiungendo saltuariamente deliziose sfumature r&b e pop e confezionando un omaggio ai Queen nei loro momenti da Music Hall con “Queen of The Prom”. La produzione è raffinata, policroma e multilayered, le timbriche brillanti, il songwriting spettacolare: senza dubbio, uno degli album dell’anno appena concluso.

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Frontiers - 2018

 

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ARABIA "1001 Nights"

Gli Arabia nacquero dalle ceneri degli Scarecrow, autori di due album nei primi anni ’90. Questo loro esordio recuperava tre canzoni dal primo disco omonimo degli Scarecrow, proponendo un class metal di grana grossa che occhieggiava soprattutto i Whitesnake americani, i Blue Murder ed i loro cloni Lion e Bad Moon Rising, e magari le cose più elettriche del Sabu di metà anni ’90. Il cantante era una sorta di incrocio fra Kelly Keeling e Blackie Lawless, la resa fonica era discreta, i furtarelli alle band citate non mancavano pur non sconfinando mai nella sfacciataggine a cui ci hanno ormai abituato tante produzioni odierne, il clima si manteneva generalmente fra il party e l’anthemico. Certo non un classico, ma neppure un titolo da far scivolare nell’oblio.

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Z Records - 2001

 

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FAKE I.D. "Dreaming Ezekiel"

Risale al 1997 questo unico e ottimo album dei Fake I.D., band americana che faceva parte della scuderia MTM, dedita ad un AOR mai troppo aggressivo. Il songwriting era di classe superiore e molto vario: “Hearts Break Like Promises” era drammatica allo stesso modo del Tommy Shaw di ‘Ambition’, “Heartbreak Moon” bazzicava gli stessi territori battuti da Mark Spiro, la melodia anthemica e le chitarrone grattanti di “Tied to the Mast” ricordavano in pari misura Alias e Survivor, “Tears Don’t Put Out the Fire” (forse il top dell’album) suonava pulsante e d’atmosfera con una bella sferzata d’energia nel refrain. Da ristampare senza esitazioni.

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MTM - 1997

 

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TONY MITCHELL "Beggars Gold"

C’è tanta di quella roba in questo disco dell’ex cantante dei Kiss of Gipsy che a descrivere le canzoni una per una ci mettereste una settimana a leggere tutto… Hard rock in genere melodico, ben prodotto anche se i suoni sono un po’ opachi, vario e pieno di sorprese e innesti a volte imprevedibili. Se “Never Say Die” parla la lingua dei Little Angels in un contesto più ruvido ed heavy (ma con un refrain prelevato pari pari dalla “Desperate Dream” dei Survivor), “Blind” ha un riff AC/DC, strofe rarefatte ed un coro potente con melodie alla H.E.A.T cantate in duetto con Sue Willets dei Dante Fox, mentre la divertente “Wildside” passa dai Deep Purple agli ZZ Top con straordinaria fluidità e “Fire me Up” è un heavy rock convulso, vagamente zeppeliniano ma con un refrain anthemico da metal californiano. Il top, per me, arriva in chiusura con l’arena rock molto Kiss of Gipsy intitolato “Welcome to the Revolution”, ma ‘Beggars Gold’ è nella sua totalità un prodotto sopra la media.

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Frontiers - 2018

 

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LANCIA "Lancia"

Uscito solo in Giappone nel 1992, questo unico album dei Lancia non è precisamente una ciofeca ma neppure fa gridare al miracolo. Tutto il meglio del metal da Sunset Strip viene passato al setaccio, con particolare attenzione al class di matrice XYZ, ma il songwriting non risulta granché brillante e il cantante, Paul Lancia, si esprime con uno stile esageratamente enfatico e teatrale. Il meglio sta nei toni molto Crüe era ‘Dr. Feelgood’ di “Jimmy”, in quelli viziosi alla Love/Hate di “Poetry in Motion” e nella parafrasi XYZ in stile street rock della conclusiva “Wrecking Ball”. Tirando le somme: album dignitoso ma inguaribilmente mediocre. Le quotazioni sul mercato dell’usato sono altissime (si parte dagli ottanta dollari e non di rado si sfiorano i cento), giustificate unicamente dalla rarità tipica dei prodotti made in Japan.

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AIE Records - 1992

 

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MORANO "Incognito"

Qualunque album stiate occhieggiando alla disperata ricerca di un sound genuinamente anni ’80, incorrotto da qualsivoglia influenza moderna, lasciatelo perdere e concentratevi su questo esordio di Duane Morano, un Carneade che però vanta amicizie in alto loco, considerato che su ‘Incognito’ suonano e/o cantano personaggi come Danny Vaughn, Terry Ilous, JK Northrup, Pat Badger e Michael Foster. È un album molto elettrico, il top sta nel riffing scivoloso e molto Van Halen di “Kid Glove” (con Danny Vaughn al microfono) e in quel formidabile class metal nello stesso tempo anthemico e arioso intitolato “Sincerely Yours” (qui canta il bravo Bryan Cole), ma ‘Incognito’ è nella sua totalità un prodotto di notevole spessore, suonato e prodotto come si deve. Per acquistarlo, meglio andare sul sito di Duane a questo indirizzo: www.duanemorano.com . Saranno soldi ben spesi.

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Autoproduzione - 2019

 

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WEST BOUND "Volume 1"

Chi andava a immaginare che Roy Z, produttore di fama e leader dei Tribe of Gypsies, avesse un debole per il suono degli Whitesnake era ‘1987’? Con un cantante, Chas West, ovviamente emulo di sua maestà David Coverdale (a maggio arriva il nuovo album!), ci propone undici canzoni perfettamente in linea con il sound del serpens albus trapiantato a L.A. Il songwriting è di livello altissimo: non mi piace il refrain epicheggiante alla Saxon (orrore!) di “Never Surrender”, ma tutto il resto è veramente ottimo. Si poteva fare di più per la qualità del suono, a volte un po’ impastato, ma questo ‘Volume 1’ sarà un bel modo per ingannare l’attesa fino al 10 maggio, quando David e soci pubblicheranno ‘Flesh & Blood’.

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Frontiers- 2019

 

AORARCHIVIA

LONDON "Call that Girl"

Il ritorno di questo storico moniker (per saperne di più, potete leggere la mia recensione dell’ottimo ‘Playa del Rock’) non ci ridà integralmente la band che conoscevamo: Nadir D’Priest, Alan Krieger e i loro nuovi soci (fra cui Eric Ragno alle tastiere), escono con un album eterogeneo e camaleontico, che passa con disinvoltura dall’heavy metal puro e duro (l’esplicita “Metal Nations”, col suo ritmo da headbanging a torcicollo; “Reach Up to the Skies”, solenne, cadenzata e un po’ monotona) al classic rock (la power ballad “Next to Me”), dallo street nevrotico (il riffone rotolante di “I Am Not Afraid”) ad un melodic-glam con un’impronta decisamente Simple Minds (“Far Away” e “Please Give Me a Kiss”). Il meglio? I fiati r&b innestati su un tessuto di classico glam metal della title track, i begli impasti chitarre/tastiere di “I Fell in Love With a Rebel”, i riff geometrici ed il refrain melodico con un tocco esotico di “You Are Still the One for Me”, la conclusiva “Ayer Te Soñé Aquí”, epicheggiante, cupa e d’atmosfera. Ottima la qualità audio, ma le vocals risultano troppo invasive ed i cori rumorosi: è chiaro che la personalità straripante di Nadir ha prevalso sull’equilibrio generale del sound.

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Vamps Worldwide Vision - 2019