NOTE DAL WEBMASTER

 

 

 

THE LOUDNESS WAR

Ovvero:

I remastering sono una fregatura?

 

 

Se appartenete alla ormai vastissima schiera che ha eletto la Maligna Trinità iPod/auricolari/mp3 a strumento privilegiato di ascolto della propria musica prediletta potete anche smettere di leggere. Queste note non sono dedicate a voi, ma a quella sparuta minoranza per cui il termine “hi-fi” ha ancora un qualche significato e, sopratutto, un valore. Minoranza non solo sparuta, devo aggiungere, ma anche completamente impotente di fronte agli orrori che proprio nel nome della Maligna Trinità di cui sopra stanno definitivamente distruggendo la qualità audio e lo stesso piacere dell’ascolto. Tutti questi orrori si condensano attualmente in tre parole: The loudness war. Cosa significano? In breve: che oggi la musica non deve suonare bene, deve suonare forte. Ma come e perché e quanto forte? Facciamo un passo indietro, please.

 

La colpa, hanno scritto, è stata degli autoradio, almeno al principio. Tu sei in macchina e infili il CD nel lettore e tenti di ascoltare qualcosa tra il frastuono del motore e quello del traffico attorno a te o del normale rumore bianco urbano. E allora alzi il volume, più su, sempre più su… Sarebbe cominciata così, dicono. Ma io non ci credo. Cioè: non credo che il problema del volume sia così vecchio, anche perché gli autoradio sono amplificati e non hanno bisogno di fonti sonore che hanno il livello di uscita inchiodato a 0 dBFS. No, il problema è nato davvero proprio con la diffusione della Maligna Trinità e la convinzione dell’industria discografica (o di ciò che ne resta) che fosse necessario pubblicare CD e mettere a disposizione mp3 con un volume di uscita quanto più alto possibile, in modo che i fruitori della Maligna Trinità potessero spararsi la musica a volume altissimo mentre passeggiavano tra il baccano cittadino (ostentando accuratamente i cavi degli auricolari con quell’aria fichissima da cittadini ben integrati del nuovo millennio). Come è possibile ottenere, tecnicamente, questo risultato? Semplice: basta fare un mastering che abbia un livello di uscita intorno a 0 dBFS. Non è chiaro? Facciamo un altro passo indietro, allora.

Quel “dBFS” sta per decibel Fondo Scala. Si tratta di un indice (non un’unità di misura in senso stretto) che viene utilizzato per quantificare l’intensità dei livelli di  segnale nei sistemi digitali; nel nostro particolare caso, i segnali audio. Come tutti dovrebbero ormai sapere, per registrare un segnale analogico su un media digitale, il segnale deve essere convertito in forma numerica: viene campionato e trasformato in una sequenza di bit. Il valore massimo, ossia il campione che è formato da una stringa di “1” rappresenta il valore 0 decibel Fondo Scala. Se il livello del segnale analogico in ingresso risulta maggiore di questo valore, evidentemente non può essere convertito correttamente, ma viene tagliato (“clipped”, in inglese) al valore massimo stabilito (la stringa composta di tutti “1”). Il dBFS ci dice quanto siamo vicini a questa eventualità, ed è rappresentato (ovviamente) sempre da un numero negativo.

Al principio, il livello medio di volume di una canzone rock contenuta in un CD era tra -14 e -18 dBFS. Poi, l’industria ha cominciato a chiedere CD che suonassero ad un volume sempre più alto. Risultato: oggi, il livello medio del segnale è arrivato alla soglia dei -3 dBFS.

Ora, il problema non sta tanto nel valore in assoluto elevatissimo, ma nel solo modo in cui si può ottenerlo: comprimendo il suono e riducendo la dinamica. La dinamica di una canzone è la differenza tra le parti che suonano “piano” e quelle che suonano “forte”. Durante il mixaggio ed il mastering, il volume delle parti che suonano “piano” viene spinto verso l’alto, assieme a quello delle parti che suonano “forte”, le quali, avendo già un valore di volume naturalmente alto, spesso e volentieri sforano il valore di 0 dBFS e vengono tagliate (clippate) con il risultato di udire un ben definito “click” o distorcere globalmente il suono.

Il discorso è complesso e pieno di sfaccettature e per chi vuole approfondire rimando all’ottimo articolo di Wikipedia e ad alcuni link nella stessa pagina.

Veniamo invece ora all’aspetto squisitamente pratico. Cosa significa ascoltare musica sparata a -3dBFS?

Io ho una predilezione per l’ascolto in cuffia. In effetti, posso dire che nel mio stereo le casse ci stanno solo per bellezza. Quando voglio ascoltare qualcosa, prendo inevitabilmente le mie Sennheiser da 150 euro e infilo il jack  nell’amplificatore o nel lettore CD. Nell’ampli, se metto su un disco di vinile o un CD uscito fino ai primi anni ’90; nel lettore se il compact disc è più o meno recente. Le mie cuffie, difatti, hanno un’impedenza relativamente alta, e i CD più vecchi, quelli con il livello di picco tra -14 e -18 dBFS, hanno un volume troppo basso. Ma questo non è affatto un problema, considerando che posso amplificare il segnale da me e il rapporto S/N non sale certo in maniera drammatica per quei pochi Watt necessari a spingere più in alto il volume nelle mie cuffie. Il vero problema arriva con certi CD “moderni”. Dall’ascolto dei due ultimi album dei Nickelback, per esempio, esco regolarmente rintronato: se tengo il volume del lettore basso, il suono è schifosamente piatto e confuso, ma quando lo alzo il volume spacca le orecchie. La qualità audio è discreta solo sulle ballads, i pezzi più elettrici semplicemente assordano. L’ultimo Metallica, ‘Death magnetic’, è assolutamente inascoltabile, afflitto com’è da un clipping mostruoso e da una dinamica piatta come una sogliola e perfino i Ratt hanno alzato il volume di ‘Infestation’ fin quasi al limite del frastuono.

Nel nostro genere, solitamente le bands non alzano il volume dei loro CD in maniera esagerata, ed il rock melodico è ancora per la gran parte immune da questo problema. Ma la sensazione che i compact disc più vecchi offrano una qualità audio regolarmente superiore ai prodotti moderni è giustificata non solo dalle maggiori cure in fatto di registrazione che si avevano nel passato, ma anche dalla superiore dinamica che la distanza dal fatidico valore di 0 dBFS garantiva… ed ecco che arriviamo al sottotitolo di questo scritto. Oggi, tanti dischi dei Big 80s vengono ripubblicati previo remastering. In certi casi l’operazione viene condotta a regola d’arte (la mia ristampa rimasterizzata di ‘Frontiers’ dei Journey ha un suono semplicemente stellare) ma in altri? Siamo certi che il remastering non riduca la resa fonica, appiattendo la dinamica? Che tra un po’ dovremo guardare con sospetto anche le ristampe? Che chi desidera cogliere quei dettagli e quelle sfumature che fanno la differenza, potendo scegliere tra una ristampa ed un originale si troverà forzato a scegliere l’originale (se riesce a trovarlo e chissà a quale prezzo)?

Non sto montando una tempesta in un bicchiere d’acqua né proponendo la proverbiale questione fatta di lana caprina. La faccenda è seria e vi basta consultare qualcuno dei collegamenti nella pagina di Wiki che ho linkato più sopra per rendervene conto, voglio qui riportare solo una dichiarazione di Greg Ladanyi, ingegnere del suono, che intervistato a proposito del suo lavoro su 'IV' dei Toto, disse: “La mancanza di compressione durante il mastering non era un problema come accade oggi, e la grande dinamica dei Toto come band poteva arrivare in tutta la sua pienezza all’ascoltatore. Al giorno d’oggi, ogni album ha un suono terribilmente compresso. L’abilità di un musicista nel suonare con tutta l’anima sta nell’estensione della sua dinamica: quando la escludi dal mix, l’ascoltatore finisce per non instaurare alcuna relazione con il musicista ed il suo modo di esprimersi”. La dinamica di una registrazione, difatti, è una delle chiavi di volta del sound: quando in una canzone sovraincidi una dozzina o più di tracce, il loro bilanciamento è fondamentale, e la chiave di questo bilanciamento, oltre al posizionamento nello spazio sonoro, è il volume rispettivo di ogni singola traccia. Ma se i volumi vengono spiaccicati verso l’alto, praticamente l’uno sull’altro, l’effetto sarà solo una cacofonia assordante e non c’è sistema hi-fi che possa migliorare la qualità di una fonte audio tanto disastrata all’origine. Il punto, però, è: tutto questo a chi importa davvero? Solo agli ingegneri del suono, pare, e a quei quattro gatti che ascoltano ancora musica tramite impianti stereo veri. Nel panorama attuale, dominato dalla Maligna Trinità, dalle casse autoamplificate collegate ai PC e dai sistemi mini/compatti da dieci watt a canale, quello che conta è solo avere più volume. Non so, o piuttosto non voglio, immaginare a cosa porterà in futuro tutto questo: le conclusioni non sarebbero tanto diverse da quelle a cui sono arrivato nel pezzo che ho scritto sul (triste) destino dell’industria discografica. E il fatto che il mio pessimismo sia, in questa circostanza, condiviso dalla totalità di coloro che operano nel ramo tecnico in quella stessa industria, non contribuisce a dare qualche pennellata di rosa ad un panorama nero come il carbone.