HARD BLUES DEPARTMENT

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LED ZEPPELIN

 

 

  • MOTHERSHIP (2007)

Etichetta:Atlantic Reperibilità:in commercio

 

La scusa era troppo buona, troppo allettante. Questa nuova raccolta, contemporanea al concerto di Londra... Ho provato ad esorcizzare il demone con il pezzo sul live dei Great White, ma non è bastato. Quello era solo un (buon) surrogato, qui c'è la fonte originale.

I Led Zeppelin sono stati la più grande rock band di tutti i tempi? Per me, assolutamente sì. C'è, è naturale, chi non condivide. Gli Zep meritano la corona, secondo me, per la straordinaria creatività, la capacità di ribaltare schemi consolidati ed averne imposti di nuovi, per il coraggio sovrumano che li ha portati a non ripetersi mai. Solo Jimi Hendrix è riuscito a prodursi in una simile impresa, ma la sua storia si è conclusa, in un certo senso, ancora prima di cominciare, Jimi era un grande che si tirava dietro letteralmente la propria band, un gigante che ha sempre (per scelta o per caso?) lavorato con personaggi che non erano minimamente alla sua altezza, e quando pareva pronto a mettersi finalmente in gioco in un contesto differente e più raffinato, la signora con la falce ce l'ha portato via. Jeff Beck sembrava dovesse terremotare la scena rock con la sua band, ma il Jeff Beck Group è stato sempre e solo questo: il gruppo di supporto di Jeff Beck, un genio dalle ambizioni talmente smisurate che ha finito per rimanere paralizzato dall’esigenza di dover essere come nessun altro. Frank Zappa? Un genio anche lui, d'accordo, ma sempre troppo compiaciuto di esserlo: dopo gli anni d'oro dei Mothers Of Invention, chi se lo è più filato? E potremmo continuare, proseguire praticamente all'infinito... I Led Zeppelin hanno conquistato il pubblico con la propria musica, e lo hanno fatto senza poter contare sull'appoggio della stampa, soltanto con i dischi ed i concerti. Troppo facile, ripeto, cantarne le lodi. Facciamo invece un po’ di considerazioni più o meno in libertà, magari cercando di mettere a fuoco aspetti della band che l’agiografia ufficiale ha trascurato o lasciato in ombra.

 

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Nessuna band è mai riuscita ad essere così autorevole sia nella dimensione live che in quella dello studio di registrazione. Jimmy Page e John Paul Jones avevano lavorato a lungo come turnisti e produttori, e i dischi dei Led Zeppelin sono stati gli album rock meglio prodotti degli anni 70. Jimmy è stato il primo a produrre con professionalità e creatività il suono della chitarra. Il fatto che i dischi dei Led Zeppelin suonino sempre, ancora oggi, a distanza di quaranta e passa anni, così freschi ed attuali (pur con tutti i remastering del caso), non è certo un caso. Dal vivo, la band era un ciclone ineguagliabile, seconda per numero di bootlegs solo ai Greatful Dead, e per un buon motivo: non esistono due concerti dei Led Zeppelin uguali. Negli ultimi tempi prima dello scioglimento, il live show tipico della band durava sulle tre ore. “Dazed and confused”, prima di venire esclusa dal live set tipo, veniva tirata fino a circa quaranta minuti.

 

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I Led Zeppelin hanno praticamente creato quel genere musicale etichettato come “hard rock”, e la loro influenza in questo campo rimane ancora ai nostri giorni preponderante. Solo i Black Sabbath possono vantare un ascendente così forte e duraturo, anche se il loro spettro sonoro era infinitamente più limitato di quello zeppeliniano. I Deep Purple, invece, di proseliti ne hanno fatti relativamente pochi: adorati, rispettati, ma poco seguiti.

 

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Led Zeppelin I’ venne registrato in trentasei ore.

 

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La seconda parte della carriera dei Led Zeppelin riscuote presso la critica meno consensi della prima. ‘In through the out door’ in particolare, viene generalmente considerato un mezzo disastro, con tutti i suoi sintetizzatori. Rispettosamente, dissento. Gli Zep del 1978 non potevano né volevano essere gli stessi del 1969. Loro guardavano sempre avanti. Chi aveva deciso di incasellare la band in un ambito preciso (su quali basi, poi?) non poteva capire quella tensione continua, spasmodica, al cambiamento, ad un rinnovamento non di mera forma ma di assoluta sostanza. In questa compilation sono stati recuperati da quel disco solo “In the evening” e “All my love”. Ascoltate la prima e scoprirete da dove hanno cominciato il loro cammino tante bands di AOR.

 

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Mothership’ trascura curiosamente il lato più acustico e bucolico dei Led Zeppelin. Ma lascia fuori tante altre belle cose. “Ten years gone”, per esempio. Be’, è solo una compilation: come dire: un’introduzione. Un biglietto di ingresso per un mondo sconfinato.

 

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“Volevo provare a fare un blues elettrico con una base di basso che girasse. (…) il titolo ci venne in mente dopo aver visto un cane gironzolare fuori e dentro lo studio. Il cane non aveva nome, così chiamammo la canzone semplicemente “Black dog” ”.

 

John Paul Jones

 

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Una delle qualità della band meno colte dai suoi esegeti è il suo sense of humour. La sua capacità di divertirsi, serenamente. Questo è uno dei tratti distintivi del genio: il procedere sempre con un sorriso sulle labbra. Non che i Led Zeppelin non si prendessero sul serio, tutt’altro: semplicemente, non erano seriosi. Robert Plant lo ricordò a tutto il mondo nel 1985, durante il Live Aid, quando durante l’esecuzione di “Stairway to heaven” aggiunse un verso alla canzone, improvvisando. Disse: “Does anybody remember laughters?”. Jimmy Page, udendolo cantare quelle parole - venute fuori forse di getto, senza preavviso - sorrise. Quanti si ricordavano delle risate, della pura gioia che quella band metteva in ogni esecuzione? Quanti avevano capito?

 

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“ “Kashmir” non è altro che un brano qualsiasi trasmesso da una radio di una città del Marocco. Se tu capiti mai in Portogallo, prova ad accendere una qualsiasi fottutissima radio e sentirai roba come “Kashmir” per ventiquattr’ore al giorno”.

 

David Coverdale

(in risposta alla domanda di un giornalista che gli faceva notare la somiglianza tra “Kashmir” e la “Judgment day” degli Whitesnake)

 

 

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Non so per quale motivo il soprannome di John Bonham fosse “Bonzo”. John Paul Jones lo chiamavano semplicemente “Jonesy”. Robert Plant era “Percy”, diminutivo di Percival, riferito al sir Percival cavaliere della Tavola Rotonda, uno di quelli coinvolti nella ricerca del Santo Graal: era stato l’aspetto “angelico” di Robert Plant a motivarlo, pare. Jimmy Page era “Zoso”, dal curioso intreccio di linee e curve che lo rappresentava su ‘IV’. Jimmy ha sempre sostenuto che quel logo non significava assolutamente nulla, ma c’è chi ha voluto vedervi un qualche simbolo magico, a causa dell’interesse che Jimmy nutrì a suo tempo per la materia (arrivò al punto di comprare una casa in cui aveva vissuto il mago inglese Alistair Crowley). Probabilmente questa è la base su cui è stata costruita la favola dei messaggi registrati al contrario, in particolare su “Stairway to heaven”, un misto di lavaggio del cervello subliminale e satanismo da osteria che un paio di generazioni di moralisti americani hanno scagliato contro la band tentando di convincere la gente che i Led Zeppelin e più in generale chiunque facesse musica rock era un perfido agente del Maligno. Pur non nutrendo personalmente molta fede nella sua esistenza, ritengo che l’individuo abitualmente rappresentato nell’iconografia popolare con corna, coda e forcone frequenti con molta più soddisfazione le case dei suddetti moralisti che le arene dove si tengono i concerti di musica rock.

 

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Everybody came here

From somewhere to play

They wear their guitar low

Just like Jimmy Page

 

                        “Rock City”

                 Damn Yankees

 

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Quante volte abbiamo sentito musicisti, critici, tuttologi sentenziare “il rock è morto” ? Ma ancora oggi, nell’anno di non molta grazia 2008, il rock è qui con noi, accarezzandoci, schiaffeggiandoci, lusingandoci; prendendoci per il sedere, forse. Da quando Chuck Berry urlò per la prima volta da un palco “Johnny B. Goode”, il rock ha continuato a correre. Ma cos’è il rock? Al di là dei miti, delle sovrastrutture che critici, intellettuali ed agitatori gli hanno cucito addosso, il rock è musica. Se qualcosa è morto, ed è morto più e più volte, è proprio il mito. Ogni generazione pianta semi che germogliano diversamente, si avviticchiano al rock e poi, alla fine, appassiscono e muoiono. Il mito più forte, quello che sembra resistere meglio al trascorrere del tempo, resta quello della ribellione. Il rock è la musica dei giovani che guardano disgustati il mondo fetente dei loro genitori e vogliono cambiarlo o farlo a pezzi, rappresenta l’espressione dell’incontenibile energia dei vent’anni. È un fatto sociale, non artistico. La mitizzazione del rock degli anni 60 e poi del punk nasce dal riflesso di un altro mito, quello dei movimenti giovanili che in quell’epoca fecero furore, che si proponevano di cambiare o spaccare il mondo e fallirono. I Led Zeppelin non si sono mai prestati a questo gioco, e per questo la critica, gli intellettuali e gli agitatori non li hanno mai amati. Il loro immaginario era nello stesso tempo fisico ed etereo, crudo e leggiadro. Era fatto di possanza e tenerezza. Non era indirizzato alla massa, ma all’individuo. Non vagheggiava rivoluzioni, non incitava a costruire un mondo migliore o a distruggere quello in cui viviamo tutti i giorni. Non lanciava messaggi sterili e ipocriti, ma dava la cosa più importante, quella che l’intellettuale guarda sempre con sospetto ed un leggero disgusto: emozioni. Rifiutandosi di interpretare un certo clima, di farsi portavoce di un determinato periodo, finiva per diventare universale. Era il trionfo della musica sulle chiacchiere ed i vaneggiamenti, il look e la moda. Era musica, e basta.

 

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“Per me possono essere famosi quanto vogliono… ma quattro scimmie capellute non useranno il nome onorato della nostra famiglia senza permesso”

 

Eva Von Zeppelin

 

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La frase riportata sopra fu pronunciata nel 1969 da una discendente del conte Ferdinand Von Zeppelin, l’inventore del dirigibile. La band era a Copenhagen per uno show ed un apparizione televisiva e la contessa si precipitò negli studi della TV danese cercando di impedire che lo spettacolo avesse luogo. John Paul Jones la descriveva come una specie di ossessa, ma la faccenda si dimostrò subito talmente seria che Peter Grant, il manager dei Led Zeppelin, decise per il tour dell’anno successivo in Danimarca di far esibire la band con il monicker “The Nods”.

 

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Il blues ed il rock’n’roll degli anni ’50 sono stati i libri di testo su cui Jimmy Page ha studiato e da cui è partito per distillare quelle alchimie da cui è nato il suono dei Led Zeppelin. Era la negazione completa, totale, di un decennio, gli anni ’60, che la critica si ostina a considerare il più importante per la musica rock, ma che i Led Zeppelin stessi hanno dimostrato è stato solo un momento, una fase, e nient’altro.

 

 

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Alla fine degli anni 80, gli Stati Uniti furono invasi da un esercito di bands hard rock vecchie e nuove che tentarono con varia fortuna di replicare il suono Zeppeliniano. Dei più chiacchierati, i Kingdome Come, potete leggere nello spazio a loro dedicato seguendo il link, ma un elenco anche solo parziale di gruppi dediti a quel particolare sound probabilmente esaurirebbe lo spazio web concessomi dal provider. Fu un fenomeno talmente eclatante, che Gary Moore ci scrisse addirittura una canzone sopra, “Led clones” (nell’album ‘After the war’), che al ritmo della stracopiata “Kashmir” sfotteva allegramente tutta la compagnia (e per affondare di più il coltello, Gary Moore la fece cantare ad un Ozzy Osbourne che si esibiva in una parodia del tipico canto alla Plant che avrà fatto fare delle gran risate a Percy). Arrivarono poi i Dread Zeppelin a completare il quadro, una vera band demenziale che proponeva cover zeppeliniane rifatte in un delirante misto di reggae e rockabilly. Robert Plant li adorava.  

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"Credo che il mio stile di produzione, trasfigurato attraverso tutta una nuova scuola di produttori, stia tornando di moda perché c’è un ritorno agli anni 70. E, considerato l’andamento di questo genere di fenomeni ciclici, nel giro di un decennio sarà la volta degli anni 80. Ragazzi adolescenti mettono su bands adesso ascoltando i Led Zeppelin. Ed è stupefacente che ragazzi di 14 anni siano passati da Britney Spears che ascoltavano un paio di anni fa all’hip hop che ascoltavano a 13 anni per arrivare ai Led Zeppelin oggi".

 

Ron Nevison

(Produttore ed ingegnere del suono. Lavorò con i Led Zeppelin su ‘Physical Graffiti’)

 

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Mothership’ ha debuttato su Billboard al numero 7, vendendo nella sola prima settimana 136.000 copie. Un risultato eclatante, strepitoso. Perché questa compilation non presenta materiale inedito, (non esiste materiale inedito dei Led Zeppelin, quel poco rimasto dopo lo scioglimento fu pubblicato su ‘Coda’), conosciuto nota per nota da due generazioni. Eppure, dopo quasi quarant’anni dal debutto, i Led Zeppelin sono di nuovo nella top ten di Billboard… e con le stesse canzoni di quarant’anni fa! Quante altre bands sono state capaci di simili exploit? Solo i Beatles. E se fosse solo revivalismo? In parte, è possibile, ma c’è di più. In una scena rock che sembra fatta più che mai di comparse, di idoli di carta, popolata solo da mestieranti che nel giro di qualche anno vengono dimenticati da un pubblico sempre più stordito, superficiale e distratto, i Led Zeppelin si ergono solitari e inscalfibili come colonne di granito. Dieci anni bastano a cancellare fama e mito, a relegare fenomeni e presunti geni al ruolo di comparse, a ridimensionare figure e personaggi che si volevano giganteschi ma si sono rivelati solo nani dalle lunghe ombre. C’è qualcosa di assoluto in questa band, che pochissime altre (i Beatles, i Doors) hanno mai posseduto. Fra quarant’anni, i nostri nipoti correranno a (ri)comprare le canzoni degli U2 o dei Pearl Jam? Ho più di un dubbio in proposito. Ma sarei pronto a scommettere che ci sarà la fila per l’ennesima compilation dei Led Zeppelin.