RECENSIONI IN BREVE

 

AORARCHIVIA

DOROTHY "The Way"

Questo appena uscito ‘The Way’ replica sostanzialmente l’ultimo ‘Gifts from the Holy Ghost’, proponendo un hard rock moderno su cui impera il bel vocione di Dorothy. “I Come Alive” e “Unholy Water” sono l’arena rock nel secolo XXI, il tempestoso turbinare di “The Devil I Know” precede il tempo cadenzato di “Mud”, mentre “Haunted House” e “Superhuman” (la prima con un refrain molto Nickelback, la seconda anthemica) riciclano con efficacia riff e melodie zeppeliniane. Il momento topico è “Tombstone”, con l’illustre ospite Slash alla chitarra: gli ZZ Top traslati nel moderno, divertente col suo ritmo boogie se non fosse per quel testo velenoso.

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Roc Nation - 2025

 

AORARCHIVIA

SIMON CHASE "Thrill Of The Chase"

Dei canadesi Simon Chase possiamo dire, innanzitutto, che canadesi non sembravano: praticavano un AOR hard edged di schietta matrice americana, passando con disinvoltura dai Journey (replicati fino al plagio in “Don’t Let Go”, abbinati ai Survivor su “Fire In The Rain” e ai Boston in "Rosanne", riproposti in versione high tech con “Surrender”) ai Bon Jovi (in prevalenza in “One More Night” e “Long Distance Rider”), sparando con “Try To Leave It” una canzone dal ritmo sostenuto smaltata di tastiere arena rock, mentre su “Dangerous Eyes” le keys prendevano una dimensione pomp, fra percussioni sintetiche e chitarre d’atmosfera. Il brano più interessante era però l’eclettico strumentale “Paradox In The Matrix”, con la chitarra solista che tracciava una melodia dai toni messicaneggianti in un contesto high tech da fusion music. Introvabile su eBay, dai rivenditori specializzati il CD (originale o la ristampa a tiratura limitata Long Island del 1995) parte da 35 euro  e a volte supera i 100, ma gli LP Axe passano di mano tra gli otto e i dieci euro: quotazioni giustificate dalla rarità del prodotto, ma per me ‘Thrill Of The Chase’ è album comunque riservato ai completisti dell’AOR Made in Canada.

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Axe Records - 1988

 

AORARCHIVIA

THE FIFTH "We Are One"

Chi si è fiondato (come me) su questi The Fifth attirato dal nome di Rory Cathey, sperando che il suddetto potesse travasare in ‘We Are One’ almeno un pizzico della magnificenza degli indimenticabili Cold Sweat di ‘Break Out’ sarà rimasto (esattamente come il sottoscritto) molto deluso. L’album si muove nei territori dell’heavy metal americano – più o meno melodico – dei Big 80s, ma senza la minima distinzione, proponendo insipide rimasticature di cose che abbiamo già ascoltato un paio di milioni di volte. Insomma, un lavoro scontato e noioso, che neppure un nostalgico a forza nove riuscirà non dico ad apprezzare ma perlomeno ad ascoltare dal principio alla fine senza slogarsi le mascelle a furia di sbadigli.

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RFK Media - 2025

 

AORARCHIVIA

BLUE DESERT "Day One"

Leggerino ma piacevole questo ‘Day One’, debutto di una band con al centro il key player svedese Andreas Grimsbo, che si avvale della collaborazione di personaggi ben noti della scena AOR: Michael Landau, Cliff Magness, Steve Maggiora, Tommy Funderburk e Bruce Gaitsch. Non che i personaggi succitati elevino il livello dell’album fino alla stratosfera (su “Almost Everything” Michael Landau non si fa scrupolo di fregare mezzo assolo a Jimmy Page, “Again and Again” è palesemente ricalcata sulla “Suddenly Closer” dei Drive, She Said), ma il prodotto è valido, snodandosi tra fresco FM rock (“Tomorrow”), pop rock d’atmosfera alla John Parr (“Don’t Wanna Dream About It”), trapiantando i Def Leppard (“What’s a Man”) e Jeff Paris (“Ten Miles Away”) in un contesto AOR molto soft.

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 2025

 

AORARCHIVIA

ORIANTHI "Some Kind of Feeling"

Questo nuovo album segna un certo cambiamento di rotta musicale per Orianthi (i suoi ultimi dischi li ho recensiti tra Classix e Classic Rock, incluso il progetto RSO, dove faceva coppia – a quell’epoca non solo in studio ma anche in camera da letto – con Richie Sambora): meno rock moderno e più rock classico, meno aggressività anche se l’elettricità non manca e modulata da una produzione sempre superba. Sorprende la cover molto ben gestita di “Sharp Dressed Man” (meno danzereccia e robotica e più boogie dell’originale), su “First Time Blues” Joe Bonamassa c’ha messo senza dubbio del suo (quel bel riffone rotolante, le strofe d’atmosfera, il refrain caldo e luminoso), c’è molto soul nella title track e nel crescendo di “Ghost”, “Bad For Each Other”  si sviluppa tra le strofe bluesy e il coro anthemico, “Call You Mine” fa pensare ai Bon Jovi era ‘New Jersey’ con produzione moderna. Nel complesso, un album molto buono e che potrebbe precludere a sviluppi futuri ancora più interessanti.

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Woodward Avenue Records - 2025