RECENSIONI IN BREVE

 

AORARCHIVIA

BRETT WALKER "Straight jacket vacation "

Noto sopratutto come produttore e songwriter, Brett Walker si toglieva ogni tanto lo sfizio di un album a proprio nome. Quest' ultimo  (ma ultimo per davvero: Brett è morto poco dopo la sua uscita) 'Straight jacket vacation' è una piacevole collezione di FM rock che più classico non si può; se fosse un cocktail, ne potremmo dare così la ricetta: tre quarti di Bryan Adams, un quarto di Bon Jovi, uno spruzzo di Def Leppard (per le armonie vocali), shakerare e servire... Nessun vero acuto, ma neppure dei veri filler, un disco compatto, ben giostrato fra l'acustico e l'elettrico, senza emergenze né sorprese, prodotto alla grande. Qualcuno lo considererà la solita minestra riscaldata, per altri sarà l'ennesima scheggia di classe scagliata verso un mondo musicale impazzito o rimbecillito. Riposa in pace, Brett.

INDICE

Walker Music Group LLC - 2013

 

AORARCHIVIA

IMPERA "Pieces of eden"

Il secondo album della band di JK Impera arriva a nemmeno un anno di distanza dal primo e conferma la buona caratura di questo ensemble, che può contare sulla chitarra di Tommy Denander e sulle performance vocali di un Matti Alfonzetti enormemente cresciuto come vocalist dai tempi (infelici) dei Jagged Edge. Rispetto al già buono ‘Legacy of life’, il songwriting è di superiore caratura, senza emergenze ma efficace. “Beast Within” viaggia su un groove moderno, trascinante, serrato e feroce, “These Chains” ha una melodia molto Whitesnake che si avvolge attorno ad un bel riffing zeppeliniano, “All Alone” e “You and I” sono impostate su un solido telaio elettrico in cui si adagiano atmosfere molto Burning Rain (o Whitesnake, che fa lo stesso…), “Small Town Blues” è un mid tempo con chitarre ruvide e melodia scanzonata, “Since You’ve Been Gone” uno slow blues con belle fiammate d’energia, “Goodbye” e  “Easy Come” sparano dei class metal dinamici e policromi, come dei Tyketto ad altissimo voltaggio, “This Is War” tiene fede al titolo con un un class guerriero, nello stesso tempo feroce e cromato (un po’ Hurricane?) e chiude “Fire And The Flame”, heavy metal cadenzato, epicheggiante, fuori posto in questo contesto, ma buono. Esce il 18 Ottobre, e chi ama il class metal di stretta osservanza americana non dovrebbe lasciarselo sfuggire.

INDICE

Escape Music - 2013

 

AORARCHIVIA

SHAMELESS "Beautiful disaster"

Il progetto glam rock del bassista tedesco Alexx Michael è arrivato al sesto capitolo e anche stavolta l’elenco degli ospiti è di tutto rispetto, annoverando Tracii Guns alle chitarre, Steve Summers (Pretty Boy Floyd) e Stevie Rachelle (Tuff), che si alternano dietro il microfono ed una canzone affidata a Cherie Currie (The Runaways). Dopo l’adrenalina lunatica di “Greed is God”, c’è il minimalismo quasi punk di “Dear Mum”, il bel metal californiano di “You’re Not Cinderella”, l’hard’n’roll alla carta vetrata “Forever Ends Today”. Anche “Fiction & Reality” è un notevole pugno allo stomaco vibrato con le cadenze dissonanti del glam mentre “You’re Not Comin’ Home” è un bel ballatone tutto archi e piano che non ti aspetteresti in questo contesto; il class metal cupo e minaccioso “Train to Hell” riporta l’album su binari più elettrici, bella la cover del classico di Alice Cooper “I’m Eighteen”, risolta con un grandioso arrangiamento orchestrale (il genere di cosa che tanto piace ai tedeschi e di rado gli riesce bene). “Hold On To Your Dreams” è una ballad che mi ricorda tanto i Faster Pussycat, come la successiva “Rock ‘n’ Roll Girls”, col suo party rock incorniciato dal piano boogie. Chiude un’altra cover, la “Life‘s a Gas” dei T Rex. Album interessante, sempre che le cadenze ultraglam dei due cantanti non vi appaiano troppo stucchevoli e/o frocesche.

INDICE

RSR Music - 2013

 

AORARCHIVIA

ANNICA "Badly dreaming"

Virtualmente irreperibile all'uscita, l'unico album della finlandese Annica Wiklund venne provvidenzialmente ristampato nel 2004 dalla MTM.  Accattivante la voce di Annica (rauca sui toni bassi, limpida e potente quando aumentava il volume) e notevole il songwriting, AOR hard edged con arrangiamenti tutt'altro che scontati. Bello il passo lento ed i riflessi metallici di "Badly" (grande atmosfera), il ritmo piccante di "Loose Me", i flash squillanti di keys sul crescendo elettrico in "What's Your Game", i toni policromi di "Black Waves", l'alternanza di sciabolate elettriche e carezze suadenti che compongono "To Another Shore". Le bonus tracks della ristampa sono più ruvide e decisamente bluesy, rimandano agli FM i begli hard da film western "Fine Polca" e "Be My Angel", mentre da "Breathing" spirano morbidi afrori zeppeliniani. Gran disco.

INDICE

Lighthouse / MTM Classix - 1988

 

AORARCHIVIA

B.E. TAYLOR GROUP "Our World"

Anche se apparteva all'area cristiana, il B. E. Taylor Group non appesantiva le proprie canzoni con testi adatti ad una messa cantata più che ad un album di musica rock (come troppo spesso facevano Shout, Legend e altri esponenti della scena AOR cristiana), risultando godibili (e parecchio) pure a chi non gradisce lyrics a base di prediche, inni e omelie. Le cose più interessanti di questo suo terzo ed ultimo album? "The Fire's Gone" era un eccellente impasto di Loverboy, Headpins e Boulevard condito di percussioni scoppiettanti e begli impasti chitarre/tastiere, "Question of Love" era elegante e un po' danzereccia, "Take Me To Your Heart" citava i Survivor in un bel telaio hard AOR, "Girl In The Know" ricordava i dischi solo di Van Stephenson, chitarrone elettrico e canto scanzonato, mentre vigoroso e raffinato era l'impasto elettroacustico intitolato "Runaway". Nella ristampa del 2011 c'erano altre due track (il delizioso funky AOR danzabile "Without Love" e la suggestiva power ballad "The Last Heartbreak"). Non essenziale ma molto gradevole.

INDICE

Epic - 1986

 

AORARCHIVIA

CHANGE OF HEART "Change of heart"

Considerato da alcuni (secondo me, del tutto a torto) un classico minore, questo disco d'esordio dei britannici Change of Heart ha tutti i pregi e tutti i difetti di quelli degli Heartland periodo Steve Morris, e non per caso, dato che proprio Steve Morris lo ha prodotto (e, in parte, suonato). Possiede un eccellente ordito strumentale, begli interventi solisti e, sopratutto, una produzione di grandissima classe, fantasiosa e variopinta. Quello che gli manca – e non è certo poco – sono le canzoni, ossia la materia viva in cui la produzione dovrebbe affondare i denti e qui latita clamorosamente: sopratutto a livello di melodie vocali, si vagola nel regno della banalità o del ricalco (e un cantante intonato e potente ma dal timbro tutt'altro che eccezionale, anzi piuttosto opaco, non aiuta). In definitiva, c'è  un vuoto di fondo, una carenza di ispirazione nel comparto più importante che nessuna infiocchettatura orchestrata dietro il banco del mixer può annullare né tanto meno mimetizzare.

INDICE

Escape - 1998

 

AORARCHIVIA

NO LOVE LOST "No love lost"

Secondo la Kivel, il cantante di questa band, Scott Board, avrebbe una voce alla David Coverdale. A meno che non sia diventato sordo e/o rimbambito, tra questo Board e sua maestà Coverdale non c’è la minima somiglianza vocale, se proprio dovessi indicare una qualche affinità con un singer molto noto, potrei azzardare invece il nome di Lee Small. È chiaro, comunque, che Board si crede un signor cantante, spara vocalizzi arditi e fa continuamente ricorso ad impasti di cori molto ambiziosi, peccato che spesso e volentieri vada fuori tonalità, non tanto per imperizia ma perché sembra strafregarsene di quello che i suoi compagni stanno suonando (un classico metal californiano, spesso sulla scia dei Firehouse), lui va per la sua strada e il resto della band (pare) può pure impiccarsi… Ma è tutto il lavoro che mostra un dilettantismo ed un’artigianalità che ne limitano la godibilità solo ai fruitori di bocca buona, con arrangiamenti arruffati, privi di direzione, il mixaggio che spara la voce troppo avanti, la produzione inesistente. Ai bei tempi che furono, questo genere di roba la pubblicavano solo le indies più scalcinate, oggi una label dal buon catalogo come la Kivel cerca di spacciare i No Love Lost come la next big thing del rock melodico, ed io non so davvero se ridere o piangere.

INDICE

Kivel - 2013

 

AORARCHIVIA

JOHNNY LIMA "My revolution"

È singolare che Johnny Lima abbia scelto di replicare il sound attuale dei Bon Jovi, mentre i fan di Jon e compagnia non fanno che deprecare la svolta “moderna” e chiedere (vanamente) a gran voce un ritorno alle alchimie sonore dell’era ‘Slippery…’. In questo nuovo lavoro non manca qualche puntata in altre direzioni (la commistione House of Lords / Def Leppard di “My Revolution” e “You’re The Drug I Wanna Get High On”, le atmosfere robotiche di “Fill You Up”, il party metal alla Crüe era ‘Girls, Girls,  Girls,’  di “Dirty Girls”, l’anthem Leppardiano “Show Them Who You Are”) ma la rotta prevalente porta Johnny sempre negli stessi lidi, quelli che Sambora e Jon hanno abbordato dopo ‘Keep The Faith’. Buono il songwriting e ottima la produzione, ma sarei curioso di sapere in che misura verrà apprezzata la clonazione di un sound che il popolo del rock melodico ha dimostrato nei fatti di non amare proprio in sommo grado.

INDICE

Johnny Lima - 2014

 

AORARCHIVIA

DEVAY "Break down the walls"

La canadese Marie Claire DeVay non era una fuoriclasse, ma disponeva di una di quelle voci rock duttili e di grande spessore che sembrano sparite dalla circolazione in quest'epoca che vede l'AOR diventare terreno di conquista per emule al caramello di Christina Aguilera e Beyoncé, brave quanto si vuole ma fuori contesto fra chitarre ruggenti e batterie tonanti. 'Break...', unica testimonianza discografica di Marie Clair, era stato prodotto, composto (e, per gran parte, suonato) da Bryan Hughes (Beau Geste, B. Hughes Group), che indirizzò il suono verso le frange più dure (e più yankee) dell'AOR, fra anthem da stadio ("Rock and a Hard Place"), metal da spiaggia alla Autograph ("Burning Alive"), melodie di stampo Bon Jovi ("Whatever it Takes" - che ruba metà del refrain a "You Give Love a Bad Name" - "Save Me"), hard cromati un po' Van Halen ("Let it Roll", sexy e irruente), class metal policromi ("Paradise", drammatica e fascinosa; il connubio Dokken/Ratt della title track), hard melodici taglienti e incisivi ("Heart Like a Gun", "I Won't Let Go"), ballad più o meno power (la splendente "Take Me Away", "If I Gave You My Love"). Un'altra (piccola) perla dei bei tempi che furono.

INDICE

Polaris - 1992

 

AORARCHIVIA

ALEX MASI "Danger zone"

L’artwork in stile anni ’80 può far pensare ad un ritorno alle origini per il decano dei guitar hero italiani, Alex Masi, invece questo nuovo ‘Danger Zone’ prosegue la strada eclettica del suo predecessore ‘Theory Of Everything’, con un hard rock cangiante e rigorosamente strumentale che sembra ispirato sopratutto dagli ultimi lavori di Steve Stevens e Joe Satriani, tra ritmi elettronici da dance music (‘Front Line Theory’, ‘Second Door’, ‘Beginning Of The End’), lo schredding virulento di ‘Anti-Aircraft Boogie’, ‘Viva La Revolucion’ e ‘Holy Fiend’, il funk mutante e ipertecnologico  intitolato ‘Heat Seekin' Device’, le soluzioni melodiche luminose e suggestive di ‘Golden Coast’ e ‘Sun People’, i labirinti intricati di ‘Sexual Warfare’, l’esotismo arabeggiante della title track, le atmosfere rarefatte e sognanti di ‘Afterglow’. Un lavoro meno sperimentale di quanto può apparire, ma che non potrà non interessare chiunque ami i virtuosi della sei corde e cerca hard rock avventuroso e lontano dalle ovvietà che tanti ci servono al giorno d’oggi.

INDICE

Grooveyard Records - 2013

 

AORARCHIVIA

T-RIDE "T-ride"

Genio, follia, presa per il culo? I T-Ride erano, temo, un groviglio inestricabile di tutto questo.

Non so davvero quali punti di riferimento offrirvi per darvi un'idea del sound architettato da questi tre tizi. Forse degli Extreme fatti d'acido? Le canzoni (spesso brevissime, meno dei canonici tre minuti) si sviluppavano come sovrapposizioni tra una voce principale acuta e in genere inintelligibile e intrecci di cori sofisticati e "sinfonici" di netta matrice Queen proiettati su una base ritmica il più delle volte nervosa o nevrotica, con un discreto uso (in grande anticipo sui tempi) di chitarre stoppate e percussioni dance, il tutto interrotto di tanto in tanto da inserti ipermelodici di keys, parti praticamente recitate o rappate, assoli molto Van Halen.

'Fire It Up' è la scheggia più convenzionale, quasi al limite del party metal, 'Bone Down' uno strumentale che si dipana attorno ad un fenomenale assolo di chitarra, il resto piacerà a chi esige l'Originalità, quella con la maiuscola, e pur di ottenerla è disposto anche a varcare i cancelli di un manicomio.

INDICE

Hollywood Records - 1992

 

AORARCHIVIA

PHANTOM PARK "Freight trained!"

Disco a corrente alternata, quest’unico dei Phantom Park. Comincia bene con il ritmo fortissimo della title track, ed una “Rainy Day” che mi ricorda tanto i Riverdogs, ma si smarrisce in un paio di banalità in stile Bulletboys ed una ballad anonima (“Let It Rain (Love And Emotion)”), riprende quota con le tinte bluesy di “Mr. Rattlebones”, l’hard southern alla Soul Kitchen “Here Comes The Dawg” e l’elettricità suadente di “Days Gone In The Wind”. Appena discreto si rivela il metal californiano di “Livin’ Proof”, più in alto sale “End Of The World”, con la sua ritmica nervosa e le suggestioni street alla Kik Tracee. “Miracles” chiude l’album con una power ballad gradevole ma certo non memorabile. ‘Freight Trained!’ è una rara avis che suppongo venga scambiata a caro prezzo sul web: se lo prezzassero a cinque dollari varrebbe la spesa, a dieci già sarebbe sopravvalutato e oltre questa cifra diventa roba da collezionisti maniaci.

INDICE

Autoproduzione - 1994

 

AORARCHIVIA

BLONDE ON BLONDE "Labyrinth of love"

Tempo fa vi ho riferito i risultati della seconda incarnazione di questa band, i Perfect Crime (per i dettagli, seguite il link). Tornando di un anno indietro, non posso parlare altrettanto bene dei Blonde on Blonde e di questo loro ‘Labyrinth of Love’. I Perfect Crime ebbero alla produzione Bernie Marsden, i BoB dovettero accontentarsi di un ingegnere norvegese che gli dette un bel sound ma nessun input creativo. La musica e gli arrangiamenti seguono i più triti cliché scandinavi, e anche le versioni di "Love me or Leave me" e "Am I Right" qui presenti sono decisamente inferiori a quelle reincise successivamente sotto il nuovo monicker. Chris Candy aveva un voce rauca e impastata alla Tina Turner che non si amalgamava per niente a quella di Bente Smaavik ed i suoi interventi (peraltro saltuari) finivano per risultare più fastidiosi che altro. La ristampa ha quanto meno tolto lo status di lost gem ad un disco dignitoso ma che ha poco da offrire, salvo ai più fanatici adoratori dell’AOR dei paesi nordici.

INDICE

NL Distribuition - 1989

 

AORARCHIVIA

SHADOWQUEEN "Don't tell"

Per questa band australiana si sprecano i paragoni con gli Hydrogyn, ma ‘Don’t Tell’ supera tutto quanto fatto fino ad oggi da Julie Westlake e compagni, sopratutto per le qualità di chi sta qui dietro il microfono. La voce di Robbi Zana (anche bassista) è intensa, espressiva, duttile, passa da tagliente a carezzevole a lasciva con strepitosa fluidità ed è un ingrediente fondamentale nel dare carattere e personalità ad un impianto sonoro gradevole e curato ma senza emergenze, un hard rock ruvido quanto basta che si incammina spesso sul sentiero zeppeliniano ("Best Of Me", il serpeggiare molto "Kashmir" di "Silence"), trova stuzzicanti soluzioni melodiche che richiamano Halestorm (la divertente title track; "What You Want"; "Karma", sexy e ipnotica prima del refrain aggressivo) o l’Alanis Morrissette dei primordi ("Paint Your Face"). Imperdibile per chi adora le female fronted band, ‘Don’t Tell’ ha comunque i numeri per piacere a tutti.

INDICE

Bad Reputation - 2013

 

AORARCHIVIA

VANITY BLVD "Wicked temptation"

Cosa c’è che non va in questa band? Niente, mi pare… Si esercitano con buona efficacia sul tema del metal californiano (Ratt, Crüe, Y&T eccetera eccetera), declinandolo con notevole aggressività ma senza mai perdere di vista la melodia, ed hanno una cantante che se non è una fuoriclasse dispone comunque di una bella voce rock (che in questi tempi di ugole cristalline o al caramello è diventata una rarità) chiara e potente. Quella voce meritava di venire fuori un po’ meglio invece è stata mixata (secondo me) un pelo troppo indietro, ma ‘Wicked temptation’ è in ogni caso un buon disco, con il top al principio ed in coda, nei due party anthem ‘Dirty Rat’ (ripescata dal loro primo EP del 2005)e ‘Dirty Action’. Per chi ama le female fronted band, può diventare addirittura una priorità.

INDICE

Noisehead Records - 2014

 

AORARCHIVIA

HOUSE OF LORDS "Precious metal"

Titolo di questa recensione: Mark Baker, dove sei?!

Perché del songwriting dei due ultimi album degli House of Lords è stato responsabile quasi unico proprio lui, sua eccellenza Mark Baker, e con risultati memorabili. Ma James Christian deve essere più a corto di quattrini del solito, dato che per questo ‘Precious metal’ si è rivolto a dei quasi sconosciuti o (molto parzialmente) ai membri della sua band (ma forse dovremmo definirla solo una backing band) per la scrittura delle canzoni. Il risultato è sciapo, trito, pallido e scontato. C’è qualche guizzo, qualche fiammata, ma su tutto domina un’aria di già sentito piuttosto avvilente. Perché diavolo James non ha coinvolto di più nel songwriting Chris McCarvill, così brillante con il moniker Maxx Explosion? Perché fa uscire album a ritmo forsennato, preferendo la quantità alla qualità? ‘Precious Metal’ non è soporifero alla maniera di ‘Come to my kingdom’, suona piuttosto come un parente povero  e un po’ intontito di ‘World upside down’, da archiviare alla voce “dischi inutili”. Andrà meglio la prossima volta?

INDICE

Frontiers - 2014

 

AORARCHIVIA

L.R.S. "Down to the core"

Questo disco è un vero affare, dal punto di vista finanziario e logistico. Condensa in dodici canzoni le discografie ottantiane di Survivor, Journey e John Waite, dunque vi fa risparmiare un bel po' di soldi e vi evita anche di dover trafficare con il lettore CD, cambiando dischi uno dietro l'altro. Naturalmente, se quei dischi già li possedete, 'Down to the core' non vi serve a un cazzo, anche se un suo eventuale ascolto in presenza di persone poco ferrate in AOR vi potrà dare il piacere (se poi è un piacere) di segnalare prontamente all'audience a chi gli L.R.S. hanno scippato melodie, giri di chitarre e tastiere et similia. Qualcuno, ne sono certo, parlerà di questo album nei termini di una squisita celebrazione o un grandioso omaggio al rock melodico del bel tempo che fu, ma io ho ormai le palle piene di celebrazioni ed omaggi fatti semplicemente riciclando i dischi di trent'anni fa, anche se dietro il microfono c'è il bravissimo Tommy LaVerdi ed il tutto è pilotato dalla produzione cristallina e sontuosa di Alessandro Del Vecchio. Non è compilando Bignami dell’AOR che si omaggia quella grande stagione, e 'Down to the core' appartiene a quella categoria  di album di cui, dopo un gran strombazzare, dopo sei mesi si dimenticano già tutti: e giustamente.

INDICE

Frontiers - 2014

 

AORARCHIVIA

SCREAM ARENA "Scream Arena"

Questi Scream Arena forse non entreranno nel Guinnes dell'hard rock per il cantante più sfiatato di sempre, ma senza dubbio possono sperare in un piazzamento onorevole. Andy Paul gioca a fare il vizioso o il satanasso, ma dato che dalla sua ugola non escono altro che rantoli o sussurri rauchi, il contributo da lui fornito al mosaico sonoro si riduce ad una sorta di rumore di fondo, fastidioso e irritante, che ammazza tre quarti d'ora di musica eccellente, metal californiano tra il glam e lo street ottimamente prodotto da Paul Sabu. Bisogna sottolineare il fatto che Paul ha cercato di ridurre al minimo i danni mixando quella voce tremenda quanto più indietro era possibile, ma l'effetto sgradevole resiste e persiste. Se avessero avuto un vero cantante, gli Scream Arena sarebbero stati una band fantastica, ma con quella specie di caprone sfiancato dietro il microfono, diventano un obbrobrio degno di finire nello "Strano, ma vero" della Settimana Enigmistica.

INDICE

Mighty Music - 2014

 

AORARCHIVIA

THREE LIONS "Three Lions"

I tre leoni… Modesti i ragazzi, no? Vinny Burns (Dare, Ten), Greg Morgan (Ten) e Nigel Bailey hanno unito le loro forze sotto questo moniker un po’ smargiasso, realizzando un album di buona qualità che mi pare abbia principalmente due punti di riferimento nel sound: i Ten (sopratutto nel gradevole strumentale dallo strano titolo – “Sicilian Kiss” (?) – che chiude l’album) ed i Tyketto (o, per restare in terra britannica, gli Waysted di ‘Save your prayers’), con qualche sfumatura Foreigner sopratutto nelle power ballad. Vinny Burns non ha perso il suo bel tocco sulla sei corde (anche se resta sempre più un solista dal buon melodismo che un riffeur), Nigel Bailey ha una voce potente e dal timbro accattivante, il songwriting è efficace, la produzione ottima (unico appunto, la durata eccessiva di “Hold Me Down”, che va avanti per quasi cinque minuti, troppi per quell’arrangiamento così diretto), la resa fonica di qualità. In definitiva: un bel disco.

INDICE

Frontiers - 2014

 

AORARCHIVIA

 BLACK STONE CHERRY "Magic mountain"

Se pensavate (come me) che ‘Magic Mountain’ potesse mettere del tutto i Black Stone Cherry alla pari con Nickelback, Shinedown e Halestorm fra le band di quel genere che ancora non ha un’etichetta ma potremmo chiamare semplicemente nuovo rock melodico, avrete da quest’album una sgradevole sorpresa. La band che sapeva conciliare riff stoppati e ritmi sculettanti, melodie classiche e moderne su quel lavoro eccellente che fu ‘Between The Devil And The Deep Blue Sea’, si è fatta irretire dalla sirena del retro rock e nello stesso tempo è tornata a percorrere le strade di un heavy metal rumoroso ed ignorante. Qualche buona idea viene subito sepolta sotto chili di chitarre dal suono abominevole, lercio e distorto, e dalla evidente volontà dei Black Stone Cherry di apparire quanto più assordanti e rozzi gli è possibile. Salvo il southern banale ma comunque apprezzabile di “Hollywood In Kentuky” e la melodia di “Remember me” e mi mangio le mani pensando a cosa potevano diventare “Bad Luck & Hard Love” o “Dance Girl” con produzione e arrangiamenti adeguati. ‘Magic Mountain’ non mi ha soltanto profondamente deluso, ma anche sconcertato per la palese involuzione di un band che avrebbe la capacità di guardare avanti e ha deciso invece di buttarsi nel trend più idiota del momento (il retro rock) e di riprendere a calcare la via del puro frastuono senza idee.

INDICE

Roadrunner - 2014

 

AORARCHIVIA

BB STEAL "On the edge"

In genere non si usa il termine “clone” per definire una band se si ha intenzione di farle un complimento. Ma se la band in questione si fa produrre l’album da uno dei chitarristi della band clonata, magari l’effetto generale desiderato era proprio quello della replicazione cellula per cellula (nota per nota), e dunque gli australiani BB Steal forse non se la presero affatto se qualche recensore, dopo l’ascolto di ‘On The Edge’, li definì dei cloni dei Def Leppard: più probabilmente, l’uso del termine li lusingò… Tutto quanto era stato fatto dai Leppard su ‘Hysteria’ venne religiosamente replicato dai BB Steal, ovviamente con un minor dispendio produttivo e sacrificando un po’ l’aspetto anthemico del suono a favore di quello più melodico, con il singer Craig Csongrady che avrebbe potuto vincere senza fatica un contest per imitatori di Joe Elliot. Il songwriting non faceva scintille e la band (ovviamente) si limitava a rigirare melodie e riff scippati ai numi tutelari con la complicità (immagino) divertita di Phil Collen, produttore di otto canzoni su dieci. Il risultato finale era un prodotto in grado di soddisfare solo qualche Leppard maniac in perenne crisi d’astinenza, che poteva sfruttare ‘On The Edge’ come surrogato tra un album e l’altro della band “vera”.

INDICE

Phonogram Australia- 1991

 

AORARCHIVIA

MACH 22 "Sweet Talk Intervention"

La presenza fra i ranghi di questi Mach 22 del figlio d’arte Sebastian LaBar rischia di farli passare per dei gran raccomandati, ma c’è vera sostanza nella proposta della band e ‘Sweet Talk Intervention’ non fatica a catturare l’attenzione, grazie ad una grafia compositiva piacevolmente varia e ad un cantante di colore, Lamont Caldwell, dalla voce pastosa, potente, quasi come un Jeff Scott Soto acerbo e per nulla retorico. Si passa con disinvoltura dal più classico metal californiano (“Go Ahead”) all’hard rock ispido in stile Guns ‘N Roses (“Constant Denier”), affondando spesso e volentieri negli anni ’70, sia dal lato più rude (“Backslider” e “Made To Love”, la prima anfetaminica e un po’ Hendrixiana, la seconda lenta, funk, con linee vocali hip hop) che da quello più vellutato (il superlativo terzetto formato da “Stone Rose”, “One Trick Pony”, “Nevermind”, che esplorano in maniera davvero eccellente tutto lo spettro del sound dei Bad Company), e con un omaggio per nulla forzato alla band paterna da parte del buon Sebastian (“Radio”, che vaga sugli stessi sentieri dei Cinderella acidi di ‘Still Climbing’, ma in maniera più sporca e diretta). Produce (ovviamente?) papà Jeff, e anche molto bene. Davvero un bel disco: lo trovate su iTunes.

INDICE

Autoproduzione - 2014

 

AORARCHIVIA

YANKEE HEAVEN "Unclassified"

Ecco, penserà qualcuno, il webmaster che si appresta a cantarci peste e corna di un’altra band svedese… Oddio, non è che il punto debole degli Yankee Heaven fosse la nazionalità – anche perché questa band cercava di mantenere la sua proposta nell’ambito dell’hard melodico di matrice nordamericana (il moniker era trasparente) – ma piuttosto la loro ansia di strafare. Ascoltando ‘Unclassified’ si ha quasi la sensazione che la band abbia cercato di condensare dieci dischi in uno, gli arrangiamenti sono molto variegati ma anche troppo arruffati e le canzoni risultano infine dei patchwork o delle sovrapposizioni di elementi che spesso si succedono o si accavallano senza soluzione di continuità, talvolta in modo cervellotico: tanto per fare un solo esempio, che c’entra quel refrain ipermelodico nel tessuto di riff saltellanti e scanzonati di “Give Up Your Pride”? A questa band e ad ‘Unclassified’ è mancato un produttore esperto che sapesse dare un senso ed una direzione precisa alle canzoni, e se agli Yankee Heaven si poteva dare un otto per l’impegno profuso, il risultato finale dei loro sforzi non superava la più risicata sufficienza.

INDICE

Autoproduzione - 1994