IL NATALE PERMANENTE
Il criptico titolo di questo scritto fa riferimento al clima che si respira durante l’ultima settimana di dicembre, quando, come si suol dire, “siamo tutti più buoni”. Ebbene: da tempo ho l’impressione che, quando si mette all’ascolto di un nuovo album, sul recensore musicale cali lo spirito natalizio anche ad agosto. Soprattutto nel nostro genere, non dico le stroncature, ma anche le recensioni meno che benevole sono diventate una rara avis. Possibile che tutto quello che esce sia superbo, divino, incomparabile, magnifico eccetera eccetera? Che nessuno pubblichi più album inutili, noiosi, sciatti, ridondanti, o brutti tout court? Chi mi legge d’abitudine, sa già che non lo credo, ma pare che io sia rimasto uno degli ultimi ad essere di questo parere. Dovunque – ma nel web in particolare – non si legge altro che recensioni più che positive, entusiastiche. Perché accade tutto questo? Per comprenderlo, dobbiamo penetrare a fondo nella psicologia del recensore…
I recensori potremmo suddividerli in tante, variopinte categorie, anche se quelle che contano davvero – potrebbe sostenere qualcuno – sono infine soltanto due: una riunisce i recensori competenti, l’altra quelli incompetenti. Fosse così semplice… Una categorizzazione che, dopo anni di osservazione accurata, mi sembra comporti una notevole differenza fra i giudizi riguarda la collocazione del recensore: ci sono quelli che scrivono per la carta stampata (leggi: riviste) e quelli che sono confinati al web. Ora, anche se tutti insistono a ripetere che la carta stampata, più che agonizzante, è morta, far parte della redazione di una rivista “vera” costituisce sempre e comunque motivo di orgoglio (non una fonte di guadagno, ma questa è un’altra storia): dopotutto, il web è gratis, mentre la rivista devi andare all’edicola e mettere mano al portafogli se vuoi leggerla, e il pensiero che qualcuno sia disposto a pagare in moneta sonante per conoscere le nostre opinioni su un disco o un artista non può non renderci almeno un po’ fieri. Chi, come il sottoscritto, opera su entrambi i fronti potrebbe trovarsi (più o meno inconsciamente) a dedicarsi con più attenzione a quanto dovrà essere stampato rispetto a quello che verrà affidato per la diffusione ad un sito web: cosa in sé non molto logica, dato che una rivista ha una vita media di un mese o due, mentre la pagina web sta lì fin quando pagheremo il server che la ospita, ma i miti sono duri a morire. E poi, venire pubblicati su una rivista dà senza dubbio agli occhi del pubblico una patente di competenza. Il web-recensore, dunque, tende in genere a soffrire di complessi di inferiorità nei confronti dei colleghi che hanno l’onore di apporre la propria firma sulle riviste cartacee ed è interessante il modo in cui questi complessi influenzano i suoi giudizi. Il web-recensore tipico, solitamente, è molto benevolo anche nei confronti di band infime: non solo non si produce mai in stroncature, ma trasforma in capolavoro epocale qualunque schifezza gli venga sottoposta. Se deve recensire una band dal buon pedigree o addirittura un gruppo “storico”, si esprime sempre su toni fra l’elegiaco ed il reverente, come se il fatto che la band X sia attiva da trent’anni, oppure abbia pubblicato (magari vent’anni fa) un album considerato se non un capo d’opera perlomeno un mezzo classico, promuova automaticamente nell’empireo qualunque cosa esca sotto quel determinato moniker. Insomma, il web-recensore tipico lo riconoscete dal tono uniformemente entusiastico che usa per recensire ogni album che gli capiti fra le mani: per lui, tutto è bellissimo, fantastico, eccezionale, magnifico, eccetera eccetera. E questo, mi sembra, non tanto perché sia incompetente o inesperto, ma per – diciamo così – “legittimarsi” agli occhi del pubblico: evidentemente, a suo giudizio una stroncatura o un parere anche solo blandamente negativo non convincerebbe i suoi lettori a prenderlo sul serio. E dato che ogni band, anche la più inetta, può contare su qualche individuo sordo e/o rimbambito che se non la idolatra perlomeno l’apprezza, ad incensare si va sempre e comunque sul sicuro, non c’è mai (nella mente del web-recensore, almeno) la possibilità di sbagliare o, peggio, di inimicarsi qualche lettore offeso dal voto basso rimediato dai propri beniamini. Di questa forma mentis, il web-recensore promosso dal caso o dalla fortuna alla carta stampata raramente riesce a liberarsi. Gli viene assegnato dal direttore o dal capo redattore un album e lui, anche se magari lo trova schifoso, non riesce a dire quello che realmente ne pensa: se me l’hanno dato da recensire, penserà, qualcosa, almeno qualcosa, di buono ci sarà, e forse è colpa mia se non riesco a sentirla. Se poi l’album è pubblicato da una label che figura tra gli inserzionisti regolari della rivista, il nostro povero neo gazzettiere avrà una paura maledetta di far incazzare l’inserzionista e inimicarsi il direttore, venendo escluso seduta stante dalla redazione in cui ha tanto penato per entrare. Capita spesso che, al principio della carriera, al neo gazzettiere vengano rifilati solo album di band minori, perché la roba buona e/o interessante il capo redattore la riserva d’abitudine ai suoi fedelissimi: in questo caso, la recensione superlativa diventerà un modo per distinguersi e spiccare in qualche maniera. Insomma, nel mondo del web-recensore è sempre tutto bello, mirabile, incantevole: il suo corredo di aggettivi è fornitissimo di superlativi assoluti. Anche le più immonde porcherie, le più invereconde scopiazzature le ritiene degne se non di venerazione, quanto meno di ammirazione. Di fronte alle band con una lunga discografia più che inchinarsi, si prostra.
Quale può essere l’attendibilità di un soggetto simile? Possiamo assimilarlo all’orologio fermo, che due volte al giorno segnerà infallibilmente l’ora giusta. Gli date da recensire cento dischi, lui li qualificherà come cento capolavori e la possibilità che almeno uno lo sia davvero non è del tutto peregrina… Ovviamente la benevolenza, in sé, non è un male, ma diventa perniciosa quando assurge a regola, finendo per azzerare qualunque scala di valori: c’è una bella differenza tra i Bad English e (un nome quasi a caso) i Creye, e non si rende un servizio a nessuno trattando il materiale proposto dai Creye come fosse sullo stesso piano di quello dei Bad English solo perché magari ci piace alla follia (Dio solo sa perché) oppure per fare bella figura con la label che lo ha pubblicato o con il chitarrista della band che ci ha chiesto gentilmente di recensirlo. Non sto provando a screditare colleghi troppo entusiasti o ansiosi di riuscire simpatici a tutti, ma solo a capire perché album che alle mie orecchie (rodate da più di trent’anni di ascolti quanto mai vari) suonano insipidi, soporiferi, dilettanteschi o semplicemente scadenti suscitano in altre persone – che si suppone li affrontino con una certa cultura musicale alle spalle – reazioni di segno opposto a quelle che album insipidi eccetera eccetera dovrebbero invece provocare. Forse la mia analisi non è corretta e i motivi che spingono tanti a santificare musica ordinaria o ignobile sono altri, e di certo non rappresenta un velato consiglio a fidarvi solo delle riviste cartacee: io sto sul web ed ho tutte le intenzioni di restarci. Infine, se siete passati dalle mie parti e siete giunti in fondo a questo scritto, evidentemente mi date un certo credito, e forse proprio perché non sono mai tenero con nessuno, neppure con le band per cui stravedo…
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