RECENSIONI IN BREVE

 

HARD BLUES DEPARTMENT

SHADOWQUEEN "Living Madness"

Per questo secondo album, gli Shadowqueen cambiano leggermente la formula del loro hard rock: vocals e scansioni ritmiche decisamente moderne ma un riffing che guarda spesso e volentieri agli anni ’70, con frequenti sconfinamenti nello stoner. In definitiva, una convincente miscela di classico e moderno, sempre abbastanza ruvida, su cui regna la sempre bellissima voce di Robbi Zanna: consigliato.

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Autoproduzione - 2017

 

HARD BLUES DEPARTMENT

GARY JEFFRIES "I Ain't Done Yet"

Il southern rock di Gary Jeffries (chitarrista con un passato in Alligator Stew, The Regulators, Asphalt Ballet) è modellato sui più classici standard del genere: Skynyrd, Allmann, Outlaws, mentre Georgia Satellites e Delta Rebels sembrano offrire il modello per le parti vocali sempre un po’ sopra le righe di Gary. L’originalità, insomma, non abita da queste parti, e anche se qualche canzone risulta troppo lunga o decisamente superflua, ogni scusa per fare una puntata verso il Sud del rock è bene accetta, almeno a me.

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Gator Jaws Records - 2017

 

HARD BLUES DEPARTMENT

KING KING "Exile & Grace"

Exile & Grace’ è il quarto album di studio di questa ottima band britannica e nonostante sia un eccellente prodotto discografico, mi pare un po’ meno efficace del penultimo ‘Reaching For The Light’. Il loro hard rock ha sempre i Bad Company come fondamentale punto di riferimento, ma in ‘Exile…’ sento una presenza maggiore dell’organo Hammond che in passato e qualche strizzata d’occhio ai Thunder di troppo. Bella la digressione funky e decisamente Free di “Heed The Warning” e sempre apprezzabili le loro interpretazioni del sound della band di Paul Rodgers, in tutte le sue declinazioni, eppure il livello generale mi sembra non raggiunga quello di ‘Reaching For The Light’: non ci sono filler (in ‘Reaching…’ ce n’erano un paio) ma neppure picchi strepitosi nel songwriting (che in ‘Reaching…’ abbondavano). Per chi ama il rock fascinoso dei Bad Company, i King King restano comunque una priorità.

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Manhaton Records - 2017

 

HARD BLUES DEPARTMENT

JARED JAMES NICHOLS "Black Magic"

Un autentico masterpiece di classico hard rock questo nuovo album del fenomeno della chitarra blues Jared James Nichols. Lavoro compatto, potente, policromo (le timbriche della chitarra di Jared cambiano sempre da una canzone all’altra), esalta a partire da  “The Gun”, una vera lezione su come tramutare uno slow blues in un anthem da stadio. Da un funk nerissimo (“Honey Forgive Me”) agli omaggi ai grandi (“Run” ripropone i Bad Company in chiave più ruvida, “Keep Your Light on Mama” segue le orme della “Black Dog” zeppeliniana) fino a quella festa della chitarra slide risolta in chiave southern intitolata “Home”, ‘Black Magic’ stupisce e ammalia come pochi altri lavori in ambito classic rock dell’anno appena concluso.

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Listable Records- 2017

 

HARD BLUES DEPARTMENT

RICK SPRINGFIELD "The Snake King"

Troppo lunga e articolata la carriera di Rick Springfield tra musica e cinema per pensare di ricapitolarla in poche righe, ricordiamo solo che dopo un lunghissimo black out, Rick ha ripreso a pubblicare musica nel nuovo millennio e ad appena un anno dall’ottimo ‘Rocket Science’ torna (sempre per la Frontiers) con questo ‘The Snake King’ che lo vede abbordare imprevedibilmente il blues ed il southern rock in più di un frangente. Il songwriting è sempre di grande qualità e caratterizzato in particolare negli episodi più marcatamente southern: “Little Demon” spalma i Bad Company all’arena rock su un riff zeppeliniano, la title track risulta potente ma ariosa nel suo impasto elettrico/acustico, “The Voodoo House” guarda ai Lynyrd Skynyrd con tanta slide e una grande melodia. Ma mi preme sottolineare che in quest’album sono centrali i testi, provocatori, beffardi, spietati e decisamente lontani dal politically correct, e bastano due titoli per renderne la durezza: “Jesus Was an Atheist” e “God Don’t Care”. In un modo o in un altro, Rick Springfield non smette mai di stupirci.

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Frontiers - 2018

 

HARD BLUES DEPARTMENT

TYLER MORRIS BAND "Next In Line"

Ha solo 19 anni ma è già al terzo album e suona con la sicurezza scafata di un vecchio bluesman. Questo nuovo lavoro è stato prodotto da Paul Nelson e conferma Tyler Morris come uno dei più interessanti personaggi della scena blues rock più tradizionale: l’ascolto rivela una devozione ardente verso Jimi Hendrix ma anche una notevole varietà del songwriting in cui si segnalano un paio di non imprevedibili sconfinamenti nel funk più nero. Quello che stupisce è però l’autorevolezza che Tyler dimostra nella fase solista, così ricca di inventiva e sfumature: sentiremo ancora parlare di lui.

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Vizztone - 2018

 

HARD BLUES DEPARTMENT

NEAL BLACK "Before Daylight"

Come nel caso di Mick McConnel, anche per descrivere il blues del texano Neal Black posso tracciare un parallelo con Chris Rea. Ma se la musica di Mick McConnel è cromata e solare, quella di Neal Black è più spesso notturna, stregata, inquietante. Lui canta come un Chris Rea diventato rauco e sabbioso, esprime un solismo non incendiario ma sempre vario ed accattivante e riesce a mettere in chiaroscuro perfino un brano portato a tempo di boogie come “Mama’s Baby”, eccellendo nel voodoo blues “Jesus & Johnny Walker” e nella cupezza tra il southern e la danza di guerra pellerossa di “The Peace Of Darkness”.

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Dixie Frog - 2014

 

HARD BLUES DEPARTMENT

BUCKETS REBEL HEART "20 Good Summers"

Questa band prometteva bene: Dave Colwell veniva dagli Humble Pie ed aveva militato nei Bad Company ai tempi di ‘Company of Strangers’, componendo assieme a Robert Hart gran parte del materiale di quell’ottimo album. Ovviamente, la formula scelta per questi Buckets Rebel Heart replica quella di ‘Company…’, ma in ‘20 Good Summers’ non c’è sostanza, solo maniera: le canzoni sono blande, deboli, e troppo spesso noiose e di una banalità irritante. Qualche nota lieta viene da “Whyskyland”, vagamente Black Stone Cherry, e “Customised Car”, con la sua bella sezione fiati r&b e la voce splendida di Mollie Marriott che sostituisce al microfono (solo in questa canzone) Jim Stapley, insipido emulatore di Paul Rodgers. Il fondo? “Mexican Sun (El Diablo)”, in cui Colwell pare indeciso se fare il verso a Carlos Santana o Gary Moore, riuscendo alla fine solo languido e svenevole.

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Pride & Joy - 2018

 

HARD BLUES DEPARTMENT

TOM KILLNER "Get Back Up"

Ad appena 22 anni, il chitarrista britannico (di Rotherham nello Yorkshire, per l’esattezza) Tom Killner vanta già una discografia di tre album (prima del presente lavoro, ci sono stati un disco di studio e un live) che lo colloca fra i più promettenti seguaci della musica del diavolo spuntati dalle isole di Albione. 'Get Back Up' convince con la sua miscela di blues e rock classico che guarda di volta in volta a Joe Bonamassa ('Working Man', drammatica e potente; lo slow blues carezzato da un languido pianoforte 'So Long'), la Allman Brothers Band ('Colibri' è uno strumentale che fonde jazz e classic rock in maniera divina), i Black Crowes ed i grandi numi del southern (la title track ha un tempo boogie ma sale solenne e intensa nel refrain, 'Get Out Of Here' è una ballad incantata) e inietta robuste dosi di funk nei riff di 'Devil Woman' (acida e Hendrixiana) e 'When Love Comes For You' (questa, per la verità, quasi una cover energizzata del classico Palace of The King). Tom Killner è già più di una promessa e 'Get Back Up' potrebbe rappresentare la sua consacrazione.

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Of The Edge - 2018

 

HARD BLUES DEPARTMENT

RON KEEL BAND "Fight Like a Band"

Ron Keel prosegue benissimo lungo la strada tracciata da ‘Metal Cowboy’, proponendo in questo nuovo album soprattutto un hard southern modellato sulla scia dei gruppi che praticavano il genere alla fine dei Big 80s, come Tangier, Soul Kitchen, Dillinger. Tre canzoni sono dedicate al metal melodico yankee, soprattutto a quello di stampo Y&T, “Tears of Fire” è una power ballad in stile AOR hard edged di bella fattura, tutto il resto, cone annotato, è ambientato nel Sud degli States. Almeno due canzoni da ricordare, “Old School” e “Hey Man”, fatte di chiaroscuri molto Skynyrd, ma tutto ‘Fight Like a Band’ è notevole e degno di attenzione.

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EMP - 2019

 

HARD BLUES DEPARTMENT

DIANE & THE DEDUCTIBLES "Two"

Interessante il secondo album di questa band dal nome assurdo (Diane e i deducibili? Boh…) che vede alla chitarra una nostra vecchia conoscenza, l’ex Hurricane Robert Sarzo: è fatto di un rock blues variegato e raramente brusco, anzi spesso piuttosto sbilanciato verso il pop o l’r&b, ma con alcune vigorose sterzate hard rock (“Breaking The Chain” è uno slow hard blues con qualche lieve traccia di metal californiano, “Frontline” parla la lingua dei Deep Purple in versione più melodica, “What A Feeling” ha linee vocali sofisticate su un ordito molto hard ’70). Il top lo sento in “Light of The Moon”, con le sue vocals suadenti e r&b su un tappeto di percussioni e chitarre che disegnano arabeschi nello stile dei Broken Voices. Molto bella la calda voce di contralto di Diane Adams.

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Draia Productions - 2019

 

HARD BLUES DEPARTMENT

TULLIE BRAE "Revelation"

Nitida e potente, la voce di Tuttlie Brae, anche se a volte diventa un pelo troppo teatrale: comunque, sempre molto efficace nel contesto del rock blues che la sua backing band le offre. Eccelle soprattutto nei tempi lenti – ‘Watch Her Move’ (sexy, ipnotica e notturna), ‘Price of the Blues’ (insinuante e decisamente elettrica), ‘Mississippi Rain’ (molto soul) – ma si disimpegna alla grande anche nei tempi rapidi, come ‘Break These Chains’, con le sue belle chitarrone secche e sporche, cadenzata e ruvida, o nel voodoo inquietante intitolato ‘Devil in Deville’. Fuori contesto e fuori luogo la ballatona sentimentale ‘Thank You Mom’, che chiude l’album con una sezione d’archi dolente e lacrimosa: ma ‘Revelation’ resta comunque, nel suo complesso, un buonissimo album.

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Autoproduzione - 2019

 

HARD BLUES DEPARTMENT

BIG RIVER "Redemption"

Pompatissimi dalla stampa locale, gli inglesi Big River esordiscono con un album oggettivamente buono. Il sound è quello che ci aspettiamo da una band britannica, le canzoni campionano l’hard inglese più classico, qui spuntano i Led Zeppelin, là i Bad Company, e poi Whitesnake, Kiss of Gipsy, Thunder… C’è qualche vaga (molto vaga) tentazione modern in un paio di canzoni mentre “Blackened Rain” è un hard metallico segnato da chitarre taglienti ed agili che potrebbe venire dal songbook dei Lynch Mob. Il top? Forse “Devil’s Whiskey”, un mid tempo pesante quanto basta, con una bella voce femminile che doppia le vocals nel coro. Difetti? In qualche frangente il ritornello delle canzoni viene ripetuto con troppa insistenza: peccato veniale di un album comunque molto buono.

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Trouserphonic - 2019

 

HARD BLUES DEPARTMENT

SONS OF LIBERTY "Animism"

Questa band inglese pratica un southern rock heavy ed elettrico: non quell’ibrido denominato “southern metal” che in realtà del southern conserva quasi nulla, ma piuttosto un hard rock sudista che prende le mosse (in prevalenza) da act già heavy come Pride & Glory e Blackfoot, oppure affronta i pilastri del genere (Skynyrd, Outlaws, Georgia Satellites) proiettando quel sound in una dimensione a volte più britannica che americana (“Start It Up” richiama i Black Sabbath dei ’70, e anche “It’s My Bad” e “Deep Down Crazy” affrontano – senza distinzione – i soliti temi dell’hard rock classico), con il meglio nella malinconia elettroacustica molto Outlaws di “Into The Great Unknown”. ‘Animism’ è un album discreto, che chi ama il southern suonato ad alto volume potrebbe trovare interessante.

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Roulette Records - 2019

 

HARD BLUES DEPARTMENT

PRIMAL GIANTS "Untethered"

Sbaglia chi pensa che il ruolo delle etichette discografiche sia ormai superfluo. Non basta incidere e mettere in vendita gli .mp3 sui soliti siti, come hanno fatto i Primal Giants: il livello di promozione che può dare Facebook è poca cosa (hanno meno di mille like) e oltre che suonare dal vivo, questa band non dispone di altro per farsi conoscere, confinando ‘Untethered’ a delizia per pochi. Se avessero il supporto di una label, forse i Primal Giants verrebbero riconosciuti come quegli splendidi interpreti del southern rock che sono. Lynyrd Skynyrd, Outlaws e Allman (nell’ordine) sono i punti di riferimento e il cocktail sonoro che ci serve la band nelle dodici canzoni di ‘Untethered’ è davvero di primissima qualità. Il top? Difficile individuarlo in mezzo a tutto questo ben di Dio, ma ‘Queen Bee’, così lenta, pesante, misteriosa, figlia degli Skynyrd era ‘The Last Rebel’ è davvero superlativa. Se amate il southern, ‘Untethered’ è un album imperdibile.

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Autoproduzione - 2020

 

HARD BLUES DEPARTMENT

ERIC JOHANSON "Below Sea Level"

Non è facile per un chitarrista che voglia operare in ambito blues rock farsi notare in mezzo alla marea di colleghi impegnati a esplorare i medesimi territori. Eric Johanson (americano, nonostante il nome scandinavo) ci riesce – almeno fino ad un certo punto – condendo la consueta mescola di blues e rock con una buona dose di groove. “Buried Above Ground” oscilla piacevolmente fra l’ipnotico e il danzereccio, “Down to the Bottom” aggiorna al moderno gli ZZ Top, “Never Tomorrow” aggiunge pennellate funk. Il resto è più convenzionale ma nient’affatto spiacevole, con il top nelle atmosfere nello stesso tempo minacciose e incantate del voodoo blues “River of Oblivion”.

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Nola Blue - 2020

 

HARD BLUES DEPARTMENT

KING KING "Maverick"

Nessuna novità di rilievo in questo nuovo album dei King King  rispetto all’ultimo ‘Exile & Grace’. I Bad Company restano sempre il primo punto di riferimento per Alan Nimmo e soci, con qualche occasionale (fortunatamente) tentazione Thunder. Qui c’è forse qualche elemento funky in più (particolarmente in “I Will Not Fall”, “One World” e “End of the Line”), mentre “Dance Together”, svelta e divertente, ricorda gli FM più soul e “When My Winter Comes” è una ballatona tutta voce e pianoforte di cui si poteva fare tranquillamente a meno. Il top? “Never Give In”, che possiede tutto il calore, la spavalderia crepuscolare e la drammaticità da film western che associamo alle cose più suggestive della band di Paul Rodgers.

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Channel 9 Music - 2020

 

HARD BLUES DEPARTMENT

BETH HART "A Tribute To Led Zeppelin"

Mettiamo da parte ogni (ragionevole) dubbio sull’opportunità di registrare un ennesimo tributo ai Led Zeppelin, e concentriamoci sul contenuto di questo, recentissimo, dovuto a Beth Hart. Gli arrangiamenti sono magnifici, con una decisa enfasi orchestrale che però non snatura l’anima di canzoni nate in maggioranza molto elettriche. Qualche problema potrebbe sorgere dalla vocalità di chi si è messa al microfono. La voce di Beth Hart non è più quella che sfoggiava su ‘Immortal’ (per saperne di più, seguite il link): il tempo e (soprattutto) gli stravizi l’hanno resa scabra e brusca, violenta più che aggressiva, per non parlare di quel vibrato che Beth insiste a modulare con irragionevole pervicacia ed è assimilabile al suono di un trapano che tenti di bucare un qualche materiale vetroso e molto resistente. Quando cerca di moderare i toni, la voce di Beth diventa legnosa e monotona, e non c’è da stupirsene: a furia di urlare come un'ossessa, ha perso capacità espressiva, non è più in grado di esibire altro che un furore belluino e dar prova di possedere (nonostante il tempo e i suaccennati stravizi) delle tonsille d’acciaio. E allora, se le voci femminili furibonde vi stanno bene e la musica dei Led Zeppelin la gradite in tutte le salse, questo album fa indubbiamente per voi. Gli altri possono passare oltre senza rimpianti.

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Provogue Records - 2022

 

HARD BLUES DEPARTMENT

THE STONE ELECTRIC "The Stone Electric"

I patiti del retro rock si troveranno certamente a proprio agio con i Stone Electric. Un bel po’ di primissimi Led Zeppelin, una buona dose di Hendrix, qualche spruzzo di Rolling Stones qua e là e il gioco è fatto. Il solito gioco, che a mio modesto e sempre fallibile parere si gioca da troppo tempo e non serve a niente e a nessuno. Queste nove canzoni non le possiamo assimilare a cover sotto falso nome, eppure tutto quanto c’è dentro l’abbiamo sentito già, e tante di quelle volte che mi chiedo come anche un nostalgico a forza nove possa apprezzarle senza chiedersi per quale motivo dovrebbe investire denaro nell’acquisto di ‘The Stone Electric’ quando potrebbe benissimo ascoltare le fonti originali che senza dubbio possiede già. Non parliamo poi del patetico look della band, nelle fotografie tutta impupazzata alla moda degli anni ’70 (per essere precisi: alla versione kitch di quella moda, codificata e resa popolare alla fine del decennio successivo dai Black Crowes), tanto per dichiarare anche visivamente la devozione ad un epoca che non è più e gli Stone Electric – come chiunque pratichi il retro rock – mai potrà resuscitare, semplicemente perché nella musica sono successe tante di quelle cose negli ultimi cinquant’anni che provare a rimandare indietro le lancette facendo finta di essere ancora nel 1972 o giù di lì è non solo futile ma del tutto ridicolo.

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Lions Pride Music - 2022

 

HARD BLUES DEPARTMENT

LONERIDER "Sundown"

Il fine dichiarato di questa band che vede riuniti Steve Overland, Steve Morris e Simon Kirke è produrre un hard rock di matrice Bad Company. Considerato che FM e Shadowman a quella matrice sono sempre stati fedeli, si potrebbe immaginare che la missione non sia costata gran fatica, anche per l’autorevole presenza di un membro di quella stessa band (Simon Kirke, appunto) dietro i tamburi. Quanto poco il batterista abbia però contato nel songwriting dei Bad Company lo sappiamo tutti. E allora, questo disco (secondo della band) finisce per suonare più che altro come una raccolta di outtakes degli FM, anche se bisogna riconoscere che ogni tanto la clonazione riesce abbastanza bene (in “Cross The Border” e “Harder Love”, ad esempio) e senza ridicolaggini filologiche. Steve Overland funziona bene come controfigura di Paul Rodgers e, insomma, se non avete troppe pretese in fatto di originalità e qualità assoluta nel songwriting, se amate i Bad Company e gli FM vi stanno perlomeno simpatici, ‘Sundown’ non vi deluderà.

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Escape - 2022

 

HARD BLUES DEPARTMENT

ANN WILSON "Fierce Bliss"

La più bella voce rock femminile di tutti i tempi torna con un album notevole, in cui stavolta le cover si alternano a splendidi brani originali. Alle chitarre troviamo il produttore Tom Bukovac e due personalità dello strumento: Warren Haynes e Kenny Wayne Shepherd. Haynes compone due canzoni – “Gladiator” e “Angel’s Blues” – che parlano (ovviamente) la lingua dei Gov’t Mule, Kenny Wayne Shepherd si mette al servizio di una superba cover di “Bridge of Sighs”. E poi, le atmosfere misteriose e incantate di “Black Wing”, che parte morbida diventando sempre più elettrica e zeppeliniana, l’atmospheric power (ma non in senso AOR) della splendida “Fighten for Life”, la cover irruvidita della “Missionary Man” che fu un hit dei Eurythmics, i chiaroscuri di “Forget Her”, il crescendo arioso attraverso le atmosfere elettroacustiche alla ‘Jupiter Darling’ della conclusiva “As the World Turns”. ‘Fierce Bliss’ è dunque un album di sostanza, che non vale solo per la voce sempre magistrale di Ann.

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Silver Lining Music - 2022

 

HARD BLUES DEPARTMENT

ANTHONY GOMES "High Voltage Blues"

Per festeggiare il nuovo contratto discografico, Anthony Gomes mette assieme una sorta di compilation dei suoi brani più rock, reincidendoli in una chiave decisamente hard rock, con il plus di tre canzoni inedite. Niente di trascendentale, anche perché Gomes resta rigorosamente nell’ortodossia del genere e non è tentato neppure lontanamente dal moderno, ma ‘High Voltage Blues’ è comunque una buona scusa per fare l'ennesimo tuffo nell’hard rock più classico. Mi piacciono soprattutto le due track sfumate di southern (“Painted Horse” e “Red Handed Blues”), “Born to Ride” con le suo ombre Bad Company e quella “Blueschild” che prende i Rainbow e li infarcisce di blues, ma tutto l'album non deluderà gli aficionados di un suono che imperterrito resiste ad ogni tentativo mandarlo in pensione.

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Rat Pack Records - 2022

 

HARD BLUES DEPARTMENT

MONA LIZA OVERDRIVE "Vive La Ka Bum"

Dietro questo moniker si nascondeva il chitarrista e cantante tedesco Stefan Klein, e da quel che so ‘Vive la Ka Bum’ è la sua unica testimonianza discografica, registrata con il sostegno di alcune stelle dell’hard rock britannico (Neil Murray, Brian Robertson, Don Airey, Dzal Martin). Niente da dire riguardo la musica, Klein (oppure Brian Robertson e Dzal Martin?) si inventa bei riff e le canzoni svariano efficacemente tra AC/DC, Whitesnake, Bon Jovi, Bryan Adams, e sempre esibendo belle timbriche e una produzione asciutta e precisa. Quello che in genere non funziona sono le vocals: Klein come cantante non faceva faville ma il problema vero stava nella sua tendenza (tipicamente germanica) a inventarsi linee melodiche che troppo spesso erano melense o sceme tout court. Con un cantato meno buffonesco, ‘Vive la Ka Bum’ sarebbe stato un disco veramente buono: così com’è, sarà piaciuto più che altro a chi abita tra Brema e Monaco di Baviera.

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Vertigo - 1989

 

HARD BLUES DEPARTMENT

IVY GOLD "Broken Silence"

Il retro rock degli Ivy Gold funziona abbastanza bene, ha piacevoli sfumature blues e funky, belle timbriche, produzione efficace, il songwriting è di discreta caratura, però la vocalità della cantante Manou… A volte risulta troppo teatrale, la pronuncia dell’inglese non si può qualificare come “impeccabile” e la timbrica stessa della sua voce risulta anonima. Comunque, se la musica vi basta e alla voce che ci canta sopra non chiedete troppo, ‘Broken Silence’ non vi deluderà.

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A1 Records / Golden Ivy Records - 2023

 

HARD BLUES DEPARTMENT

MIKE ROSS "Third Eye Open"

Zeppeliniano fino al midollo questo nuovo album di Mike Ross, chitarrista britannico capace di rileggere quel suono con buona efficacia, contaminandolo in più di un frangente di blues, southern o prog. Difetti? Spesso le canzoni sono inutilmente lunghe, a volte un po’ confuse (pasticciate, per essere più precisi), in un paio di casi rumorose. Ma il livello del materiale è comunque più che buono, scansa qualunque tentazione filologica ed è ben prodotto. Se i Led Zeppelin sono il vostro pane quotidiano, date una chance a ‘Third Eye Open’.

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Taller Records - 2023

 

HARD BLUES DEPARTMENT

GHOST HOUNDS "First Last Time"

Dei Ghost Hounds già vi raccontai l’eccellente esordio, ‘Roses Are Black’ (seguite il link se non ricordate), questo ‘First Last Time’ (quarto album dei Nostri) vira felicemente verso il southern, quello di Lynyrd Skynyrd, Outlaws ma non solo (“Dirty Angel” e “Make It Shake” sembrano uscite dalla penna dei Tattoo Rodeo, le fascinose tinte country di “Here No More” rimandano alla Marshall Tucker Band), per trentaquattro minuti di chitarre dal suono polveroso, pianoforte e organo Hammond, cori femminili e tanto soul nelle vocals del singer Tré Nation. Insomma, se amate il southern rock, correte a prendere questo disco.

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Gibson Records - 2023

 

HARD BLUES DEPARTMENT

FRAMING THE RED "Three To Get Ready"

Giunti al traguardo del quarto album, i Framing The Red non cambiano formula, alternando un southern molto elettrico al più classico hard rock, anche se un certo feeling moderno si sente soprattutto nell’impostazione vocale del singer Jordan Newman. Ottime “Dixie” e “Party Song”, dove i Nostri si configurano come degli Skynyrd moderni, “Junkyard Romeo” è un boogie rovente, lento e ruvido, “Red Flags” proietta gli AC/DC nel southern, “Bonnie & Clyde” sarebbe adatta a ritmare le scene di un film western, “The Change” strizza l’occhio ai Black Crowes. Fuori dal sud degli States si collocano “Bullets”, col suo bel riff sinuoso, “Rockin’ Into The Night” e “Smoke”, mentre “Shine” è l’unica concessione ai trend rock contemporanei. Chi ama il southern in versione hard rock, può affidarsi ai Framing The Red a occhi chiusi.

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Old Trace Records - 2024