AORARCHIVIA

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PHIL CRISTIAN

 

 

  • NO PRISONER (1988)

Etichetta:Voss Records Reperibilità:scarsa

 

“Chi è ‘sto Phil Cristian?”, si starà chiedendo qualcuno dei miei lettori. Solo l’ennesimo nome che ha traversato meteoricamente, e disegnando una scia brevissima e quasi invisibile, il firmamento del rock melodico? La traccia lasciata da Cristian nei nostri cieli è stata senza dubbio effimera e tutt’altro che abbagliante, ma il personaggio non era esattamente un carneade, dato che è stato per molti anni e tantissimi show il tastierista dei Cheap Trick per gli spettacoli dal vivo.

Nel 1988, il Nostro decide di diventare un solo artist, ma il contratto che riesce ad agguantare non è di quelli sontuosi, la Voss Records è una piccola indipendente che certo non potrà garantirgli una promozione titanica. Phil si prepara comunque in maniera diligente ad esordire: mette su una backing band che ha il suo perno in un ancora poco noto Stevie Salas e sceglie il rock melodico per tentare la scalata alle classifiche, componendo da solo (in prevalenza) o con Salas tutto il materiale. Della produzione si incarica il proprietario della label, Dan Voss, e il lavoro fatto alla consolle non è certo di bassa qualità. Però ‘No Prisoner’, non si arrampica non dico in cima ma neppure sulle pendici più basse della Billboard 200, e suppongo che pochi ne abbiano sentito parlare in quel 1988 in cui fu pubblicato. L’unica ristampa è del 1997, ci pensa la svedese Empire a riproporlo aggiungendo quattro bonus track, poi l’oblio. Un oblio meritato? Ascoltiamolo…

Just Another Broken Heart” impasta Survivor e Foreigner in chiave pop rock, tra l’atmospheric power delle strofe e il vigore del coro, e sulla stessa scia si pone “Hey Andrea”, che al mix aggiunge anche una buona dose di Journey. La band di Neil Schon entra con più forza nel tessuto molto primi anni 80 di “Prisoner”, fra i riff secchi, le tastiere suonate col sequencer e il synth bass, mentre “Million Miles Away” è una power ballad (non tanto power, a dire il vero) che torna alle atmosfere delle prime due track. Con la dinamica “Nothing Good in Goodbye” assistiamo a un cambio di scena, la canzone sembra il frutto di un Bryan Adams più cromato del solito e anticipa quanto di lì a qualche anno farà Mitch Malloy, e questa nuova rotta seguono anche “Facing the Fire” e “Waiting 4 U”, entrambe adorne di piacevoli innesti Journey. “Pain for the Pleasure” fa molto Survivor, con un bell’arrangiamento movimentato, “Living in a Bad World” chiude con un interessante pop rock alla Van Stephenson, dove una chitarra funky OGM regge la canzone (che non per caso è una di quelle a cui ha contibuito Salas) tra gli interventi delle tastiere. Le bonus track dell’edizione Empire si intitolano “Mary, Mary” (power ballad molto Journey ma con nette sfumature Beatles), “Mama Don’t Cry” (ancora debitrice del rock di Bryan Adams, ma con una qualità audio un po’ sull’andante), “China’s Crying” (buon AOR di impronta canadese, d’atmosfera nelle strofe, più elettrico nel refrain) e “Nina’s Song” (strumentale pomposo per archi e tastiere).

Tirando le somme, abbiamo un album di buona – anche se non stratosferica – qualità, con un sound che sembra collocarlo nei primi 80 e non alla fine del decennio, più leggero nella prima parte (il lato A del disco di vinile), più elettrico nella seconda. Phil Cristian si conferma un key player di valore e qui mette in mostra anche una voce dal bel timbro, molto simile a quello di Steve Perry. La registrazione è eccellente, la produzione, come già annotato, molto buona. Insomma, “No Prisoner” pur non essendo un capolavoro epocale, ha i suoi numeri e il popolo dell’AOR avrebbe dovuto prestargli più attenzione. Oggi viene scambiato a cifre abbordabili, i CD vanno via da tredici dollari a salire (la ristampa della Empire è sempre più cara), LP e cassette costano decisamente meno. Da avere assolutamente? Certo che no, ma neppure da snobbare.

 

AORARCHIVIA

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STEPHEN CRANE

 

 

  • KICKS (1984)

Etichetta:MCA Reperibilità:discreta

 

Non si giudica un libro dalla copertina, dice un vecchio adagio. Analogamente, possiamo dire: non si giudica un disco dalla cover. Ma accadeva, e capitava molto più spesso ai dischi rispetto ai libri. Di un libro puoi leggere la trama stampata (generalmente) sul retro copertina, sfogliarne qualche pagina. Ma con i dischi, farsi un’idea del contenuto era una faccenda più complessa. Se l’LP o il CD era incellofanato, il commesso del negozio (generalmente; anzi: quasi sempre) non voleva saperne di aprire la confezione per fartelo sentire. E, comunque, due o tre minuti della prima canzone (difficile che il già citato commesso concedesse di più) non ti potevano dire molto. Così – in mancanza di recensioni dettagliate – finivi per affidarti alla copertina molto più di quanto fosse raccomandabile, prendendo magari delle cantonate colossali.

Proviamo a metterci dei panni di chi, nel lontanissimo 1984, frugando tra gli scaffali del solito negozio alla ricerca di rock melodico, si imbatteva in ‘Kicks’ (su LP o cassetta: la MCA non lo pubblicò su CD). La cover, con quel disegno così stilizzato, geometrico, pulito, non faceva minimamente pensare a un disco rock, ma piuttosto a qualcosa di molto pop. Studiando le note potevi leggere che una buona parte dei Toto (Steve Lukather, Steve e Jeff Porcaro) era coinvolta nella registrazione (con Lukather anche produttore assieme all’altro tastierista, Jay Winding), ma, dopotutto, una buona parte dei Toto aveva suonato per Michael Jackson su ‘Thriller’, e la loro mera presenza non si poteva considerare una garanzia che l’album battesse territori rock. E allora, guardavi ancora una volta quell’immagine che suggeriva suoni sintetici programmati col sequencer e ritmi danzerecci, storcevi la bocca oppure scuotevi la testa, rimettevi il disco nello scaffale e passavi oltre…

Non credo che l’insuccesso di ‘Kicks’ si possa attribuire tutto a quella copertina, ma immagino che una sia pur piccola parte nel fiasco l’abbia avuta. Non perché era brutta, ma perché era sbagliata. ‘Kicks’ era un disco di hard rock melodico, tutt’altro che leggero e pop: in più di un frangente, pestava proprio sodo. Già l’apertura affidata a “Headed For A Heartbreak” parla chiaro, un AOR hard edged un po’ Journey, caratterizzato dai ritmi robotici nelle strofe, e ancora più esplicita suona “Joanne”, al limite del metal californiano: tante chitarre, pochissime tastiere su cui scivola una melodia facile e pop. La title track ci offre chitarre ora ruvide ora cristalline, qualche stilla di sax insolita in un contesto così elettrico, “All My Love” è una power ballad, ma power per davvero, che non teme di aggiungere all’inevitabile pianoforte chitarrone a manetta. La ricetta di “Victims Of Love” si può considerare senza dubbio singolare con quel refrain alla Huey Lewis inserito in un tessuto tutt’altro che leggero, fra strofe dominate da un riffone molto heavy e i flash dell’Hammond e quel bridge galoppante a cui segue un assolo selvatico di chitarra. I ricami zeppeliniani che marezzano “I Can’t Wait” si incastrano bene fra i soliti ritmi robotici, “Back On My Feet Again” risulta drammatica e fascinosa alla Journey ma con un refrain bruciante alla Foreigner, “I’ll Take Care For You” è invece un hard’n’roll in versione Big 80s, almeno nelle strofe, mentre il coro inclina verso il pop rock mainstream contemporaneo. Un pizzico di funky caratterizza “Sooner Or Later”, “Crying Don’t Look Good On You” chiude l’album con una ballad elettrica: molte tastiere ma chitarre dal suono sempre molto deciso.

Stephen Crane si faceva valere non solo come bassista ma anche al microfono, con una voce che potevamo assimilare a quella di Paul Shortino, ma meno rauca e pastosa, e questo suo primo e unico album avrebbe meritato una promozione che la MCA (al solito) non si degnò di procurargli.

Il capitolo reperibilità è articolato. Gli LP e le cassette originali si trovano facilmente e vanno via (in genere) a pochi euro. La prima ristampa venne nel 2016 per la Sunset Dream Records, che pubblicò una edizione a tiratura limitata comprendente un LP più un compact disc, ad un costo abbastanza sostenuto già all’origine (e oggi prezzata a venticinque euro, come minimo). Nel 2021, arrivò la ristampa su CD di AOR Heaven, reperibile al prezzo di una quindicina di euro.

Non è certo, ‘Kicks’, uno di quei dischi da rinunciare a qualche pasto per averlo, ma neppure un lavoro per completisti: ha i suoi numeri, e si meritava una label diversa dalla famigerata Musician Cemetery of America, come l’acronimo MCA veniva interpretato da tanti artisti che hanno avuto la sfortuna di firmare per lei.