NOSTALGIE VINILICHE
A volte ritornano… Questo titolo di un racconto di Stephen King si potrebbe usare come slogan per definire in poche parole la situazione attuale del disco di vinile sul mercato dei supporti audio. Era dato per morto, invece è di nuovo fra noi, apparentemente vivo e vitale. Ma perché? Ci sono dei buoni motivi per il prepotente ritorno alla ribalta dell’LP? L’agonia del disco analogico cominciò nei tardi anni ’80. In Giappone, si smise di stampare vinile fin dal 1988. Negli Stati Uniti, il primo settore dell’industria discografica ad escludere il vinile dalle proprie strategie commerciali fu (sembrerà strano) quello della musica country: assodato che le vendite passavano quasi interamente sulle cassette analogiche (in prevalenza) e sui CD, l’LP venne epurato dai cataloghi. Dopo pochi anni, i dischi di vinile divennero una rara avis, e a metà degli anni ’90 sopravviveva una minima produzione fatta a beneficio quasi soltanto di DJ e rappers. L’industria aveva indubbiamente accelerato i tempi del passaggio di consegne con il nuovo supporto digitale, dato che in Europa il vinile si vendeva ancora bene quando le majors decisero (con quello che si può ben definire un atto d’imperio) di smettere di produrlo (assieme alle cassette musicali) per concentrare tutto sul CD. I tentativi di lanciare sul mercato nuovi supporti (il DAT, le cassette digitali, il mini-disc, i DVD-Audio) sono stati dei fallimenti totali, e pareva che il Compact Disc fosse destinato a perdurare come unico supporto fonografico per un tempo valutabile in parecchie generazioni. Ma sappiamo tutti cosa è accaduto. Il web ha scombinato le carte, la musica ormai non ha più bisogno di supporti, si muove libera in forma di file audio. Anche troppo libera, per la verità. È riuscita ad affrancarsi perfino dal vile denaro. Oggi, più che altro, la musica si regala, semplicemente perché sono pochissimi quelli disposti a pagarla, dato che si può con la massima facilità e senza praticamente correre alcun rischio, ottenerla gratis. Bisognava trovare un sistema per indurre la gente ad aprire di nuovo il portafogli per averla e qualcuno ha avuto l’idea di rimettere in gioco il vinile, puntando da una parte sulla nostalgia, dall’altra su una presunta superiore qualità audio che l’LP a 33 giri avrebbe sul Compact Disc. La nostalgia, come qualunque sentimento, non si discute. Se uno vuole comprare i dischi di vinile per una questione affettiva, padronissimo di farlo. Ma la faccenda della qualità audio merita un approfondimento che il sottoscritto può corroborare con la propria non indifferente esperienza, dato che di vinili ne possiede in quantità e da molto, molto tempo.
È vero che un disco di vinile (stampato come Dio comanda, of course) ha una qualità audio potenzialmente superiore a quella di un CD. Ma quell’avverbio sta in corsivo per diversi buoni motivi, che andrò ad elencare in ordine d’importanza. Il disco di vinile si degrada molto, molto più in fretta di un CD. Un Compact Disc vi dura una vita, un LP terribilmente meno. Potete tenerlo pulito con attenzione certosina, irrorarlo di tutti gli spray antistatici che vi pare, ma il continuo sfregamento della puntina sui solchi peggiorerà via via la qualità del suono. Quanto in fretta? Pensate che gli audiofili di una volta si equipaggiavano di registratori a bobine a due piste che usavano per registrare il contenuto dei dischi sul nastro magnetico: non ascoltavano il disco, ma il nastro, almeno finche anche questo non si degradava: a quel punto, si acquistava una nuova bobina, si metteva di nuovo il disco sul piatto e si registrava da capo sul nastro. E tutta la procedura aveva l’unico scopo di evitare il rapido degrado dell’LP. Senza arrivare a questi estremi di audiofilia un pelo maniacale, è comunque certo che bastano poche decine di ascolti per avere un aumento del rumore (in genere sotto forma di fruscio) a livelli apprezzabili. Per poter sfruttare la qualità audio che un LP sarebbe in grado di dare al suo possessore occorre un impianto stereo di classe elevatissima. Chi si è comprato uno di quei compatti da sessanta euro o giù di lì con giradischi, lettore CD e radio pensando che il gingillo gli avrebbe fornito una resa fonica superiore solo per il fatto di poter suonare i dischi di vinile avrà avuto una brutta sorpresa la prima volta che ha piazzato la puntina sui solchi di un 33 giri. Alla fine degli anni ’80, per mettere assieme un impianto stereo di qualità occorrevano milioni e milioni di lire. Il solo terzetto giradischi/braccio/testina poteva costare una cifra che partiva da un paio di milioni per arrivare anche a dieci o più, e parliamo di componenti di qualità buona ma non eccezionale (per questi, semplicemente un limite di prezzo non c’era). Ma quanti potevano (possono) pagare tanto per un impianto stereo? Il bello del CD in confronto al vinile stava proprio nel fatto che dava una qualità audio elevatissima a prezzi ragionevoli. Non era necessario vendersi la macchina per disporre di un impianto stereo che consentisse una riproduzione di altissima qualità. Che poi l’LP desse – in potenza – una qualità ancora superiore era, per i comuni mortali, un fatto quasi accademico. Questa qualità erano pochi fortunati a poterla tirare fuori dal disco di vinile, considerato l’investimento occorrente per sfruttarla. La miglior resa fonica, il suono più “caldo” dell’LP nasceva anche dal fatto che fin quasi alla fine degli anni ’80 e ancora per un certo tempo nei primi ’90, la musica veniva registrata negli studi prevalentemente usando macchine analogiche. Sull’LP la musica non doveva venire campionata in forma numerica e poi riconvertita in un segnale analogico in output, come avviene nel CD: c’era una sola, fluida linea di segnale analogico. Ma oggi la musica si registra esclusivamente in digitale. Quindi, i segnali sono già campionati all’origine e devono essere convertiti in analogico per ottenere i master degli LP! Come questo giro tortuoso e cervellotico riesca a dare un suono più caldo rispetto al CD, nessuno è stato in grado di spiegarmelo.
Quando cominciai ad acquistare musica, i CD erano appena usciti sul mercato (era il 1982), ed avevano un costo tale (sia i dischi che i lettori) che per anni i nuovi supporti rimasero confinati al mercato degli audiofili più all’avanguardia. Per diverso tempo, trovare gli album in Compact Disc fu tutt’altro che facile, dato che etichette e distributori preferenziavano la stampa degli LP. Ricordo che ancora nel 1988, i maggiori negozi di dischi della mia città trattavano in prevalenza il vinile, mentre i CD rimanevano un optional non sempre disponibile per consumatori dal portafogli a soffietto (un LP singolo costava da 13.000 a 15.000 lire, un CD da 22.000 a 25.000 lire). Nel giro di tre o quattro anni la situazione si ribaltò completamente, gli LP sparirono quasi del tutto ed il Compact Disc rimase unico padrone del mercato. Non solo non ho pianto lacrime per questa scomparsa, ma ho sempre cercato – quando potevo – di liberarmi degli LP per avere le versioni su CD dei miei album prediletti. Non disponendo di un impianto stereo allestito con quei componenti che una volta si definivano “esoterici”, il CD mi dà una qualità audio decisamente superiore all’LP per ricchezza e pulizia del suono. Per non parlare della durata e della comodità di maneggio e gestione del dischetto ottico. Nell’anno di poca grazia 2013, non provo alcuna nostalgia per i dischi di vinile, sopratutto perché ne ho sempre una bella catasta, e spesso sono costretto a metterli sul piatto per ascoltare qualcosa che non ho su CD, un ascolto generalmente condito di maledizioni per via dei fruscii, delle distorsioni, per la rottura di dovermi alzare per spostare fisicamente la testina se voglio saltare una canzone e quando debbo voltare lato, sempre tenendo sotto mano la spazzola in fibra di carbonio per pulire (per quanto è possibile) il disco dalla polvere.
Se consideriamo poi quanto sia scaduto il concetto di “hi fi”, quanto poco freghi al consumatore medio della qualità audio, lo sconcerto per questo rinnovato interesse verso il vinile aumenta ulteriormente. Nell’epoca della Maligna Trinità (per i dettagli andate al pezzo sulla Loudness War), il risorgere dell’LP ha veramente qualcosa di grottesco. Le cifre di questo mercato sono ormai troppo alte per supporre un interesse esclusivo per il vinile solo da parte degli audiofili, le cui fila si sono oltretutto molto assottigliate nel tempo. Con un impianto da (diciamo) un migliaio di euro (ma quanti, oggi, spendono una cifra del genere per uno stereo?) non c’è verso di ottenere dall’LP un suono migliore rispetto al CD. Perfino gli .mp3 campionati a 320kbps suonano meglio sugli impianti economici!
E allora: datemi pure del maligno, ma credo che questa resurrezione abilmente pilotata dall’industria abbia avuto successo per ragioni del tutto extramusicali. Il vinile permette di darsi delle arie da fine conoscitore, chi compra l’LP lo fa per snobismo, per spocchia, per darsi un tono. Mi immagino i novelli proseliti del 33 giri uscire dal negozio ostentando bene la busta con il piattone di vinile sperando di imbattersi in conoscenti da stupire, i loro discorsi sulla qualità audio dell’analogico in confronto al CD, i sorrisetti di superiorità diretti agli squallidi tamarri con l’iPod in tasca…
La domanda che sorge, inevitabile, è: quale sarà il prossimo? Quale supporto obsoleto verrà riesumato dalle label disperate e ormai quasi in miseria per cercare di far cassa? Le cassette analogiche? I cassettoni Stereo8? E perché non i dischi a 16 giri? O magari i rulli di cera, da riprodurre con i fonografi a tromba che si caricavano con la manovella? Potrebbero diventare l’ultima frontiera della nostalgia… Perfino se si verificasse quest’ultima eventualità, potete scommettere che qualcuno giurerebbe e spergiurerebbe sulla superiore “esperienza d’ascolto” garantita dal fonografo di Edison, apparecchio che ha anche il vantaggio di non richiedere alimentazione elettrica, in questi tempi di crisi è un plus non da poco, e poi c’è il fascino del supporto vintage che più vintage non si può, sarà una nuova invasione, forse tra un po’ si potrà acquistare l’ultimo disco dei Graveyard o dei Wolfmother su LP, CD e rullo di cera, e per la musica di queste band, forse il rullo di cera è proprio il supporto più adeguato: i poveri ingegneri del suono che le assistono durante le incisioni non saranno più costretti ad aggiungere artificialmente il fruscio, a cercare di riprodurre le timbriche sgradevoli e limacciose di tanta musica dei ’70, gli basterà affidarsi al supporto per avere tutti i fruscii, le distorsioni e la patina di vecchio su cui le band succitate basano il novanta per cento del loro appeal. I remastering non avranno più l’obiettivo di aumentare la resa fonica ma di ridurla a livelli quanto più infimi possibile, già vedo schiere di recensori – prezzolati dalle majors o semplicemente idioti – magnificare il suono rugginoso del rullo e dichiararlo il non plus ultra del godimento sonico, prepariamoci allo spettacolo di gente che se ne andrà in giro con fonografi portatili sotto il braccio al posto dell’iPod, mezza testa sprofondata nella tromba mentre il rullo gira suonando le ultime canzoni dell’ultima retro rock band alla moda…
Mettendo da parte i lazzi acidi, non posso comunque non sottolineare un effetto positivo di questa resurrezione a base di nostalgia e/o snobismo: c’è di nuovo gente che la musica la paga. Dunque, le labels stanno riprendendo ad incassare soldi che – si spera – verranno investiti in nuove produzioni discografiche, e gli artisti vedono di nuovo qualche spicciolo a compensazione delle loro fatiche. Sarà una goccia nel mare, ma è meglio che niente. Se poi questa nuova moda riportasse il volume e la dinamica dei CD a livelli umani per dare una sensazione d’ascolto stile LP (per approfondire, rimando ancora al pezzo sulla Loudness War), non potremmo che tenerci cari nostalgici e snob ed augurargli di godersi i loro piattoni di vinile per i prossimi cento anni.
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